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martedì 17 Dicembre 2024
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Andrej Godina dopo Report: “Perché in Italia si è arrivati a questo punto? Il torrefattore è il primo tra i vari responsabili”

Il caffesperto: "Infine lancio una sfida: dare in gestione a un torrefattore, magari proprio a Caffè Quarta, un bar classico, quello che paga l’affitto e che paga regolarmente i dipendenti, insomma ha una gestone in media con quella che è la realtà del bar, togliendoli tutti i prodotti che non sono caffè, insomma una vera e propria caffetteria."

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MILANO – Freschissimi dalla messa in onda della puntata di Report con focus sul caffè in Italia, Andrej Godina lascia il suo commento dopo essere apparso sugli schermi delle televisioni italiane descrivendo l’aroma della tazzina del Caffè degli Specchi, come un copertone dell’automobile. E non soltanto questo: per chi ha seguito l’episodio, di cose se ne sono dette.

Godina: prime reazioni da questo appuntamento su Rai 3?

“Personalmente sono molto contento di com’è andata. Per quanto riguarda le condizioni che si trovano nei bar, restando più orientati sulla figura del barista che dovrebbe assicurare un caffè di qualità con delle operazioni necessarie, devo dire che siamo ancora al punto di partenza della puntata di 6 anni fa: tanti baristi ancora non sanno nulla della materia prima che trasformano e non puliscono la macchina.

Certo si deve sempre considerare che sono andati in onda quasi solamente i casi poco virtuosi. Ma sono sicuro che rispetto alla prima inchiesta di Report, se si va anche solo
negli Autogrill sulle autostrade la situazione è migliorata.

A Napoli, in alcuni caffè effettivamente sono stati ripresi dei casi che sono restati alla preistoria. È stato come entrare nel mondo del vino di 40 anni fa, con l’unica distinzione tra vino rosso e bianco della casa.

Il tema della tostatura scura affrontato da Bernardo Iovene è spinoso, bisogna sottolineare che se questo colore di tostatura viene fatto con la motivazione di nascondere i difetti della materia prima è un qualcosa da condannare, se invece è fatto per creare un determinato flavore finale, più intenso e corposo allora è un qualcosa da valorizzare.

Questa tostatura scura virtuosa, ovvero quella di un torrefattore che la usa su qualità di caffè verde di qualità e per conferire dei flavori più intensi, andrebbe maggiormente comunicata e spiegata.

Le tostature scure sono semplicemente una possibile declinazione di come il chicco può essere tostato ed è naturale che in questi casi gli oli contenuti nei chicchi fuoriescano in superficie.

Sul tema della tostatura ci sono due estremi che andrebbero mediati: da un lato la tostatura troppo chiara tipica delle micro roastery Specialty, spesso chiamate della “terza onda” che produce una bevanda molto acida, povera di corpo e di complessità aromatica e che risulta spesso imbevibile preparata in espresso. E poi c’è quella scura troppo spinta che brucia i chicchi e che conferisce solamente un gusto amaro con aroma di bruciato e un corpo astringente.”

Entriamo invece virtualmente di nuovo al Caffè degli Specchi: lei ha avuto una reazione molto dura di fronte all’affermazione del gestore quando ha detto “Qua in tutti questi anni nessuno si è mai lamentato

“Per commentare è necessario partire da una premessa, ovvero dalla dichiarazione che il gestore del Caffè degli Specchi fa sul caffè che pensa di servire: 99% di Arabica. È bastato osservare insieme al suo barista i chicchi, per scoprire che invece si tratta di una miscela composta da 70% di Arabica e 30% di Robusta. Questa semplice premessa fin da subito evidenzia di come non ci sia conoscenza di prodotto.

Un altro aspetto importante da non trascurare è che al Caffè degli Specchi l’espresso si vende a un euro: la strategia della gestione è di mantenere basso il costo della tazzina per attirare i clienti che acquistano poi altro. Quindi l’espresso è un prodotto gestito in modalità “sotto costo”. Questo dimostra come il gestore di un locale così importante, non ha alcuna considerazione di valore e alcuna idea di quello che sta servendo.

Questo è un tipico caso un cui è possibile affermare che siamo a zero sulla cultura di prodotto e non c’è alcuna intenzione di fare cultura al consumatore.

L’idea del “facciamo molti volumi, milioni di tazzine ogni anno, allora che c’è grande qualità”, non è più valida nel nostro settore: nel corso degli anni non è mai stata proposta la cultura di prodotto e quindi il consumatore italiano medio non è in grado di fare la giusta distinzione tra vari livelli qualitativi.

Oggi invece con i caffè Specialty e tanti baristi che lavorano bene c’è maggiore varietà e possibilità di bere caffè di alta qualità. Il consumatore si affeziona a un bar, ad un ambiente, ad un’esperienza. Il caffè di bassa qualità proposto per tanto tempo, diventa un’abitudine che prescinda dalla sua qualità. Oggi è giunto il momento di cambiare!

Perché in Italia si è arrivati a questo punto? Parlando di responsabilità partirei proprio dal torrefattore, perché lui trasforma e seleziona la materia prima, sceglie il grado di tostatura e ne determina i flavori finali in tazza. Ci sono i dovuti esempi virtuosi, ma in media si è fatto poco in termini di cultura di prodotto.

