MILANO – Come presentare Andrea Panizzardi in poche parole? Partiamo dal fatto che è il titolare della caffetteria Bar Fortuna insieme a sua moglie, e dello studio che ospita il suo brand Alternative Coffee Panizza. Lui stesso si è raccontato così: “Mi piace definirmi un barista a tutto tondo. Seguo il caffè, che è la materia principale con la quale lavoro, a partire dalla piantagione e dalla piantumazione sino alla sua estrazione, curandone tutti i vari passaggi: la coltivazione, il modo in cui arriva in Italia (voglio sapere se in container, in sacchi di juta, in bustoni di plastica), la tostatura, la macinatura e l’estrazione. Mi appassiona anche il discorso “acqua”, così come gli abbinamenti della bevanda con zenzero, cacao, curcuma e aromatizzanti home made, come base di mixology. E ovviamente, non trascuro la presentazione: l’espresso servito in un certo tipo di tazza e di materiale, la latte art. Soprattutto, do valore all’ambiente in cui viene consumato il caffè: l’atmosfera contribuisce a offrire un certo tipo di esperienza gustativa. “
Ma noi sappiamo anche che Andrea Panizzardi è anche uno a cui piace gareggiare. Questo perché: “Più ci si mette in gioco, più si ampliano le proprie conoscenze e si migliora il modo di comunicare. Le prime gare per esempio, non riuscivo neppure ad esprimermi, poi ho vinto la moka challenge. E in queste occasioni che si crea una rete di condivisione, si instaurano contatti e relazioni. È qualcosa che dovrebbe far parte di qualsiasi barista 4.0. per vedere anche sotto un altro punto di vista la bevanda, che non è solamente un prodotto che ti porta guadagno.”
Il barista 4.0. Ecco il punto nevralgico attorno a cui ha voluto iniziare il suo 2022 Panizzardi
Riallacciandosi anche al discorso dell’incentivo per le macchine del caffè 4.0., che era valido nello scorso anno e che probabilmente verrà rinnovato anche per il 2022, un grosso assist per i professionisti che vogliono avvalersi di strumentazioni di livello. Il bonus funzionava così, ci spiega Panizzardi: nel momento in cui si acquistava un macinino o una macchina
del caffè o qualsiasi altro attrezzo da lavoro che ha installato al suo interno un componente come una presa usb o un’interfaccia grafica che può collegarsi a internet, è stata offerta la possibilità di pagarli o con l’applicazione di uno sconto o deducendo la metà del suo costo dalle tasse nell’arco di 5 anni. Racconta
Panizzardi: “Per esempio, per una startup che abbiamo aperto come temporary shop e che poi svilupperemo quest’anno, abbiamo acquistato una Faema E71E touch, approfittando proprio di questo incentivo.”
Bene, Panizzardi, con quali propositi inizia il 2022?
“Sembrerà strano leggerlo, ma da barista 4.0., mi sveglio la mattina e il primo pensiero è: come posso dare una mano alla community, nonostante gli haters? La risposta arriva presto: scrivendo articoli nel mio blog personale, oppure condividendo la mia giornata lavorativa, diffondendo le estrazioni alternative e dando degli stimoli ai miei colleghi. Un esempio è l’ultimo reel che ho condiviso sul Chemex: qualcuno che lo ha visto, poi mi ha scritto per farmi delle domande.
Da lì parte il dialogo, e mi spingo oltre consigliando anche il tipo di acqua usata o approfondendo altri discorsi che sembrano banali, ma che in realtà fanno nascere degli spunti e ulteriori degli scambi. Da un piccolo post nasce la condivisione di informazioni.”
Un’altra cosa importante che ha sottolineato Panizzardi è il materiale didattico:
“Se ad esempio mi prestano o compro un libro di caffetteria, preparo dei riassunti o faccio delle foto di alcuni passaggi che trovo fondamentali, per poi condividerle (naturalmente dopo aver chiesto all’autore). Magari, così facendo, faccio nascere la curiosità nella community.”
