MILANO – Si è presentato sulla pedana mondiale nei panni di un uomo dell’800, il campione italiano di Coffee in good spirits Andrea Villa e ha ottenuto un favoloso terzo posto a Copenaghen. Ricordiamo che la medaglia di bronzo era già stata conquistata da Francesco Corona, cinque volte campione italiano CIGS, che è salito sul podio dei mondiali Scae di questa disciplina nel 2009 a Colonia. Dopo aver viaggiato rigorosamente sul furgoncino in compagnia di tutta la famiglia Bugan, torna a casa con la consapevolezza di aver scritto un pezzo della storia dei campionati.
Villa, quindi come vive l’essere arrivato a questo traguardo mai raggiunto da un altro italiano prima d’ora?
“Molto felice e orgoglioso. Non mi aspettavo di arrivare così in alto, anche se naturalmente ci eravamo preparati insieme al team per proporre una bella gara. Poi quando si entra nel vivo della partita, può succedere di tutto a causa di un errore imprevisto, ma una volta arrivati in finale ho capito che potevo giocarmela e divertirmi.”
Questo è la seconda volta che si cimenta ai mondiali: cosa è andato di diverso dal primo giro?
Villa: “L’organizzazione innanzitutto. Abbiamo pensato alla gara nei minimi particolari, a partire dal viaggio sino alla routine di training. Per la performance ci siamo concentrati maggiormente sulla ricerca degli ingredienti e sulla formulazione dei cocktail.
Arrivare ai mondiali è stato un percorso attorno ai 4 elementi e di come questi entrino sia nella miscelazione sia nel mondo del caffè: ad esempio in un lavato conta l’acqua, nella fermentazione è prevista la terra, nell’essicazione il fuoco e l’aria. Allo stesso modo nella mixology, tutti questi fattori sono coinvolti e combinati.
Ho usato prodotti anche molto diversi da quello che si vede di solito in questa categoria, come un estratto di barbabietola, uno sciroppo di finocchio, un Umeshu – liquore giapponese che si serve di solito a fine pasto e che io invece ho impiegato come ingrediente per dare una forza aromatica e di dolcezza particolare -.
Ho ricreato il ciclo dell’acqua e della pioggia, usando una soluzione citrica e facendo passare l’acqua attraverso la terra e filtrandola sul palco. La gara in effetti è simile a quella che ho portato a Sigep, ma è stata messa a punto meglio.
Poi ho affrontato anche le altre fasi – spirit bar e finale – che prevedevano l’uso obbligatorio degli alcol sponsor.
Sulla preparazione dell’Irish coffee prevista uguale per tutti, con l’uso dovuto di un single malt molto buono, ho dovuto studiare un modo per potermi distinguere: la sfida è stata saperlo bilanciare con il caffè, scegliere lo sciroppo e anche scegliere la panna. Siamo partiti dall’Italia in furgone senza portarcene, perché nei paesi nordici esiste una grande ricerca e tradizione sul latte.
Così quando le persone che conosciamo in Danimarca ci hanno garantito che avremmo trovato soluzioni particolari con una percentuale di panna maggiore, ci siamo decisi.
Una volta arrivati a Copenaghen abbiamo passato la prima giornata ad assaggiare panne per selezionare quella giusta per l’Irish coffee: ha vinto una con 38% di grassi, estremamente dolce, con un colore giallo che appare meno standardizzato. “
Alla giuria cosa ha convinto di più?
“Sicuramente il mio spirito. Ho ricostruito il viaggio di Jules Verne al centro della terra nello Spirit bar. L’empatia con i giudici è stata fondamentale, perché ho voluto ricalcare l’accoglienza che deve esserci in un locale dove il cliente deve essere soddisfatto ancor prima di bere il drink.
Poi ovviamente grande ruolo lo ha avuto il caffè: sia Federico Pinna che Daniele Ricci sono andati in Colombia e hanno portato a casa degli specialty incredibili. Ne ho scelto due dalla farm El diviso, e una della farm Las Flores, entrambe rivoluzionarie perché svolgono tantissima ricerca sulla materia prima e la sua lavorazione.
Li ho usati in filtro e in espresso: per il drink caldo ho usato il filtro mentre l’espresso per il drink caldo. Avevo bisogno di maggiore forza aromatica nel caldo, e nel freddo di intensità.”
Quindi Villa ha gestito meglio lo stress?
“Innanzitutto per la mia serenità devo sempre ringraziare la mia compagna Jessica, che mi dà sempre sicurezza. Poi sono riuscito a gestire meglio il fattore mentale anche perché sono stato accompagnato da Federico e Daniele.
Bugan, con Maurizio e Sonia Valli in prima linea, è un team che c’è, che ci mette la firma e anche la faccia. È sempre una sfida trovarsi lì e quando si è sul palco si rappresenta non solo una squadra ma una nazione e questo comporta una certa responsabilità e del rispetto.
C’è stato anche uno studio in fase di roasting con Roberto Breno che ha impiegato diversi tentativi per trovare la quadra. Abbiamo prestato molta attenzione al rapporto acqua-caffè, per capire come bilanciare i due.
In espresso abbiamo allungato tanto l’estrazione, perché era un caffè che aveva bisogno di uno shot estremamente dilatato (20 grammi di polvere per 55 grammi di liquido). Per quanto riguarda la granulometria, abbiamo giocato su quella del filtro, tenendola più larga del solito.”
I drink del mondiale sono replicabili in un locale?
“Avrebbero più rilevanza se inseriti in un contesto specifico, magari durante delle serate dedicate, perché sono signature che hanno bisogno di una narrazione alle spalle. In un locale che non presta la giusta attenzione, non avrebbe neppure senso selezionare i gin.”
Cose che si rimprovera e cosa invece che pensa di aver fatto benissimo?
“Potendo tornare indietro probabilmente mi piacerebbe avere una settimana in più da dedicare soltanto alla preparazione per la finale.”
Villa sta già pensando a competere di nuovo o si prende una meritata pausa?
Villa ride: “No, non sto pensando già alla prossima gara: ora mi godo il meritato riposo.”