MILANO – Nell’ultimo rapporto divulgato dall’Ufficio Studi della Federazione pubblici esercizi (Fipe) lo scorso 4 aprile, i dati descrivono un settore della ristorazione molto dinamico, con ben 336 mila imprese attive nel 2022. Sezionando ulteriormente questo numero però il quadro appare più squilibrato: 9.526 pubblici esercizi sono stati avviati nel corso dello stesso anno, mentre sono quasi 20.139 sono quelli che hanno dovuto chiudere i battenti, con un saldo negativo di oltre 10.600 unità.
Con questi dati alla mano, abbiamo voluto capire con chi in prima linea si occupa di mandare avanti queste realtà legate all’ospitalità, quali sono i problemi concreti da affrontare per mantenere un bilancio positivo per il proprio locale.
Costi, margini, personale, rincaro dei prezzi, fasce orarie, location: questi sono alcuni dei punti che abbiamo approfondito a contatto diretto con i gestori e con chi si occupa di fare formazione di tipo manageriale.
Per chi ha le giuste competenze, resta una sfida continua far quadrare i conti, ma poter contare su una solida organizzazione e sapere come poter gestire il flusso di cassa (e come nel caso potenziarlo), aiuta a restare aperti, seppur con pochi margini.
L’espresso resta ancora e sempre il prodotto di punta per un bar? La colazione è il momento della giornata in cui si battono più scontrini? Come funziona il comodato d’uso? Queste sono alcune delle domande che abbiamo posto ai professionisti che devono confrontarsi con questi dubbi tutti i giorni.
Facendo la dovuta chiarezza per chi pensa che avviare una caffetteria sia un’impresa facile o per chi si chiede quanto si possa guadagnare faticando ogni giorno al servizio del consumatore finale – no, i gestori non diventano ricchi sulle tasche del cliente -.
Il primo intervento che condividiamo è quello di Andrea Panizzardi, che gestisce con successo il Bar Fortuna Casalnoceto (provincia di Alessandria)
E che abbiamo conosciuto diverse volte su queste pagine.
Quanto guadagna un bar su ogni caffè venduto, considerate le tante voci di spesa
per un locale?
“Per aprire una caffetteria puntando sul caffè come core business, devi sapere dove
innanzitutto posizionarti: vicino agli uffici ad esempio, i 3 caffè canonici del personale
saranno presi nel tuo bar, e gli altri nelle macchinette dello stabile.
Concentrandosi su colazioni, pranzi e pause veloci si dovrebbe impostare il calcolo sul caffè di almeno un euro e venti o di un euro e 50, calcolando ciò che c’è dietro (dal personale, al volume di materia prima usata in un’ora. – continua Panizzardi – Facendo un esempio semplice: un’ora equivale ad un costo di manodopera di otto euro e 50, un’ora equivale anche ad un massimo di 35 espressi lavorando con una macchina a due gruppi erogatori, calcolando il tempo per macinare il caffè, posizionare tazzina, piattino, bicchiere d’acqua e calcolando anche il tempo per lavare il materiale utilizzato per la produzione e somministrazione dell’espresso stesso, l’incisione del costo del barista darà come risultato, 24 centesimi (1h = €8,50 , 1h = 35 espressi (8,50€ / 35 espressi = 0,243).
Ma non è finita qui, perché su quei 35 caffè, devi considerare anche la luce, la manutenzione delle attrezzature, le tazzine, le stoviglie, i detergenti: sono tutti costi che stanno aumentando. Per quanto riguarda il costo della corrente elettrica posso portarvi il mio esempio: Rispetto ai 400 euro al mese che pagavo nel 2014, arrivo oggi a spenderne 2000. Erano sei chilowatt, poi 11, e ora 20.
E bisogna anche calibrare i costi a seconda della potenza impiegata, che è direttamente
proporzionale alle attrezzature. Poi puoi aggiungere al bilancio anche l’affitto, (a Milano in corso Buenos Aires un collega spende 10mila euro al mese), che per la nostra zona, Bassa Val Curone – Basso Piemonte può variare dai 400 ai 700 al mese.
Ecco il mio consiglio: se il costo lordo dell’affitto mensile corrisponde all’incasso che il bar
può registrare in un giorno, allora le due cose si bilanciano. Altrimenti si va in perdita e
bisogna considerare un’altra location.”
Quanto è rilevante la gestione corretta del magazzino?
Panizzardi: “Il magazzino ha il suo peso: se so che faccio 100 chili di caffè al mese, cerco di
conservare oltre alla mia scorta mensile, un massimo di altri 80 chili (80% per ogni
evenienza).