Un’altra cosa che dovrebbe fare il barista 4.0. è l’analisi del prodotto che acquista
Non per forza in modo chimico scientifico – precisa Panizzardi, che su questo punto insiste particolarmente – ma semplicemente informandosi sull’origine del caffè, chiedendo ai torrefattori che cosa contiene il prodotto. Si può valutare e selezionare così anche i propri fornitori in base alla qualità. “Tutti insieme così si cresce e si sviluppa una certa responsabilità e livello di conoscenza. Siamo così più coscienti di quello che poi prepariamo in tazza, senza cadere nelle pubblicità e nei prezzi gonfiati dei venditori. “
E la formazione del barista 4.0?
Panizzardi usa un termine che lascia spazio all’immaginazione: “La immagino un po’ open: si deve evitare di schierarsi. Oggi spesso si creano diverse fazioni che non collaborano tra di loro. Invece, va bene formarsi con Sca, con Aicaf, con Accademia dell’espresso o con chiunque sia: l’essenziale è scegliere il proprio trainer qualificato che punti a una formazione effettiva del barista. Incentrandosi sulle operazioni che dovrà svolgere quotidianamente al di là del legame a determinati marchi. L’esperienza pratica è importante: io stesso, nella zona di Tortona, mi confronto con dei ragazzi che non hanno alle spalle una reale esperienza professionalizzante e fornisco loro assistenza, però senza potergli fornire delle certificazioni finali (per quello bisogna rivolgersi alle giuste associazioni con i trainer più giusti).
E poi la formazione dev’esser continua. Prendo il mio esempio: Mariano Semino di Sca è il mio attuale trainer, con cui mi confronto in continuo aggiornamento. Non ci dev’essere una gerarchia tra chi è un campione di moka, e chi no: bisogna scambiarsi competenze e conoscenze. È bello poter sempre mettersi in gioco e avere dei riscontri da altri professionisti.
Ho avuto colleghi ancorati alla loro esperienza di trent’anni, anche nello specialty: ma questo mondo è in continua evoluzione in tutte le sue figure. Oggi anche il barista ha una responsabilità più grande, perché gli stessi consumatori sono più consapevoli e quindi vogliono confrontarsi con chi conosce la materia: hanno un palato più preparato. Ormai il pubblico della zona in cui lavoro dal 2015 in poi, è diventato più esigente, non buttano giù più un caffè qualsiasi. Riconoscono uno specialty da un caffè commerciale: io stesso mi diverto a metterli alla prova.
Prima di chiudere il 2021, nell’ultimo allenamento di calcio con dei ragazzi, ho portato un El Salvador. Ho proposto un assaggio alla cieca con una tazzina di espresso doppio e ho chiesto loro di indovinarne le caratteristiche: tre ragazzini sono riusciti a individuarli. È una mia soddisfazione personale, che potrebbe e dovrebbe essere la stessa per qualsiasi barista 4.0. Dovrebbe iniziare così il 2022: creandosi la propria clientela specialty che poi chiederà in autonomia di acquistare il prodotto per prepararselo anche a casa con estrazioni alternative come l’Aeropress. “
Differenziarsi per non estinguersi: il buon proposito del 2022 di Panizzardi
Bisogna evitare il fenomeno troppo diffuso, racconta Panizzardi, della concorrenza al ribasso. Perché se il cliente non sa più a chi rivolgersi per bere un caffè preparato bene e vede solo un aumento dei prezzi, decide di andare al supermercato e comprare la capsula.
E a proposito di capsule, che cosa ne pensa lei di questo strumento domestico?
“Sono pro capsula in questo momento, se però è usata con una certa etica. Da parte mia, mi impegno ad occuparmi della raccolta degli scarti e faccio sconti al cliente che riporta le capsule in alluminio indietro. Oppure acquisto e vendo un prodotto compostabile che va nell’organico, con la certificazione TUV Austria e la tecnologia capsule-in (sia per le capsule in alluminio che per quelle compostabili zero impact). Questa mi sembra già una buona base di partenza.
Ovviamente poi la materia prima contenuta dev’esser di qualità elevata, sia che si tratti di specialty che di blend più commerciali. In questo modo, si può accettare di preparare un caffè in capsula. Anche perché, nel momento in cui io domando insistentemente di prendere il caffè in grani, spingo automaticamente il consumatore verso la grande distribuzione organizzata, dove troverà capsule con caffè pessimo, inquinanti, non sostenibili neppure per i paesi coltivatori. Allora io propongo la mia capsula.
