MILANO – Continuiamo il percorso di conoscenza delle varietà botaniche con Fabio Verona, maestro del chicco. Dopo la prima parte pubblicata in cui sono state gettate le premesse per comprendere meglio che cosa si intenda quando si parla di Arabica e miscele, adesso proseguiamo con il secondo appuntamento. Stavolta con un focus particolare sul caffè in grani. Sempre mantenendo la linea dura che conduce alla diffusione della cultura del caffè. Che, come dice bene lo stesso Verona, non è poi così approfondita né tanto meno condivisa.
Arabica, Robusta: quanto ne sappiamo davvero
Dopo aver passato 3 giorni a contatto con decine di giornalisti e blogger del settore agroalimentare, ho scoperto quanto anche tra gli esperti le informazioni sul caffè siano sovente superficiali o incomplete.
In pochi conoscono la disinformazione ricorrente
E sono stato molto felice di potermi confrontare con loro in molte chiacchierate. Oltre a tenere un mini-corso per portare alcuni di loro a completare le informazioni in loro possesso.
In questa seconda parte alla scoperta della “incompleta” informazione che riceviamo con la sola dicitura “arabica 100% “, affrontiamo il tema dell’aspetto dei grani di caffè.
Ovviamente alcuni temi non sono applicabili al consumo domestico del macinato. Ma più avanti affronteremo anche questo tema.
Avete buttato un occhio dentro e fuori ai sacchetti delle vostre miscele? sii??
E come vi sono sembrate a prima vista? Unte, oleose,; asciutte, umide; omogenee nel colore o disomogenee – tipo pasta e fagioli –
E la dimensione dei chicchi? Pressoché tutti uguali o molto difformi tra loro?
E la forma dei chicchi? Tondeggianti alcuni, più piatti gli altri o ancora allungati o arrotolati su se stessi?
In ultimo, la famosa “riga”. Ovvero il solco che spacca il chicco, era per lo più con una sorta di pellicina chiara che spuntava o era tutto dello stesso colore del chicco?
Se riusciremo a trovare una risposta corretta ad ognuna di queste domande, allora forse avremo un primo indizio per poter valutare la nostra miscela.(solo visivamente e parzialmente, ben inteso).
Per prima cosa controlliamo la data di scadenza
Legalmente la data di scadenza per le miscele di caffè torrefatte in grani o macinate è di due anni. Andando a ritroso ovviamente ne possiamo ricavare la data di confezionamento e valutare l’età del nostro prodotto. Più è vecchio più è povero di anidride carbonica (salvo che non sia conservato in atmosfera modificata). E, oltre a questo, il tempo ne provoca anche un leggero inscurimento dovuto all’ossidazione.
Quindi apriamo il pacco e valutiamo i chicchi di caffè
Ovvero se non sono eccessivamente tostati e ben conservati, non devono presentarsi oleosi né tantomeno umidi. Questo se parliamo di tostature medie o chiare; perché sovente, al sud o all’estero, il grado di tosta tura viene mantenuto più elevato e il caffè si presenta abbastanza scuro.
E, a causa dell’elevata temperatura o della prolungata tostatura, gli olii in esso contenuto tendono a fuoriuscire. In alcune zone vi è persino un modo di dire per il quale se il chicco di caffè non “lacrima” non è tostato bene. Ma al di là di alcune specifiche particolarità, tendenzialmente i grani devono presentarsi asciutti ed opachi.
Un altro motivo per cui un caffè tostato non scuro potrebbe presentarsi unto è dovuto ad una cattiva conservazione
Il caldo è un nemico del caffè, ed uno stoccaggio in un luogo con temperature superiori a 20 – 25°C provoca la fuoriuscita degli oli. Velocizzandone l’irrancidimento e causando un cambiamento importante delle caratteristiche organolettiche. Mi raccomando però, anche il frigorifero è un nemico del caffè.
In quanto la differenza di temperatura che avviene nel momento in cui viene tirato fuori provoca uno strato di condensa che ne varia il tenore di umidità. Se proprio lo si vuole conservare in frigorifero sarebbe meglio nel momento in cui viene prelevato, aprire il pacco e lasciarlo a temperatura ambiente per almeno un’ora. Affinché si asciughi e si stabilizzi.
Non entro ovviamente nel merito delle sofisticazioni
Dove alcuni caffè, poveri di grassi, in fase di raffreddamento vengono cosparsi di vaselina o paraffina alimentare. Questo sia per rendere più omogeneo il colore che arricchire le proprietà della miscela. (ricordo che la crema nell’espresso è prevalentemente formata dagli olii buoni e naturali del caffè).
Quando abbiamo fatto questa prima analisi concentriamoci sul colore dei chicchi
Una buona miscela dovrebbe essere omogenea, e non presentare quantità di grani più chiari o più scuri. I primi potrebbero essere o dei grani immaturi o dei grani difettosi, i secondi risultano più bruciati in tostatura o raccolti già fermentati sulla pianta.
In entrambi i casi il risultato sarà di un gusto sgradevole. E soprattutto vi è la possibilità che la vostra bevanda preferita si trasformi o in un lassativo o in un forte problema per la vostra digestione!
Attenzione alla tostatura spinta (scura)
Essa talvolta viene praticata proprio per mascherare questi difetti. Rendendo tutto il caffè più scuro, più amaro nel gusto e più “forte”. Ma se anche riescono ad ingannare il vostro palato, sarà il vostro fisico a comunicarvi la realtà dei fatti… magari con qualche ora di ritardo, ma lo farà!
La dimensione dei chicchi, invece, possiamo dire che è importante ma non fondamentale
Sempre che il colore sia abbastanza omogeneo. Segno che il vostro torrefattore effettua le cotture delle diverse monorigini che compongono la miscela separatamente.
Ovviamente, i chicchi della dimensione superiore al crivello 16 sono da considerarsi superiori. In quanto indice di migliore e completa maturazione ed in più, durante la torrefazione, riescono ad avere una cottura più omogenea.
Cos’è il crivello?
È una delle unità di misura utilizzate per indicare la dimensione del chicco di caffè crudo. Vi allego una tabella per darvi un esempio.
Per oggi mi fermo qui, iniziate le vostre prime analisi, e fatemi sapere i vostri commenti… presto vi fornirò le altre informazioni.
Coffee lovers, follow me!