MILANO – Come si potrebbe sintetizzare in maniera efficace, un anno segnato da nuove acquisizioni e un miliardo di investimenti? Di certo attraverso il motto Lavazza del 2018: «Lavorare pancia a terra». Questo è il riassunto di quelli che sono i lavori in corso a Torino, sede Lavazza. Lo ha fornito Antonio Baravalle, da sette anni al timone del colosso del caffè, tra i primi player del settore al mondo, all’inserto settimanale di economia del Corriere della Sera. Che ha pubblicato sull’argomento un articolo a firma della giornalista Daniela Polizzi.
Antonio Baravalle: si punta alla crescita dei volumi
ll vertice operativo del primo gruppo europeo del caffè fa il punto di una stagione vissuta al galoppo. E fissa i cardini della strategia. «È un cocktail fatto di disciplina finanziaria, indispensabile se si vuole restare indipendenti; valutazione di nuove opportunità e crescita dei volumi, tenendo d’ occhio l’ espansione dei margini; infine, valorizzazione dei marchi», racconta così il manager.
La prima fotografia viene dai numeri
Il gruppo ha archiviato il 2017 con ricavi in crescita del 6% a 2 miliardi, di cui il 63,2% sui mercati internazionali. Ma sono i margini che restituiscono l’immagine del percorso imboccato.
L’ ebitda (margine operativo lordo) è salito del 12% a 200 milioni. «È il segno che il caffè venduto da Lavazza crea più valore. Cresciamo il triplo del nostro mercato di riferimento: in Francia, secondo Paese dopo Italia, Stati Uniti e Inghilterra ci espandiamo con un ritmo attorno al 15%». Dice il manager.
Antonio Baravalle, torinese, 53 anni
E’ arrivato al timone della Lavazza nel 2011, chiamato dal board presieduto da Alberto Lavazza affiancato dai vice presidenti Giuseppe e Marco.
Il mercato italiano pesava per il 70% dei ricavi e il Paese stava attraversando la crisi dei consumi, anche di caffè.
«Non potevamo rimanere così dipendenti dal mercato nazionale. Rischiavamo di diventare un cavallo che corre con una zampa sola», dice Baravalle.
Da lì è partita l’ avventura. Oggi l’ Italia incide meno del 37% sui ricavi totali. È un mercato che rimane piatto per tutti i produttori della miscela. Anche se il settore delle capsule e delle cialde cresce con ben altri ritmi.
Lavazza ha puntato molte carte su questi prodotti che valgono già circa il 20% del fatturato. Trainato proprio dell’ Italia e ora anche della Francia grazie alle sinergie con Carte Noire.
L’ azienda vuole essere una Premium pure coffee company
«Il che significa: essere concentrati soltanto sul caffè , ma solo di alta qualità, puntando sul valore del marchio. Quindi, più volumi, ma anche più margini.
Le acquisizioni all’ estero vanno in questa direzione, perché hanno una redditività elevata», dice Baravalle.
Il focus ora è anche sulla finanza
Dove è al lavoro lo chief financial officer, Camillo Rossotto, che arriva nel 2016 dalla Rai dopo una lunga permanenza in Fiat. «Con il bilancio del 2018 ci adegueremo ai principi contabili Ifrs (International accounting standard, ndr. ).
Vogliamo parlare la stessa lingua dei nostri competitor, spesso gruppi quotati o investitori finanziari. Dai quali abbiamo comprato molti asset».
La Borsa
«Non è una priorità. Vogliamo solo essere pronti. Perché se ci dovesse essere l’ opportunità di varare una grande acquisizione vorremmo, per esempio, essere in grado di emettere un bond. Ogni azienda, anche privata, dev’ essere autonoma».
In cassa il gruppo ha circa 600 milioni e genera liquidità pari a 100 milioni l’ anno.
«Possiamo afferrare le opportunità», aggiunge Baravalle.
L’ assetto è d’ altronde già quello di una società quotata, con una squadra di amministratori indipendenti. Tutti ai vertici di società che ogni giorno si misurano sui mercati globali.
Da Gabriele Galateri di Genola (Generali), Pietro Boroli (De Agostini Editore), Antonio Marcegaglia fino a Robert Kunze-Concewitz (Campari).
«Carte Noire in Francia è stato il boccone più grosso visto che vale 700 milioni. Poi c’ è stata la Merrild in Danimarca», dice Baravalle.
Lavazza poi ha comprato l’ attività di distribuzione in Australia, costituendo una testa di ponte a Melbourne
L’anno scorso, lo sbarco in Canada con l’ acquisto dell’ 80% di Kicking Horse, valutata 150 milioni. Le opportunità quindi, abbondano. «Emergono per esempio dai riassetti delle multinazionali del food.
Ma la sfida vera è catturare i consumatori diventati meno fedeli. Ci sono fenomeni che le storiche aziende oggi non sono più in grado di interpretare con certezza. E allora le aziende si attivano.
Prendiamo Nestlé che ha acquisto la catena Blue Bottle.
Lavazza stessa ha investito nel caffè bio di Kicking Horse
Per catturare i Millennial e nella padovana Nims che vende il caffè direttamente ai consumatori. E ancora. Il colosso del Jab holding ha rilevato le catene di caffetterie americane, piccole ma innovative, Intelligentsia e Stumptown.
Si tratta quindi di mettere un piede dentro e vedere che fenomeno c’è dietro il nuovo modello di consumi», dice il manager.
L’apertura verso una una grande aggregazione
«Pronti a tutto se crea valore. Perché uno più uno deve fare tre. Ma il controllo deve restare in mano al gruppo».