Ora poi con i vari lockdown, ho studiato dei box con 20 caffè e bicchierini, palettine in legno, e tutto il necessario per portare un po’ della mia caffetteria in casa dei clienti. L’ho chiamato “quarantena box”: ci sono anche tre cartoline al suo interno. Una spiega l’origine del caffè (sia monorigine che blend), l’altra racconta la capsula, com’è fatta con tanto di istruzioni per lo stoccaggio: scrivo sempre “contattare il proprio comune” ma poi aggiungo anche che si può riporre nell’organico.
Nelle capsule invece che spedisco e vendo in alluminio, o a voce consiglio di riportare indietro le capsule usate e applico lo sconto a chi lo fa effettivamente, oppure fornisco una cartolina che recita chiaramente: “con 10 capsule riportate, c’è lo sconto”. Una volta consegnate a me, poi le porto all’isola ecologica nel caso della plastica, o per l’alluminio attendo la raccolta del comune. Incentivo così l’aspetto del riciclo. Di 100 capsule vendute, magari me ne tornano indietro 70: so che l’ambiente ringrazia nonostante gli sconti che poi dovrò applicare. “
Formazione diretta al cliente
Sì, perché Andrea Panizzardi non si ferma mai e attualmente sta studiando dei codici QR per collegarsi direttamente al suo canale Youtube, attraverso il quale si apre in automatico la pagina del suo sito internet con la descrizione, ad esempio, del caffè dall’Etiopia con il video e un link dedicati in cui spiega come assaggiarlo e le sue caratteristiche. Tutto qui? Niente affatto, perché Panizzardi ha pensato anche alla formazione dei colleghi: per esempio, a inizio pandemia ha portato avanti dei progetti con altri partner come Manuel Verdini, Simone Aquileia, Lorenzo Baffi, attraverso delle dirette gratuite su Instagram. Attualmente, sulla stessa scia, sta partecipando con DM Italia al progetto #CoffeePop: insomma è molto attivo anche virtualmente.
Precisa Panizzardi: “Ovvio: è una formazione che non scende nello specifico dell’analisi chimica del caffè. Ma alcuni oggi sono diventati talmente esperti che rischiano di allontanare il cliente. Il caffè invece resta un prodotto che dobbiamo bere: non si può calcolare il peso specifico del chicco da macinare costantemente. Si esce quasi fuori dal nostro mestiere. La formazione che mi piace ti deve appassionare, deve far nascere domande e dare risposte su cui sempre imparare. Prima portiamo più gente e più baristi a parlare di qualità, riconoscendola e potendola estrarre. Poi si parla di chimica del caffè. Bisogna esser, anche tra i trainer, più comprensibili, alla portata di tutti.
Ora c’è un distacco troppo elevato tra il banco bar e le lezioni. Io punto ad un percorso magari più lento, ma che raggiunga più persone. E poi, il barista 4.0. deve riscoprire la passione per la bevanda, per il suo mestiere. Non bastano solo formazione e conoscenza. Dev’essere un professionista che crede nel caffè, deve abbracciarne la filosofia. “
Il dibattito fa la differenza nella crescita di questa figura
Un mestiere che ha avuto un’evoluzione fortunatamente negli ultimi anni. Racconta Panizzardi: “Anni fa si riprendevano post e articoli di altri colleghi per fare polemica, con critiche sterili. Questo nuoce al mestiere: il barista degli anni ’80 viveva di pettegolezzi pur di tenersi dentro il cliente, screditando i suoi concorrenti.
Persone insicure, che non possono esser più presenti nel curriculum del barista 4.0. Che deve conoscere ed esser confident del suo prodotto, saperlo trasformare e raccontare, crescendo con il cliente in un’esperienza completa. Ora le cose sono cambiate: ovunque io abbia lavorato e abbia fatto dei corsi di formazione o consulenza negli ultimi anni, questo atteggiamento antiquato, per fortuna non l’ho più riscontrato. Anche nei paesini da 800 abitanti, questo approccio sta finalmente scomparendo.”