Questa poca cultura ricade sul gestore che spesso non ha idea di quello che serve ai propri clienti e di conseguenza non può trasmettere conoscenze al consumatore finale. E poi il prezzo della tazzina è troppo basso e onestamente non ho ancora capito perché il caffè deve costare sempre lo stesso prezzo indipendentemente dalla qualità che ci sta dietro.”

Questa puntata Godina, secondo lei arriva alle orecchie dei consumatori?

“L’episodio di Report, a mio parere, ha fatto cultura, in particolare mettendo in luce quello che il barista dovrebbe fare dietro al bancone, con una serie di passaggi che in genere non avvengono perché manca la formazione formale. La mancata formazione comporta non solo che l’operatore non sa scegliere il caffè da servire, ma non si occupa di pulire la doccetta, la campana del macinino, di fare la macinatura sul momento.

E alla fine tutto questo è a danno del consumatore che si vede servire caffè di bassa qualità dove è costretto ad aggiungere il latte e lo zucchero. Report ha dichiarato ancora una volta ciò che il barista fa di sbagliato e questo dovrebbe portare da oggi in poi il consumatore a controllare quello che viene fatto al bar e quello che non dovrebbe trovarsi. D’altro canto questo dovrebbe indurre i baristi a farsi delle domande su ciò che fanno quotidianamente e spingerli a fare un percorso di formazione.

Nel 2024 non è più possibile che il barista non abbia alcuna idea di quello che sta estraendo, Arabica, Robusta, tostatura chiara, media, quali origini.”

L’appello di Godina

“Mi rivolgo alle associazioni di categoria come per esempio la Fipe: perché ancora non si è fatta una campagna di diversificazione di prezzi sul caffè, considerando che in media rappresenta un terzo di fatturato del bar italiano? Sarebbe necessario spingere queste associazioni a organizzare corsi di formazione ai soci in modo che divengano sempre più esperti di caffè e eventi di coinvolgimento della stampa per sdoganare alcuni punti critici attorno alla tazzina.

Ci sarebbe bisogno che le torrefazioni iniziassero a fare più filiera, copiando quello che hanno fatto i produttori di vino che si sono uniti per esempio per consorziarsi e per creare le denominazioni di origine, oppure come i produttori di parmigiano reggiano hanno fatto con la creazione del consorzio.

Sfortunatamente nel mondo del caffè italiano ciascuno procede secondo i propri interessi aziendali, c’è poco dialogo, la filiera è ancora frammentata e non si riesce a fare fronte comune per gli aspetti positivi dell’espresso.”

Un altro punto da approfondire sono gli Istituti Alberghieri.

Godina: “Ci sono alcune scuole virtuose, ma purtroppo la maggior parte hanno un’offerta formativa non all’altezza, non possono contare su un budget necessario per dotarsi di macchinari all’avanguardia né per acquistare del buon caffè. Report ha fatto vedere i baristi che si formano da soli dietro al bancone, ma è vero che gran parte dei baristi provengono dagli istituti alberghieri all’interno dei quali non è garantito che imparino le nozioni e le pratiche corrette.

I docenti spesso non sono formati adeguatamente, non fanno corsi di aggiornamento sulla materia caffè e non sanno riconoscere i flavori. Anche in questo caso i torrefattori, dovrebbero fare fronte comune a livello regionale o provinciale e offrire un sostegno agli
istituti del territorio per garantire una formazione di base migliore agli studenti.”

Godina poi conclude sulla questione del prezzo al bar

“L’aumento del prezzo della tazzina in realtà è a vantaggio per tutti gli operatori: il consumatore pagherà di più come però ha dovuto fare con molti altri prodotti. Perché per il caffè non dovrebbe essere altrettanto?

Infatti rispetto alla dichiarazione di Antonio Quarta mi trovo in forte disaccordo. Chi ha deciso che il caffè deve essere un prodotto popolare a prezzi calmierati? Il caffè non è un alimento di base, le persone per la sopravvivenza hanno bisogno di calorie e di acqua. L’espresso ha solamente 2 calorie e la quantità di acqua non è utile per dissetarsi. Al bar assistiamo al paradosso che la bottiglietta d’acqua costa più dell’espresso, si parte da 1,5 fino ai 4 euro in qualche aeroporto. L’acqua è un bene di prima necessità, è proprio su
questo che bisognerebbe battersi per ottenere un prezzo calmierato!

Come si può dichiarare che l’espresso deve restare a un prezzo di base basso, politico, pensando che ci mette un anno a maturare sulla pianta, che cresce a decine di migliaia di chilometri, che contiene più di 1.500 aromi volatili, che contiene la dose di caffeina, che dev’essere tostato e infine preparato al momento?

Che messaggio si lascia trasparire al consumatore finale?

Di banalizzazione, di svalorizzazione del prodotto e di tutta la filiera che ci sta alle spalle, a mio parare dovrebbe essere tutto il contrario.

In questo ultimo caso lancio una sfida: dare in gestione a un torrefattore, magari proprio a Caffè Quarta, un bar classico, quello che paga l’affitto e che paga regolarmente i dipendenti, insomma ha una gestione in media con quella che è la realtà del bar, togliendoli tutti i prodotti che non sono caffè, insomma una vera e propria caffetteria.

Sono curioso di sapere se questo locale è in grado di mantenersi economicamente vendendo il caffè al “prezzo politico” dichiarato da Antonio Quarta, sono curioso di verificare se nella pratica e con il margine di guadagno del solo espresso, è possibile restare attivi.”

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