Fare altrimenti ti espone al rischio di togliere della liquidità che è molto importante ora
avere a disposizione sempre. Se l’equivalente di 15 / 20mila euro è fermo in magazzino
può essere un problema: per cui la strategia è fare ordini più piccoli e frequenti, con un
contatto costante e chiaro con i fornitori. “
Ma la location è meglio averla più periferica abbattendo i costi dell’affitto (però offrendo esperienza di servizio e prodotti in grado di attrarre i clienti un po’ fuori dalle zone di traffico) oppure stare in un luogo centrale?
“Se sei piccolo e alle prime armi, consiglio di partire con una piccola location defilata,
puntando su un prodotto specifico e di qualità, dalla caffetteria alla birra. Dopodiché si può
pensare di espandersi scegliendo location più grandi, più belle, più centrali. Bisogna avere
inizialmente un locale che permette di avere poche spese e tanta resa. In centro, avrai il
problema di servire tanta gente in poco tempo e questo potrebbe condurti a trascurare la
qualità.
Meglio farsi prima le ossa, farsi una certa reputazione. E mettere anche in conto un
investimento sull’offerta dei prodotti, ed investire una piccola somma in pubblicità sui
media (mettendo massimo una spesa tra gli 800 e i 1000 euro in comunicazione). Bisogna considerare che i primi due anni si va in pari e bisogna raggiungere entro questo tempo il famoso “ turning point “ e da questo momento in poi si deve cercare di portare più
margine possibile.
Il business plan va fatto quindi su 5-10 anni.
Dopo i primi 5 anni non ci si può ancora adagiare: la concorrenza è sempre di più ed i
prodotti devono essere sempre aggiornati ed al passo coi tempi.”
Il personale incide per il 40% del fatturato: come rientrare?
“Sì. Come abbiamo calcolato prima il costo del personale sull’espresso e applicabile
anche su gli altri prodotti delle somministrazione, sino a raggiungere in media un costo del
40% da detrarre dal del guadagno.
E allora, come far quadrare i conti?
Cercando di caricare al massimo i prodotti di largo consumo e a poco costo, come l’acqua
che al gestore costa 12-13 centesimi al litro al discount, che viene rivenduta dieci volte il
suo prezzo. Altro caso sono le caramelle e prodotti da banco: acquistando anche delle promo dal rivenditore, in modo che regalino l’acqua o altri prodotti da banco da rivendere a prezzo pieno.
Una via è quindi investire una buona somma su prodotti da esposizione originali, che
non richiedono l’uso di frigorifero, come ad esempio: biscotti artigianali (3.50 a comprarli,
rivenduti a 6 euro, senza impiego di energia elettrica), torte, crostate e muffin. Un modello di business vincente è anche puntare sulla rivendita di caffè, in cialde o in capsule, o se piace il caffè appena bevuto al banco, rivenderlo macinato al momento, a sacchetti lo rivendo almeno a 40 euro al chilo, con un buon ricarico.
Per attutire ulteriormente il costo del personale, dedico tanto tempo alla formazione interna
aziendale, non solo quindi retribuisco il dipendente, ma lo rendo un professionista completo facendo risparmiare sia loro che la mia azienda sulla formazione , creando anche modelli da seguire per la produzione e somministrazione dei prodotti dettando precise regole e direttive di lavoro.
Ogni tot mesi faccio partire delle promozioni stagionali con la box di un tot di caffè,
palettine, capsule, ricette particolari, che fanno backoffice e fanno vendere e fidelizzano il
cliente che porta a casa sua una parte del nostro bar e del nostro brand.
Anche la digitalizzazione aiuta alla fidelizzazione e quindi a fare cassa: il Qrcode, la
registrazione delle informazioni dei clienti, aiutano ad aumentare le entrate, analizzando gli
andamenti e le preferenze di ogni cliente o gruppo di clienti.
Tutto questo mi rende possibile retribuire i miei dipendenti: ho 2 addetti cucina, poi ci
siamo io e mia moglie come collaboratori e due addetti al bancone. Ogni persona costa dai 21 ai 29 mila euro l’anno. Ma ne vale la pena: dalle 6 alle 24 bisogna avere dei modelli di business che funzionano.”
Panizzardi, come commenta il comodato d’uso?
“Lo sconsiglio, perché ragiono da caffetteria indipendente e da torrefattore. Se volessi
aprire una ditta edile, per esempio, non vorrei farmi prestare gli strumenti dalla ferramenta
o da un mio competitor, ma vorrei investire. Nel tempo i torrefattori hanno trasformato questo mercato seguendo una concezione sbagliata, cioè di un settore aperto e composto da chi non sa cosa fare come lavoro e allora apre un bar perché tanto i fornitori danno tutto.
Come fanno a rientrare i torrefattori di questo enorme finanziamento (in termine di denaro, macchine e forniture)?
