MILANO – Ultima puntata seduti insieme ad Andrea Mecozzi, tra i fondatori della piattaforma Cacao Solution: dopo aver parlato di cosa si occupa questa realtà e aver fatto la distinzione tra le diverse figure professionali di trader e sourcer, ora si scende più nel merito dell’andamento di mercato. (qui e qui, i primi articoli).
Voi come la vedete la questione dei prezzi alle stelle del cacao?
“Il mercato del cacao è complesso. Sono dieci anni che noi operatori specializzati affermiamo che è insostenibile e ora siamo arrivati ad un punto di rottura inevitabile, provocato dalla concentrazione di tre fenomeni che si conoscevano già: negli ultimi 20 anni la crescita della domanda di quantità da parte del mercato europeo è sempre stata costante, ma contemporaneamente i prezzi sono rimasti bassi per via del fatto che in Costa D’Avorio e Ghana, che producono il 70% del cacao mondiale, i coltivatori percepivano redditi bassissimi.
In quel lasso di tempo i paesi sono stati attraversati da guerra civile e precarietà finanziaria importante, spingendo in questo contesto i farmers a produrre deforestando i terreni vergini, che per 15-20 anni garantiscono una buona resa -.
Ora che i territori vergini sono finiti e allo stesso tempo le condizioni economiche dei due Paesi sono migliorate, oltre alla mancanza di manodopera – le nuove generazioni guardano ad altri mestieri in altri luoghi e quindi i coltivatori che restano nei campi sono anziani – è arrivato il cambiamento climatico che ha reso instabile la produttività.
A peggiorare ulteriormente la situazione sono entrate le guerre ancora in atto: il conflitto russo-ucraino e la crisi in Palestina, questo ha fatto sì che progressivamente i fondi speculativi, si sono spostati dall’agro per concentrarsi sull’economia di guerra, che garantisce una maggior profitto.
In questo modo è venuta a mancare la liquidità e quando si ha un prodotto ma non la liquidità, il primo resta fermo. Ora si discute sul fatto che esista o meno un po’ di stock, ma ciò che davvero è importante è sapere dove si trova questa scorta. In Colombia, c’è il doppio di cacao rispetto all’anno scorso, ma chi ha i soldi per esportarlo? Le varie associazioni del cacao, hanno fatto investimenti che ora devono ripagare. Insomma, sono tanti i fattori che hanno coinciso per creare la tempesta attuale.
Secondo le mie previsioni questa situazione durerà sino a settembre sicuramente, perché ora che sarebbero in arrivo i container rimasti bloccati dallo shock logistico di dicembre, le banche non sono ancora riuscite a restituire i soldi agli acquirenti. Quando entrerà la materia prima, migliorerà la situazione. Dall’altra parte molte aziende stanno cominciando a utilizzare surrogati e quindi, se non ci sono altre importanti variazioni, il prezzo dovrebbe abbassarsi a causa di minor richiesta.
Concluderei menzionando l’ultimo ingrediente di questo periodo difficile: ormai da due anni gli asiatici si stanno affacciando su questo settore e questo perché da 20 anni l’industria europea ha pensato che quando la Cina avrebbe aumentato del 2% i consumi, sarebbe diventata una fonte di guadagno importante. Tuttavia i cinesi si sono mossi diversamente da come ci si illudeva, ovvero copiando la tecnologia europea e vendendo le proprie macchine. Hanno capito che conveniva acquistare il semilavorato in autonomia per poi rivenderlo sul proprio mercato e in Europa e per questo hanno iniziato a finanziare gli impianti di trasformazione in Africa e sud America.”
“Da dieci anni aspettavo il Piano Mattei, che però potrebbe avere un maggiore impatto”
“I cinesi e i malesiani hanno aperto due impianti da più di 10mila tonnellate/anno ad Abidjan, per cui a dicembre 2025, se non cambiamo qualcosa, quando scatterà l’obbligo dell’EUDR, il produttore africano preferirà vendere alla Cina che paga subito e non chiede altro.
Per questo le azioni che stanno portando le aziende italiane a scendere sul terreno promosse col Piano Mattei sono un buon segno, che andrebbe sostenuto dall’UE al posto dell’incaponirsi sull’EUDR per come è concepito adesso, senza affiancare la richiesta di tracciabilità a investimenti sui produttori.
La trovo una normativa squilibrata, pensata da chi è scollegato dalla realtà delle dinamiche del mondo. Il sistema EUDR prevede che la certificazione di compliancy non sia presentata alla dogana in accesso, ma deve essere emessa lungo tutta la filiera di uso come per un vino prodotto dentro l’UE, scordando che ci sono Paesi che non hanno neppure il catasto e tutto il sistema rischia di certificare semplicemente che chi ha un appezzamento di terreno a cacao sta esportando fave, senza sapere davvero se sono le sue o del commerciante che le ha contrabbandate dalla Liberia e ha pagato una fee al contadino che ha una vecchia piantagione che produce poco”
Voi come vedete il futuro de cacao? Magari senza cacao, oppure con il cioccolato con lo zucchero preso dal cacao?
