BOLOGNA – La pandemia è una vera e propria sfida per i gestori dei locali, che hanno dovuto innanzitutto sopravvivere al calo degli incassi e poi riconquistare la fiducia dei clienti spaventati dal contagio. Seguire le misure di sicurezza imposte dal Governo è il primo passo: il bar Terzi di Bologna può esser un ottimo esempio da seguire per tutti coloro che vogliono trasformare il proprio locale in un vero e proprio spazio anti-covid. Leggiamo i dettagli dall’articolo di Maria Teresa Scorzoni su firstonline.ifo.
Bar Terzi: sotto le due Torri il locale che vende l’omonima miscela
Peccato che il gestore di questo locale, situato in pieno centro e dove normalmente si faceva la fila per entrare, sia finito nei mesi scorsi nel tritatutto del Covid-19, in quella tragedia che sono gli effetti economici della pandemia.
Abbassata la saracinesca durante il lockdown, l’affittuario di una delle caffetterie di maggior successo del capoluogo, non è riuscito più ad alzarla e ha consegnato le chiavi, con tre anni di anticipo, al legittimo proprietario, quel Manuel Terzi che, scegliendo la qualità, è diventato una griffe nel settore.
Cosa ha deciso di fare allora il Terzi, con il baratro dell’inverno davanti, dentro al quale speriamo di non precipitare tutti con una brutta polmonite?
Si è forse rintanato in casa in attesa che passi la burrasca?
Assolutamente No. Ha ammodernato il locale, ha distanziato i tavoli, ha risanato una finestra sul retro per far circolare l’aria, ha cambiato i condizionatori, ha messo sul bancone una nuova macchina, creata ad hoc per i suoi caffè espresso e ha riaperto i battenti. Così, dopo aver studiato i grani, le provenienze, la tostatura e la conservazione del caffè, dopo aver tagliato la filiera e selezionato i fornitori, dopo aver fatto accordi con una torrefazione friulana che sforna per lui diverse tonnellate di caffè a settimana; dopo aver aperto un bar e un laboratorio di torrefazione in proprio, a Vignola in provincia di Modena (per 300-400 chili al giorno di caffè), dopo aver venduto le sue miscele in Italia, in Australia e Nord Europa; dopo aver affiliato sei negozi in Spagna, insomma dopo 40 anni di lavoro, a 56 anni, Manuel Terzi, insieme alla moglie Elena, ha deciso di tornare dietro al bancone, per fare caffè e servire ai tavoli.
Chapeau!
Ecco, è solo una piccola storia, ma è anche una bella storia emiliana quella di questa coppia che, avvicinandosi alla sessantina, invece di pianificare la pensione, decide di giocarsi di nuovo il tutto per tutto, di non mollare, anzi di investire. Rimboccarsi le maniche e andare avanti è il motto questa terra, persino nella tenebrosa era Covid. “Non ho cercato un nuovo gestore – dice l’imprenditore – perché non volevo accollare a nessuno un rischio così grande. Oggi siamo aperti, ma fra 15 giorni un decreto governativo potrebbe costringerci a mettere i lucchetti alle nostre attività. Io ho le spalle larghe e posso sostenere questa situazione, quindi lo faccio, anche se è molto difficile e stiamo rischiando tanto”.
D’altra parte tutto cominciò proprio in quel locale di via Oberdan a Bologna 19 anni fa:
“Siamo stati i primi in Italia ad aprire un bar dedicato solo al caffè, cui abbiamo aggiunto il tè e la cioccolata. Niente panini, bibite gassate, insalatone o liquori. Una scommessa che è stata compresa e apprezzata”. La filosofia di questo ex giovane intraprendente è sempre stata quella di fare quanto più possibile con le sue mani. “Io e mia moglie nasciamo baristi, io ho cominciato a lavorare a 12 anni. Una ventina di anni fa ci siamo resi conto che dovevamo fare qualcosa di nuovo. Così abbiamo pensato di puntare sulla qualità, solo sul caffè e ci siamo specializzati in quest’ambito”.
Questa sfida li ha portati a studiare la materia prima e la sua filiera. Poi, per offrire alta qualità a prezzi accettabili, hanno cominciato a tagliare i costi superflui. “Abbiamo eliminato tutti gli intermediari. Oggi scegliamo noi il crudo e lo compriamo direttamente in tutto il mondo. Abbiamo escluso solo il Vietnam, che va per la maggiore, perché lavora male. Per vendere a prezzi stracciati, non rispetta i tempi indispensabili alla maturazione e alla fine con il caffè vietnamita si corre anche il rischio di ingurgitare una bevanda che fa male”.
Per avere un’idea di cosa significa produrre un buon caffè bisogna guardare i costi all’origine
“Il prezzo medio di un caffè industriale è di 75 centesimi al chilo – dice Terzi – il prezzo di una buona qualità di crudo è di 15 euro al chilo, 20 volte tanto. Poi ci sono altre spese, lo sdoganamento, il trasporto. Noi abbiamo limato su tutto ciò che non è materia prima e lavorazione della stessa. Non abbiamo rappresentanti e non regaliamo le macchine espresso ai baristi, come fanno molte aziende, ma in questo modo le nostre miscele possono costare meno di quelle di una buona torrefazione commerciale”.
La dinamica coppia riesce a tostare a Vignola anche i caffè più pregiati. “All’inizio è stato molto difficile. La prima volta ci abbiamo messo un anno a produrre la giusta miscela, adesso in due o tre giorni siamo pronti. A febbraio, prima del cataclisma Coronavirus, abbiamo comprato una nuova macchina per la torrefazione. Un tempismo perfetto. Ma non importa, andiamo avanti e supereremo anche questa”. Per chi fosse curioso il sito dà tanti suggerimenti per gustare un’ottima bevanda anche a casa. E per chi avesse voglia di leggere le informazioni in una lingua “straniera”, a parte l’inglese, si può visitare il sito interamente tradotto in dialetto bolognese.