MILANO — La movida milanese festeggia un anniversario importante: il cinquantenario del Bar Basso di Milano. Locale iconico capace di mantenere intatta nel tempo la sua identità in tempi di restyling compulsivi di locali e format. Gli anni, in realtà sono 51, dal momento che il locale è nato nel 1967. Ma come scrive Federico De Cesare Viola sul Sole 24 Ore, i signori dietro al banco, per loro stessa ammissione, non se ne sono ricordati.
Bar Basso, un locale che ha superato mezzo secolo
Ora, in ritardo di un anno, arriva il giusto tributo a questa insegna celebre, che vanta una lista infinita di drink e si fa riconoscere inoltre per gli allestimenti inconfondibili.
Ma torniamo alla nascita del locale. Era infatti il 13 ottobre 1967 quando Mirko Stocchetto, da vent’anni barman del Posta di Cortina – dove preparava drink per Hemingway, Clara Agnelli e i Brion, tra gli altri – acquistava il bar del signor Giuseppe Basso. Portando così a Milano una cultura del bere allora sconosciuta nel capoluogo lombardo e ancora appannaggio dei grandi hotel.
Erano gli anni del boom economico
Quindi appena prima dello scoppio del ’68. Le differenze sociali erano più marcate e l’uomo della strada non andava certo a farsi un Martini. Con la controcultura i cocktail erano quasi un simbolo conservatore e l’immagine del barman non ne guadagnava: “Now all the criminals in their coats and their ties are free to drink martinis and watch the sun rise”, cantava Bob Dylan in Hurricane.
Come è nato il Negroni Sbagliato che ne ha fatto la fortuna
Nel 1972 ecco l’inciampo che diventa mito: durante la preparazione di un Negroni, Stocchetto prende per sbaglio (o per gioco) dai pozzetti frigo uno spumante invece del gin e nasce così lo “Sbagliato”.
Il cocktail-tormentone, croce e delizia, servito nel bicchiere oversize con un grande cubo di ghiaccio
«Noi ci siamo sempre sentiti – confessa Maurizio Stocchetto, figlio di Mirko, che esordì sedicenne dietro al banco nel 1976 – un po’ come Frank Sinatra costretto a cantare sempre Strangers in the Night. Il Negroni Sbagliato è il nostro bestseller e strumento di comunicazione. Il suo successo è arrivato però vent’anni dopo la sua nascita, ci ha dato visibilità e ci ha messo sulla mappa internazionale, anche se non ci diverte prepararlo».
Un indirizzo trasversale
In mezzo secolo, questa istituzione milanese è stato uno degli indirizzi più trasversali mai esistiti: qui sono passati operai e professori di architettura, studenti di destra e di sinistra, banditi e Polizia celere, politici e industriali, modelle e fotografi, giornalisti e stilisti, Celentano e il suo clan, Gaber e Iannacci.
E poi Jasper Morrison, Stefano Giovannoni, Ron Arad e il giro californiano della Apple. Tutta quella comunità del design – chiamata a raccolta senza pianificazioni e senza PR – artefice del più celebre party della storia del Salone del Mobile, nel 1999, con un migliaio di persone a occupare via Plinio grazie al passaparola.
«Oggi i giovanissimi con ambizioni creative – continua – vengono qui perché pensano che sia il bar del design. All’inizio restano disorientati, perché in realtà vedono che tutto è vecchio, ma poi capiscono.
Un laboratorio per il mondo del design
I bicchieri sono stati un elemento importante della nostra storia. È stato negli anni Novanta che per la prima volta le aziende come Alessi, Baccarat e Villeroy & Boch hanno cominciato ad avere collezioni di bicchieri da cocktail commissionandole ai nostri amici designer che chiedevano a noi le specifiche.
Lo spirito del design dell’epoca era quello di coinvolgere gli artigiani e le persone che utilizzavano quegli strumenti per renderli i più funzionali possibile. Noi diventammo un laboratorio per il mondo del design».
Compleanno sbagliato, ma luminoso
La liaison non si è mai interrotta, tanto che il compleanno “sbagliato” di sabato 13 ottobre è stato anche particolarmente luminoso grazie all’installazione di luci Welles Glass dell’azienda Gabriel Scott: un omaggio quasi “rivoluzionario” perché è la prima volta, dal giorno dell’apertura, che vengono inseriti elementi nuovi nell’arredamento.
«Anche l’ordine delle bottiglie – prosegue Maurizio – è lo stesso dagli anni Settanta. Per noi sono come le note di un pianoforte, le suoniamo senza guardare. Il nostro bar è una stratificazione di stili diversi, non è il posto più bello del mondo, ma ha mantenuto una continuità con gli anni della Dolce Vita a Cortina».
Tra Bloody Mary e Manhattan, Vodka Martini e Caipirinha, Cosmopolitan e Mojito, il Bar Basso ha passato indenne gli anni di piombo, la Milano da Bere, la concorrenza di aperitivi e happy hour e le derive della mixology.
«Mio papà – racconta – ha lavorato fino agli anni Duemila, è stato un veicolo straordinario di esperienze: i barman giovani non hanno più la stessa possibilità di trovare maestri del genere. La nostra è una situazione irripetibile per i bar di oggi. Noi abbiamo la fortuna di essere longevi e di avere tantissimi habitué. Portiamo avanti una tradizione che non esiste più. Potevamo diventare un vecchio museo ammuffito, ma il nostro segreto è stato quello di avere un coté neutrale e informale, che mette tutti a proprio agio, con un contenuto più interessante della scatola. Questo compleanno è un momento da godere, ma senza autocelebrazioni. Non siamo avventurosi, vogliamo solo continuare a mantenere la nostra linea».
Gli altri bar immutabili
Lunga vita, dunque, ai luoghi immutabili e rassicuranti, sempre più rari e preziosi in un mercato, dominato dal turnover compulsivo, dove tanti locali storici cambiano proprietà e identità oppure scompaiono.
Sono timori legittimi quelli dell’eclettica tribù del Caffè Perù – bar romano a due passi da Piazza Farnese, già amato da Pasolini e fascinoso nonostante (o forse proprio per) la totale mancanza di ambizioni gourmet – che da poco è stato comprato da un gruppo cinese con il rischio di perdere il suo allure vintage.
E se a Firenze ha chiuso i battenti il Caffè Giacosa – testimone della nascita del Negroni – resistono invece gli storici Rivoire a Piazza della Signoria, con la sua torta della nonna, e il Caffè Gilli, nel salotto buono di Piazza della Repubblica, con il barman fuoriclasse Luca Picchi a presidiare aperitivo e after dinner.
A Venezia si fa un tuffo nel passato con un’ombra de vin e un cicheto al Cantinone già Schiavi, inossidabile bacaro di Venezia.
A Torino ci si consola con i “maggiorini” (tramezzini mignon), must di Maggiora, caffetteria d’antan a Corso Fiume, oppure con una sosta all’attempato Bar Uva del quartiere Crocetta per assaggiare la mitica Tropeziana, torta che ha fatto infuriare i pasticceri di Saint-Tropez, gelosi della loro Tropézienne.
Federico De Cesare Viola