“Già da un anno e mezzo si trovano sugli scaffali dei prodotti più piccoli e con un contenuto ridotto di cacao e il consumatore non lo ha notato. Quanti ad esempio, sanno che i torroncini siciliani spesso si fanno con il surrogato e non col cioccolato? Ora molti vendono zucchero e grassi, non tanto il cacao. Quindi oggi per assurdo il mondo del cioccolato di pregio è come quello di tutti i prodotti di lusso: durante le crisi vivono il loro momento migliore.
“È un mondo che cambia e temo che a gennaio 2026, una parte dell’industria dovrà spostarsi di settore per sopravvivere”
“Il cioccolato non è vitale. In India ad esempio si bevono quantità di latte mostruose, e per questo l’industria di cioccolato vero fa fatica ad affermarsi, dato che nel loro territorio hanno talmente tante cose dolci e variegate a disposizione, che il cioccolato non risulta così attraente.
Chi consuma poco cioccolato come gli italiani, non si accorge di star mangiando spesso del surrogato o dei cioccolati a basso tenore di cacao. Adesso si parla molto del “non” cioccolato alla carruba, che purtroppo non è uno dei migliori sostituti, primo perché dovrebbe costare poco e avere caratteristiche organolettiche e tecnologiche particolari per ottenere un risultato finale interessante.
Secondo perché il vero Carrubeto è nato molti anni fa in Sicilia e usa la parte secca della polpa di carrube per il sapore, il colore e la struttura, ma per la parte grassa usa il burro di cacao, che è uno dei grassi vegetali di maggior pregio. Molti surrogati a base carruba invece oggi usano miscele di altri grassi vegetali per avere un prezzo attraente.
Inoltre se si punta per salvare l’industria su questo prodotto si dovrebbe poter contare su tanti carrubeti nazionali, che però non esistono praticamente più. La carruba ormai è un prodotto molto spesso importato per estrarre la farina di semi e la polpa è un residuo.
L’Italia è un paese che trasforma, con poche terre coltivabili. Ci sono dei progetti in atto per il reimpianto, ma bisogna scontrarsi con la redditività effettiva dei carrubeti, che è veramente ridotta. L’idea quindi sarebbe bella, ma nella pratica non è un investimento sostenibile. L’Italia produce 700mila tonnellate di cioccolato all’anno: abbiamo la stessa quantità di carruba nazionale e grassi vegetali sostitutivi per abbandonare il cacao?
La nostra salvezza sarebbe far nascere un nuovo tessuto industriale diffuso per sperimentare l’innovazione e trovare nuove strade da scalare. Bisognerebbe ispirarsi al mondo della birra artigianale e alla Svizzera dove se si mette in piedi un’azienda, non si è considerati delle grandi industrie fino ai 250mila euro di fatturato.
Al contrario in Italia, un micro torrefattore, il piccolo produttore bean to bar, ha gli stessi obblighi della grande multinazionale. I micro birrifici sono sopravvissuti e hanno creato poi innovazione anche a grandi livelli perché hanno spinto per una legge che stabilisse dei limiti per definire e tutelare l’artigiano.”
In Italia attualmente non c’è la differenza tra chocolate makers e chocolatier
“Il primo parte tostando le fave di cacao e sono molto pochi, anche se sempre di più e hanno pochi strumenti a disposizione. I secondi si occupano di trasformare e dare forma al prodotto finito partendo da un semilavorato solido. Per sostenere l’industria del cacao in Italia si dovrebbe codificare cos’è un produttore di cioccolato, cioè definire il chocolate makers e applicare una normativa più adeguata al tipo di figura.
Le condizioni per un’azienda che parte dalle fave in Italia sono asimmetriche rispetto ad altri paesi, ad esempio le fave di cacao hanno l’iva al 22%, in Francia al 4%, una bella differenza. l’iva è una partita di giro, ma quanta di questa percentuale è possibile ammortizzare? Inoltre raramente si scaricano gli aumenti dei costi di trasporto, che sono invece voci importanti per un piccolo.
Come ricetta per il futuro bisognerebbe quindi spingere per ottenere condizioni differenti per le aziende medio piccole che partono dalle fave e investire in Africa con i campioni nazionali.
In Africa Occidentale ci sono paesi che crescono del 6% da dieci anni, affamati di sviluppo e contano su nuove generazioni che hanno voglia di investire sulla filiera. La Costa d’Avorio ad esempio, che ha censiti 35 milioni di abitanti dall’età media di 20 anni è un mercato potenziale e importante: i giovani hanno internet, vivono in un Paese in crescita economica e stanno cercando un’alternativa economica che li aiuti ad elevarsi, il sistema Italia è una soluzione.”