Dando materiali e prodotti dal valore commerciale medio basso (un esempio è il caffè che
si trova dentro le tramogge dei macinini al bar, che lo stesso si può trovare al supermercato a 10 euro al chilo e che invece al barista viene venduto a 28 euro al chilo). Così ci si convince che avviare una caffetteria si possa fare senza competenze e investimenti.”
Ma non scegliendo il comodato, quanto servirebbe per partire indipendenti?
“In una cittadina tra i 5 e 10mila abitanti come la nostra vicina Tortona (AL), calcolando un
massimo 1.000 al mese di affitto per un locale di 70 metri quadrati, ci vogliono 50mila
euro di investimento iniziale, con i quali si può vivere i primi due e tre anni tranquilli. Una macchina del caffè oggi nuova, con macinino, depuratore, a due gruppi, può costare dai 3500 più iva ai 10mila euro.
Puoi persino anche acquistare la tostatrice. Ricordiamoci che, nel momento in cui ti
“regalano” tutto, l’idea che passa è che chiunque possa fare questo mestiere senza dargli
il giusto valore e la giusta formazione.”
Panizzardi, ci fa un calcolo sul fatturato?
“Come fatturato totale (la mia attività a cui bisogna aggiungere la rivendita di generi di
monopolio, edicola, giochi, dato che siamo la tabaccheria storica di 150 anni che attira il
cliente d’impulso, la caffetteria da colazione, aperitivo, a cena e infine la torrefazione)
dividendo il tutto, abbiamo una ditta di circa quasi 640mila euro all’anno, di cui puliti
restano 50mila euro da dividere in due con stipendi certificati.
Il mio progetto è di portare questo modello di business verso quello di franchising ed
essere tranquillo.”
Colazione versus aperitivo: quale dà più margine?
“Chi dice che l’aperitivo dà più margine, lo afferma perché non ha ancora cambiato modo
di fare colazione. C’è un po’ di scollamento tra gli insegnamenti teorici impartiti dalle
scuole di caffè e la loro applicazione pratica: conoscere il tds, non serve molto a
modificare le modalità di vendita della bevanda. Proviamo invece a portare il filtro nella colazione: mug, black americano, batch brew o il chemex al tavolo con pane burro e marmellata, crostata, muffin.
Tutte voci che sono più della solita brioche: 74 cornetti al giorno non fanno margine e
questo non sta neppure sull’espresso e la brioche, ma su chi si siede e prende anche la
spremuta, la torta che facciamo noi (poca spesa e tanta resa) e alla fine, ordina una
brocca di chemex da dividere in 4-5. Questo riesco a farlo in un piccolo paese. Bisogna
investire e andare oltre la brioche e cappuccino, che non portano più il guadagno di
un tempo.
Sulle bevande vegetali: mi sono imposto un massimo di tre opzioni, latte vaccino, bevanda alla soia e uno a mia scelta. La mia idea è che il mio core business è la caffetteria e quindi devo dare sempre un’alternativa, senza però confondere il cliente con un eccesso di soluzioni. Il menù deve mantenersi piccolo, con 10 bevande di caffè e latte. E per avere un margine su queste bevande vegetali, devi aumentare il prezzo al cliente finale.”
Quali sono i numeri che registra attorno al caffè?
“Prepariamo 300 espressi classici al giorno, altri 200 espressi “più forti” 200, quelli più
leggeri con 100% arabica etiope sono attorno agli 80; mentre l’espresso specialty
dall’Honduras (2 euro a tazza) arriva ai 30/50 al giorno. I filtrati, che solitamente sono concentrati nel mattino o alla merenda, equivalgono a 25/30 estrazioni da due o tre tazze.
È una media più che buona.”
Il Covid ha cambiato ulteriormente le carte in tavola?
Panizzardi conclude: “Ci sono stati dei cambiamenti sostanziali: il primo è proprio il dipendente, che ha capito che può restare a casa e non lavorare. Quindi il rapporto con il datore di lavoro deve
essere incentivante. Anche il cliente sa che può bere stando nella sua cucina e magari fa
lo smart working: devi quindi proporre una parte del prodotto pensato da portare a domicilio (anche i 250 grammi di caffè, o le attrezzature come l’aeropress da acquistare per la preparazione in casa).
Non ho mai fatto buffet, tanto meno li propongo adesso: l’aperitivo da noi è sempre servito
al tavolo. Ora le persone ci dedicano più tempo e quindi è cambiato il modo di vivere il bar:
noi lavoriamo su 200 metri quadri e possiamo far stare i clienti più sereni e distanziati.
Bisogna ricordarsi tutti, che lavoriamo nell’ospitalità: bisogna occuparsi di ciascun
consumatore allo stesso modo, anche chi non spende molto.”