ROMA – “A che bell’ ‘o cafè pure in carcere ‘o sanno fa”. Così cantava Fabrizio De Andrè, e a dimostrarlo ci pensano i detenuti della casa circondariale di Rebibbia con il Caffè Galeotto.
Il progetto è iniziato a settembre 2014 grazie ad un’idea della cooperativa Pantacoop che è riuscita a dar vita ad una vera e propria torrefazione dietro le sbarre del braccio G9 di Rebibbia con tanto di tostatrice e spietratrice, necessaria a selezionare con accuratezza ogni singolo chicco.
E’ l’attenzione al prodotto, oltre alla riabilitazione di chi lo lavora, uno degli aspetti più interessanti di questa iniziativa che garantisce l’assenza di solventi chimici nel decaffeinato in polvere che realizza.
Paradossalmente gli autori di tanta attenzione sono proprio i “galeotti”, in carcere per scontare la pena e assunti con un regolare contratto part-time dalla cooperativa.
La Pantacoop nasce nel 2001 e inizialmente lavora con i detenuti appena usciti dal carcere ma con il tempo capisce l’importanza di impiegare persone che si trovano ancora in penitenziario per poter insegnare loro una competenza da spendere una volta scontata la pena.
A produrre e confezionare il Caffè Galeotto ci sono solo detenuti che, dopo aver svolto un periodo di formazione, hanno acquisito una nuova professionalità.
I detenuti che lavorano nel progetto non sono scelti in base al reato commesso ma in base agli anni che ancora devono scontare, al loro comportamento e alla voglia che hanno di imparare il mestiere della torrefazione.
Nella routine carceraria passare 6 ore a lavorare significa molto per persone costrette in cella per 22 ore al giorno; infatti le richieste dei carcerati di partecipare alla torrefazione sono tante e la cooperativa spera di aumentare i suoi collaboratori per ottobre 2015.
Grazie al lavoro molti di loro hanno compreso gli errori del passato e stanno cogliendo questa nuova opportunità di riscatto.
“La pena non è più esclusivamente punitiva ma anche riabilitativa; studi dimostrano – spiega Daniele Pellegrino responsabile marketing e comunicazione della Pantacoop – che chi non lavora in carcere, una volta fuori, reitera il reato nel 70 per cento dei casi. Il lavoro paga e paga soprattutto i detenuti”.
Il Caffè Galeotto è un orgoglio per l’istituto penitenziario di Rebibbia perché si inserisce a pieno nel commercio equo e solidale. I chicchi di caffè che sono lavorati dai detenuti, infatti, vengono acquistati da cooperative dell’Honduras e del Nicaragua che danno lavoro a donne, con un passato fatto di violenze, pagandole il giusto corrispettivo.
Un caffè pensato a scopo sociale, di qualità ma comunque a prezzi di mercato, che può essere acquistato nel punto vendita adibito nel carcere oppure contattando la cooperativa alla e-mail marketing@caffegaleotto.it. (Luca Basiliotti)