Andrej Godina, dottore di ricerca in scienza, tecnologia ed economia nell’industria del caffè, analizza la scena della terza onda del caffè specialty in Italia affermando come, fino a poco tempo fa, si è voluto imporre un cambiamento drastico senza tenere conto delle preferenze e delle abitudini dei consumatori, i quali hanno disprezzato l’eccessiva acidità delle miscele.
Godina afferma però che il panorama sta lentamente cambiando con l’introduzione di nuove offerte che sanno bilanciare qualità, gusto e aroma. Un esempio? Il nuovo locale di Ditta Artigianale a Milano. Leggiamo di seguito le considerazioni dell’esperto.
L’Italia entra nella terza onda del caffè
di Andrej Godina
MILANO – “L’industria del caffè in Europa ha deciso nel 2000 che era il momento di evolvere la qualità della tazza al consumatore e di entrare nella cosiddetta terza onda dello specialty coffee. Fu così costituita l’associazione Specialty Coffee of Europe che mi vide protagonista fin da subito quale socio e come primo trainer autorizzato in tutti i moduli formativi.
Lo specialty coffee è un prodotto che appartiene solamente alla specie botanica Arabica e che fin dalla sua prima diffusione ha interessato il metodo di estrazione a filtro, dove è gradito l’utilizzo di caffè spiccatamente acidi.
Nei primi anni dalla sua nascita, lo specialty coffee si è diffuso in Europa, in particolare nel nord, dove oltre al caffè filtro ha iniziato a essere consumato anche in versione espresso e cappuccino.
I micro-torrefattori nordici, tradizionalmente abituati a tostature molto chiare, non avevano esperienza nella tostatura più scura tipica dell’espresso. Di conseguenza, i loro espressi risultavano spesso molto acidi, ma venivano comunque apprezzati perché consumati principalmente con il latte.
Dopo qualche anno, lo specialty coffee è arrivato in Italia e i primi a produrlo, non avendo alte competenze di tostatura, di mercato e di filiera, si sono limitati a copiare ciò che si faceva all’estero.

Per questo motivo l’evoluzione del caffè specialty in Italia ha attraversato fasi alterne, passando da un primo periodo marcato da un’accoglienza entusiasta che però ha raccolto pochissime adesioni, per poi arrivare a una sostanziale battuta d’arresto causata da errori strategici nella sua proposta al pubblico.
Per anni, il mercato italiano dello specialty coffee è stato dominato da caffè con tostature estremamente chiare, adatte principalmente alla preparazione filtro, oltre a profili di tostatura omniroast e caratteristiche sensoriali particolarmente acide. Ora, immaginate un consumatore medio di espresso, da sempre abituato a un caffè dal gusto medio-amaro e leggermente bruciato.
Se gli viene servito un espresso estremamente acido, simile a una spremuta di limone, e gli viene persino detto dal barista che non può aggiungere né zucchero né latte, è naturale che la sua esperienza risulti negativa. Ed è proprio ciò che è accaduto: molti consumatori, dopo aver assaggiato uno specialty con un’acidità eccessiva, non hanno più voluto ripetere l’esperienza, finendo per etichettare questi caffè come “imbevibili”.
Questo ha contribuito a diffondere una percezione negativa dello specialty coffee tra il pubblico italiano.
Tuttavia, una mia recente visita alla nuova caffetteria di Ditta Artigianale a Milano mi ha dato, al contrario, una conferma risolutiva: l’era degli espressi super aspri erogati da caffè tostati sottosviluppati sta per fortuna terminando.

Durante la mia visita, ho assaggiato un Costa Rica in espresso e un Geisha Colombiano in Hario V60. Entrambi i flavori mi hanno sorpreso per il loro equilibrio: un’acidità presente ma piacevole, non invadente, accompagnata da un’elevata dolcezza, rotonda e persistente. Questa esperienza mi ha fatto riflettere su quanto il settore stia maturando, abbandonando gli estremismi e dirigendosi verso un’offerta più bilanciata e accessibile.
Per troppo tempo, i micro-torrefattori italiani hanno imposto al proprio eseguo numero di seguaci delle tostature eccessivamente chiare, enfatizzando l’acidità fino a renderla aspra, spesso a scapito dell’armonia complessiva della bevanda che risulta essere poco dolce, povera di aromi e poco corposa. Il risultato è stato che molti consumatori li hanno percepiti come spremute di limone associando lo specialty coffee a un’esperienza sgradevole e tornando al rassicurante espresso tradizionale.
