MILANO – In tutto lo Stivale, in parallelo alla crisi in cui versano molti gestori italiani di locali, il fenomeno dei sempre più diffusi bar cinesi. Un’espansione partita dal Nord, soprattutto da Milano, e che poi ha caratterizzato tutte le regioni d’Italia. Ma che cosa sappiamo effettivamente di questa realtà? Leggiamo il quadro della situazione, da milano.corriere.it.
Bar cinesi su tutto il territorio nazionale
All’inizio fu Milano. Poi, il resto d’Italia. La comunità cinese scelse negli anni Ottanta il capoluogo lombardo per vivere, lavorare e far studiare le nuove generazioni. Aprirono negozi all’ingrosso in una zona circoscritta della città (tra via Paolo Sarpi e via Canonica, la Chinatown meneghina). Dove i milanesi trovavano prodotti tipici orientali, e ristoranti tra dim sum e riso alla cantonese.
Oggi, il business preferito dai cinesi nati in Italia è il caffè
Sono partiti dalle periferie aprendo bar (con tabaccheria, se possibile) e ora si sono espansi in tutti i quartieri della città. Il South China Morning Post ha dedicato un servizio proprio al tema dei bar acquistati dai cinesi a Milano e ha citato un articolo del 18 novembre scorso del Corriere della Sera: «Il fenomeno dei bar che diventano cinesi è iniziato da tempo ma continua a crescere anno dopo anno. Come testimoniano anche gli ultimi dati della Camera di Commercio. Secondo i quali gli esercizi con titolare orientale sono aumentati del 27 per cento dal 2011.
Nel 2019, soltanto all’interno dei confini di Milano città, si registrano 4.891 imprese attive come bar. Di queste, se si considerano anche le ditte individuali, 562 sono cinesi — vale a dire l’11,5 per cento del totale sotto alla Madonnina, mentre nel 2011 erano 441».
L’investimento dei bar cinesi
Ma perché hanno investito su caffè e cappuccino? Secondo il giornale cinese i bar cinesi dilagano in Italia anche perché molti migranti, a causa della crisi finanziaria, hanno perso il loro lavoro nelle aziende di moda.
Meno abiti e accessori da confezionare, più tazzine da servire ai banconi. «Gli “invasori della cultura italiana” — così li chiama ironicamente Grazia Deng, laureata in antropologia a Hong Kong — sembrano, invece, essere diventati i guardiani di un vecchio stile di vita che gli italiani stanno lasciando anno dopo anno. Sono degli imprenditori, non dei “ruba-lavoro”».