ROMA – Babingtons è un’istituzione romana per quanto riguarda il tè di qualità ed è rinomata in tutto lo Stivale. Dal 1893 nella scenografica Piazza di Spagna, ha segnato e osservato la storia sino ad oggi: un arco di tempo impressionante considerando cosa c’è stato di mezzo – tra gli ultimi grandi eventi, la pandemia – e per di più se si considera che ha affondato le sue radici nella patria dell’espresso.
Cosa rende Babingtons in grado di affrontare la prova del tempo e del cambio di abitudini?
A rispondere l’ultima generazione a capitanare questa storica impresa, Chiara Bedini.
“Innanzitutto siamo forti del legame con le nostre radici, cioè quelle dell’Inghilterra e del tea time. Oltre a questo ci ha distinti il non aver voluto correre dietro alle mode restando noi stessi, scegliendo la qualità dei prodotti. Se non servissimo dolci e piatti salati accompagnati da un tè di livello, non saremo ancora qui oggi.
La scelta degli ingredienti, la preparazione di ricette fresche direttamente da noi, ci hanno permesso di essere sempre attuali.
E questo nonostante la dura prova del Covid, che ci ha costretti a tagliare sul personale: ad oggi siamo tornati ad essere una ventina, ma quando abbiamo riaperto dopo il lockdown eravamo soltanto io, la cuoca, la pasticcera, la cameriera e mio cugino.
Certo sappiamo che il costo del personale è una voce da sostenere, ma diventa un problema e un torto in primis verso lo stesso lavoratore che deve versare molte tasse sopra lo stipendio che noi gli diamo.
Dall’altra parte è anche difficile per noi trovare persone oggi che abbiamo senso del dovere, orgoglio nel servizio. Già prima dell’arrivo della pandemia c’era questo atteggiamento, ma poi il Covid gli ha dato un’accelerata.
Molti ragazzi volevano lavorare in nero, senza contratto e le cose sono peggiorate: è molto preoccupante e triste perché se da un lato è vero che lavorare nella ristorazione è faticosissimo, dall’altra si parla di una professione molto stimolante e soddisfacente.”
Babingtons è un prodotto al femminile: essere imprenditrici è il fil rouge dalle origini con Isabel Cargil e Anna Maria Babingtons a oggi con lei e Rory Bruce. Cosa può raccontare di questo aspetto che vi ha accompagnato in tutti questi anni?
“In effetti loro sono state delle grandi pioniere. Due donne sole, arrivate a Roma alla fine del 1800, dove c’erano per lo più bevitori di espresso, con l’idea di aprire una sala da tè, che in Inghilterra erano piuttosto diffusi e in cui le donne potevano incontrarsi da sole, senza essere considerate delle “poco di buono” e confrontarsi con le altre, è stata un’impresa davvero coraggiosa.
La sala da tè era il solo business che le nostre fondatrici potevano esportare. È stato un po’ un caso: mia bisnonna Isabel era stata abbandonata all’altare ed aveva voglia di sfuggire dall’ambiente inglese. A Roma, insieme ad Anna Maria, durante uno dei gran tour turistici che all’epoca si facevano in Italia, si sono dette: qui non ci sono sale da tè, che era una bevanda addirittura acquistabile solo in farmacia.
Così sono rimaste nella capitale e hanno aperto la prima sala da tè in Italia. Su tutti i giornali dell’epoca si racconta non solo che era stata riempita questa lacuna, ma che era un locale dotato anche di un bagno dedicato alle signore: prima di Babingtons c’erano i vespasiani in giro per la città soltanto per gli uomini, ma non per le donne.”
A proposito di cambi di abitudini: chi frequenta Babingtons si è evoluto dalle bustine di tè al supermercato? Cosa chiedono e chi sono le persone che entrano da voi?
“Siamo molto democratici. Ai nostri tavolini si sono seduti e continuano a sedersi reali e persone comuni, imprenditori, attori, registi, scrittori, poeti, artisti e turisti da tutto il mondo. Lavoriamo molto con clienti che venivano da piccoli prima con i nonni e che ora arrivano con i nipoti: di generazione in generazione si ritorna qui perché ormai è diventato il salotto di casa per tanti.
