MILANO – Terza e ultima parte del viaggio botanico in compagnia del caffesperto Andrej Godina: dalle premesse fatte, su come gli incroci con l’ibrido de Timor abbia modificato la resa in tazza finale, potete leggere qui e qui.
Ora, arrivano le conclusioni di un discorso complesso quanto articolato: parliamo di specialty.
di Andrej Godina
Specialty coffee: un’arma a doppio taglio per la qualità?
Come ho anticipato nella seconda puntata di questo articolo, la diminuzione di qualità di tazza delle produzioni di caffè dai paesi di origine trova tra le sue cause anche l’introduzione della nuova classificazione dei caffè Specialty.
Lo Specialty Coffee è un caffè di migliore qualità rispetto alla classificazione commerciale prodotta nella medesima area e la sua classificazione richiede l’applicazione del protocollo della Specialty Coffee Association. Nello specifico non sono ammessi difetti primari nel lotto di caffè verde e la qualità di tazza deve raggiungere almeno gli 80 punti su 100 sulla scheda di assaggio in cupping.
Si stima che il mercato dello Specialty possa valere circa il 10% dell’intera produzione mondiale, un’eccellente qualità di tazza che nel passato veniva mescolata con le classificazioni commerciali. Un tempo quindi il caffè verde commerciale era migliore, non solamente perché le verità botaniche erano quelle antiche, ma anche perché quelle micro produzioni Specialty venivano mescolate con la produzione di massa e aiutavano ad aumentare la qualità.
Quale motivazione c’è dietro al sempre maggiore utilizzo dei nuovi cultivar provenienti da incroci con l’HdT e quali prospettive per il futuro
La liberalizzazione del mercato del caffè e la fissazione dei prezzi di acquisto del verde lasciato in mano delle operazioni speculative sulle borse merci di New York e Londra hanno letteralmente spazzato via la buona qualità delle produzioni commerciali creando un enorme danno ai paesi di produzione. Chi ha tratto grande beneficio da questa operazione? A mio parere, in primis, le più importanti multinazionali del caffè verde che hanno trovato nell’oscillazione dei prezzi un motivo di maggiore speculazione a scapito dei paesi produttori. Nei periodi di prezzi troppo bassi i produttori e le cooperative sono stati costretti a indebitarsi oltre ogni modo creando un legame di sudditanza con i grandi compratori di caffè.
Oggi i produttori riescono a mala pena a sopravvivere finanziariamente solamente se producono maggiori quantità, e non certamente se offrono la migliore qualità! Ovviamente anche le grandi multinazionali del caffè tostato hanno l’interesse a comprare la materia prima al prezzo più basso. In questo contesto le nuove cultivar che producono minore qualità e maggiori quantità non riescono ad entrare nel mercato Specialty in quanto la qualità raggiunta non è sufficiente per questo upgrade di classificazione.
Come fare quindi a uscire da questo circolo perverso che conduce solamente alla diminuzione della qualità dell’Arabica e a una maggiore spinta alla produzione di Canephora?
Credo sia di fondamentale importanza che i paesi d’origine riprendano in mano le redini delle regole di vendita ed esportazione
Fissando per ciascun paese un prezzo minimo di esportazione che tenga conto delle varietà botaniche coltivate e dei costi di produzione. Solamente così sarà dato il giusto riconoscimento al lavoro dei contadini e il maggiore valore di prodotto dato dalla maggiore qualità di tazza prodotta dalle migliori varietà botaniche.
Allo stesso tempo le torrefazioni virtuose devono agire sui mercati di consumo divulgando cultura sul caffè rendono i consumatori consapevoli che in questa filiera c’è differenziazione di prodotto e che qualità diverse devono avere prezzi differenti. Seguendo la scia di ciò che SCA è riuscita a fare fino ad oggi l’industria ha quindi l’arduo compito di creare maggiore valore aggiunto di prodotto e di costruire un nuovo legame virtuoso con i paesi di produzione.
Con queste affermazioni non voglio dire che l’HdT sia stata una pessima scoperta e che l’utilizzo dei nuovi cultivar non sia una pratica ammissibile ma che questo processo dovrebbe essere accompagnato da una concertazione di tutti gli attori della filiera, sia di quelli che lavorano nei paesi di produzione che di quelli dei paesi consumatori.
In generale ritengo che uno delle grandi ingiustizie della filiera siano causate dalle borse merci: un’azione coraggiosa e pionieristica dei paesi di produzione dovrebbe imporre un modello di contrattazione differente, un modello maggiormente sostenibile e socialmente responsabile.
Per concludere questa terza puntata dell’articolo e per fare una riflessione utile alla torrefazione italiana, direi che i punti principali che meritano una riflessione potrebbero essere i seguenti:
– Le vecchie ricette di miscelazione dei caffè per l’espresso ideate fino alla metà del 1900
non hanno più senso di esistere, i caffè odierni prodotti in quelle regioni sono
profondamente diversi.
– È necessario un lavoro di riscoperta e di valorizzazione delle antiche ricette di miscelazione alla luce del flavore che queste erano in grado di dare quando furono ideate. Spostando il focus delle ricette prodotto sul flavore è possibile trovare oggi sul mercato dei caffè simili in grado di riprodurre quelle ricette.
– Per garantire la coltivazione nei paesi di origine di varietà botaniche antiche sarebbe
auspicabile una collaborazione tra il settore privato e pubblico in grado di promuovere la
produzione di un caffè di migliore qualità.
– La torrefazione dovrebbe indagare maggiormente sui lotti di caffè verde che compra in particolare con un attento monitoraggio delle varietà botaniche che è possibile fare grazie alle analisi del DNA fornite dall’azienda triestina DNA Analytica https://www.dna-analytica.it/
Andrej Godina – aj.godina@gmail.com