Il problema principale di questa fase dello specialty italiano è stato il voler imporre un cambiamento drastico senza tenere conto delle preferenze e delle abitudini dei consumatori. Gli esseri umani cercano istintivamente nei cibi e nelle bevande il dolce, e non certamente la spiccata acidità, ed è proprio la dolcezza a giocare un ruolo chiave nella fidelizzazione del cliente.
Se il caffè specialty vuole davvero iniziare ad affermarsi in Italia, deve prima conquistare il pubblico generalista con un altro approccio, fornendo caffè, anche in miscela, dal flavore dolce, equilibrato e armonioso. Solo dopo aver abituato il palato a una nuova esperienza gustativa si può introdurre, gradualmente, un’acidità più spiccata e strutturata.
A livello internazionale, il caffè ha attraversato diverse fasi evolutive, note come “coffee waves”. La prima onda, sviluppatasi tra la fine del XIX secolo e gli anni ’60, ha visto il caffè come un bene di consumo di massa, con un’enfasi sulla praticità piuttosto che sulla qualità.
Questo periodo ha avuto il suo epicentro negli Stati Uniti, con una marca come Folgers e Maxwell House che hanno reso il caffè accessibile a milioni di persone attraverso il caffè solubile e le lattine pre-macinato, trasformandolo in un’abitudine quotidiana senza particolare attenzione alla qualità o all’origine del prodotto.
La seconda onda, iniziata negli anni ’70 e proseguita fino ai primi anni 2000, ha introdotto la cultura delle caffetterie moderne, con Starbucks che ha giocato un ruolo centrale nella trasformazione dell’esperienza di consumo. Nato a Seattle nel 1971, Starbucks ha reso il caffè un’esperienza più sofisticata, puntando sull’atmosfera accogliente dei locali e sul racconto dell’origine del caffè, sebbene ancora con una qualità media standardizzata.
Nello stesso periodo, Peet’s Coffee, fondato in California, ha influenzato questa evoluzione con un’attenzione maggiore alla tostatura e al sapore del caffè.
La terza onda, che ha preso piede negli anni 2000, ha visto l’affermazione dello specialty coffee, con un focus sulla tracciabilità, sulla qualità e sulle caratteristiche sensoriali uniche di ciascuna origine. Il movimento ha avuto inizio nei paesi nordici e negli Stati Uniti, con torrefazioni pionieristiche come Stumptown Coffee Roasters a Portland, Intelligentsia Coffee a Chicago e Blue Bottle Coffee a Oakland, che hanno introdotto un approccio scientifico alla selezione e alla preparazione del caffè, privilegiando lotti singoli, metodi di estrazione precisi e un’attenzione maniacale alla tostatura chiara per valorizzare le caratteristiche naturali del caffè.
Godina: “In Italia, invece di seguire questa progressione, si è sviluppata una sorta di “terza contro-onda” che, invece di educare il pubblico e farlo avvicinare gradualmente alla qualità dello specialty coffee, lo ha respinto”.
Il risultato è stato che molti consumatori si sono sentiti alienati da un prodotto troppo distante dalle loro abitudini e hanno preferito restare fedeli all’espresso tradizionale”.
Godina aggiunge: “Questa tendenza, però, sta finalmente cambiando. Con l’apertura della nuova caffetteria di Ditta Artigianale a Milano, e alcuni altri micro torrefattori che hanno cambiato il profilo di flavore dei loro caffè prediligendo tostature più adatte all’espresso, si dimostra che lo specialty coffee può essere accessibile e piacevole per un pubblico più ampio”.
Godina conclude: “Finalmente oggi, anche in Italia, possiamo entrare nell’era della terza onda del caffè. La chiave per il futuro sta nell’offrire caffè complessi e aromatici, ma anche equilibrati e godibili, senza estremismi sensoriali. L’era dei caffè specialty iper-acidi è finita. Il futuro è un caffè di qualità che sappia anche essere inclusivo, capace di conquistare il pubblico con dolcezza ed equilibrio. È tempo di abbandonare le vecchie convinzioni e di costruire una nuova cultura del caffè in Italia, basata su un’esperienza sensoriale completa e appagante”.
Andrej Godina