Poi c’è una parte incuriosita, non per forza composta da conoscitori di tè – anche se ce ne sono – e con loro è divertente perché riesco a chiacchierare sulle diverse preparazioni e teorie. Non sono in molti a cercare le bustine, anche se da quando sono state
inventate le bustine piramidali biodegradabili (senza colla e punti metallici) abbiamo inserito una piccola selezione di tè in bustine anche noi!
E poi tanti inglesi approdano qui perché disperatamente alla ricerca di una buona tazza di tè. Ancora oggi mi dicono che da quando sono a Roma non sono riusciti a trovare a “good cuppa”.
In Italia vedo che lentamente c’è più conoscenza attorno alla bevanda, ma siamo ancora molto indietro, soprattutto nei locali. Anche negli alberghi a 5 stelle che spesso lavorano con una clientela esigente e internazionale non sono assolutamente adeguati.
Mi sono chiesta il perché e credo sia una questione di conti e quando si vuole alzare il livello dei prodotti non si pensa ancora al tè, un po’ a causa dell’ignoranza attorno a questa bevanda che esiste ancora oggi nell’horeca italiano. Soltanto adesso si inizia a trovare altre realtà interessanti come La Via del tè, che funzionano perché hanno saputo posizionarsi bene come fascia di prezzo – sono meno cari di noi e offrono una qualità più elevata rispetto alle proposte commerciali più diffuse -.
Noi abbiamo scelto di lavorare solo con l’eccellenza, la paghiamo e la facciamo pagare di conseguenza: lavoriamo al 100% naturale, senza l’aggiunta di profumazioni artificiali. Stavamo cominciando a spingere la nostra filosofia prima del Covid. Attualmente collaboriamo con pochissimi clienti come Il Pellicano e la Posta Vecchia. Si tratta di piccole chicche, ma sono davvero poche.
In queste occasioni mi occupo io personalmente della formazione: di solito trovo un po’ di reticenza da parte del personale nel cambiare certe abitudini come il non usare l’acqua della macchina del caffè, ma quella dedicata al tè, o fare attenzione ai tempi e alle temperature di infusione. Tutto questo spaventa.
Per chi non è abituato alla preparazione della bevanda nel rispetto di certi standard, la prima reazione è quella di resistenza. Ci metto sempre tutto il mio impegno, anche se poi non so quanto venga recepito. Ma nei casi rari in cui siamo riusciti a coinvolgere il personale nella nostra filosofia, la collaborazione e lo scambio è continuo.”
Da chi vi rifornite e quali tè servite solitamente?
“Il mio blender principale si trova in Inghilterra. Tutti i nostri blend vengono prodotti lì e con la Brexit tutto si è complicato: ho rinunciato a passare dalle dogane italiane e quindi importo il tè in Germania dove poi viene sdoganato per arrivare in Italia. Per i monorigine invece ho un contatto diretto in Cina.
Abbiamo fatto un grandissimo lavoro sui tè, sia per rendere le miscele tutte naturali e allo stesso tempo saporite – il rischio è che siano piatte– sia sulla selezione dei single origin. Comunque parliamo di una selezione in continua evoluzione: sino ai primi anni del 2000 avevamo pochissime miscele e oggi ne abbiamo almeno 70, ma l’offerta cresce continuamente perché ci piace creare sempre nuovi sapori.
Purtroppo in questo periodo le difficoltà per poter realizzare le miscele si sono moltiplicate – molti degli ingredienti arrivano dall’est Europa e ora è complicato reperirli con la guerra e con il blocco del Mar Rosso -.
Si deve considerare poi che nei paesi di produzione si succedono periodi di siccità e di grosse piogge. E anche questo ha un impatto sui nostri tè: ad esempio non abbiamo avuto la nostra proposta di Natale, perché quest’anno hanno bloccato il tè in dogana a settembre.”
Come fa a supplire alla mancanza di alcuni ingredienti dalla miscelazione del tè?
“A volte dobbiamo semplicemente avere pazienza e aspettare che gli ingredienti arrivino. Altre volte cerchiamo fornitori diversi per uno stesso. Fortunatamente le miscele best seller provengono da paesi in cui per il momento non ci sono problemi di rifornimento quindi il problema nasce con alcune miscele meno conosciute.”
La vostra identità è fortemente legata alla cerimonia del tè anglosassone – famosa è la vostra miscela dedicata alla Regina Elisabetta – ma è presente anche quella orientale?
“Serviamo i tè cinesi, giapponesi e oolong, che vengono dall’oriente: in questi casi però il rito ha un approccio più spirituale e filosofico che non celebriamo da noi, essendo la nostra un’anima anglosassone.
Quindi non serviamo il Gong Fu, anche se negli anni abbiamo organizzato degli eventi dedicati al Puerh con gli stessi produttori che spiegavano le giuste procedure da seguire. Da vent’anni mi occupo di corsi anche a tema e ci sono dei fedelissimi che mi seguono da tempo per cui devo sempre alzare l’asticella della proposta. “
Anche il caffè è nell’offerta di Babingtons: ci raccontate?
“Abbiamo una miscela tutta nostra, che abbiamo fatto fare dalla blender Melania Francis Lopez, con la torrefazione Buggella di Ferrara, composta da 100% Arabica provenienti da Guatemala, Colombia, Brasile, Ethiopia Yirgacheffe e India. La tostatura media dei chicchi pregiati lo rende un caffè davvero squisito, che serviamo come espresso e americano al tavolo – non abbiamo mai avuto il bancone – a 5.50 euro.
Avevamo anche degli splendidi caffè monorigine – Kenya, India e Etiopia – prima del Covid, ma per ora non ci sono più.”
Si riesce a proporre questa bevanda anche nella bella stagione con temperature più elevate?
“Ovviamente facciamo il tè freddo, con le nostre miscele in foglia e i clienti si accorgono subito della differenza rispetto al Estathè o ad altri tè freddi preparati con le polverine. Da noi funziona persino di inverno, gli americani ne bevono sempre in tutte le stagioni. Un’altra cosa importante è che la nostra clientela si sta lentamente abituando a pasteggiare con il tè. Non ci sono regole fisse sul nostro menù, ma a seconda di cosa si sceglie le ragazze consigliano l’abbinamento migliore.”
Qual è il tè che costa di più da voi ed è un problema per la clientela il prezzo in generale?
“Ci sono persone che dopo aver visto i prezzi sul menu si alzano e se ne vanno. Il prezzo sicuramente blocca un certo tipo di clientela ed è una prima scrematura. Altri vengono da noi perché non hanno problemi con i prezzi e anzi diventano clienti fissi perché amano ritagliarsi quel momento specifico per sé stessi e sanno che da noi trovano la qualità che altrove non c’è.
Siamo cari rispetto al classico bar che vende il tè a un euro e 50, ma rispetto ad altri posti a Roma che vendono una bustina Twinings a 12 euro, decisamente no. Un tè da noi servito in una teiera e acqua calda a parte per poter fare più infusioni, può costare al massimo 15,50 euro.
E restando sui costi: per voi, stare in Piazza di Spagna dev’essere una spesa incredibile
“Siamo in affitto, ma non è solo questa voce a pesare sul nostro bilancio. Al centro storico, con i camion che non possono scaricare se non a determinate ore, con il fatto che non abbiamo un magazzino, ci sono tanti altri costi non percepiti. Fortunatamente abbiamo un padrone di casa che è un nostro fedelissimo cliente e ci è venuto incontro nei momenti di difficoltà.”
Quali sono le prossime tendenze per questa bevanda e il vostro settore?
“Rimanere sicuramente in Piazza di Spagna. I tavoli fuori sono stati un regalo del Covid che spero restino anche in futuro. Il nostro sogno è la distribuzione del nostro tè a livello internazionale, magari anche aprendo dei Babingtons più light, nel mondo.
Dovrebbe essere nelle mani della quinta generazione. È un progetto costoso e stiamo ora cercando i fondi per realizzarlo. La difficoltà maggiore poi resta trovare la materia prima di qualità.”