MILANO – Ne parlava già nel 2012, ma ha confessato di averne iniziato a discutere molto prima. E Andrea Lattuada torna nel 2021 sulla questione spinosa del prezzo dell’espresso. Un euro a tazzina è un costo immobilizzato su sé stesso da troppo tempo, per ragioni che non sono più sostenibili. Il titolare dell’azienda 9bar, trainer autorizzato Sca, ex campione italiano baristi 2003 e tra i pionieri dello specialty in Italia e non soltanto, si pronuncia a distanza di anni per spingere verso un cambiamento che passa inevitabilmente attraverso qualità e formazione.
Lattuada, che cosa è cambiato in questi anni rispetto al prezzo dell’espresso?
“Dal 2012 qualcosa è cambiato. Innanzitutto una maggiore consapevolezza sviluppata soprattutto da parte dell’industria italiana che produce in primis le macchine per caffè espresso e più in generale di tutti i fabbricanti di attrezzatura per l’horeca, che hanno tratto giovamento da queste diverse “onde” nate all’estero e poi arrivate, seppur smorzate, in Italia.
Oggi si parla già di sesta se non addirittura settima “wave”, e in Italia ne sono arrivate soltanto delle ondine, perché a qualcuno faceva comodo che il consumatore non fosse così consapevole. L’industria però ha avuto il ruolo maggiore in questo processo, perché deve vendere all’estero, dove il caffè è vissuto in un’altra maniera. Hanno imparato a studiarlo e a trasformarlo secondo dettami scientifici, una cosa che invece in Italia è avvenuta poco.
Si è sempre celebrato l’espresso come un’arte, quasi un’alchimia, con poche regole e la figura del barista al centro. Che però si è scoperto che non sapeva proprio niente, non aveva formazione o studio alle spalle. Grazie ai campionati mondiali poi si è cominciata a respirare un’altra aria e l’industria ne ha tratto vantaggio: oggi le macchine per espresso permettono al barista di fare quello che vuole e ha tutti gli strumenti per declinare profili di estrazione, temperatura e estrazione per personalizzare veramente la sua tazza, naturalmente utilizzando come base una materia prima di eccellenza.”
Continua l’analisi di Lattuada
“Il problema dell’Italia è che dal 2002 non si è alzato il prezzo del caffè, il che è assurdo: qualsiasi altro prezzo, comprese le bollette, è aumentato. L’espresso prima del 2000 è andato di pari passo con il prezzo del giornale quotidiano in edicola: oggi però la tazzina è venduta ancora ad un euro, mentre il giornale a un euro e 70 e anche di più.
Viviamo in un paradosso: l’Italia è la patria dell’espresso, ma la tazzina si paga meno di quello servito in qualsiasi altro Paese nel mondo.
Qualcuno potrebbe dire: è perché ne beviamo tanto. Ma non è la verità: per consumi pro capite ci collochiamo a metà classifica, dietro ai Paesi nordici e alla Germania. Sì, noi beviamo più espresso… ma si prepara comunque con la stessa materia prima impiegata per il filtro in Finlandia. E ancora, non è questione di dosi: più o meno siamo tra gli 8 e 10 grammi, ci sono due grammi di differenza e non sono quelli il problema.
Il punto critico è nella tradizione, nella storia, nella cultura. Sicuramente in questi anni sono nate tante Accademie, – noi siamo stati tra i primi con 9bar e Brasilia a parlare di queste cose circa 18 anni fa – ma sono nate le Accademie dei torrefattori, e questo ancora trasmette una visione meno internazionale del caffè espresso.
Lo sentiamo così nostro l’espresso? Oppure c’è chi la fa da padrone più di noi? La seconda è la verità.
La dimostrazione è che non abbiamo mai vinto un campionato barista mondiale da quando sono iniziate queste competizioni, 22 anni fa. Qualcosa la dobbiamo ancora fare. Da una parte quindi, l’industria ha beneficiato di questo fermento nel mondo, ma dall’altra, il caffè inteso come materia prima torrefatta in Italia, secondo me è peggiorato.
Perché è dovuto andare incontro a una richiesta di prezzo basso sempre costante. Di conseguenza se la tazzina non aumenta, il torrefattore non può comprare materia prima di più alta qualità.
È un cane che si morde la coda: il bar medio non sa fare i conti.
Non si rende conto che da quell’euro che incassa, l’85% sono spese. Alla fine, il conto economico dell’espresso è quello. Rimangono forse 15 centesimi, su cui pagarci sopra le tasse.
Facciamoli noi questi calcoli
Un gestore lavora tutto il giorno, la media italiana è un chilo e tre di consumo al bar al giorno e questo significa vendere 150 espressi, tenendo conto anche degli sprechi, ovvero 150 euro. Di quei 150 ne rimangono forse 15/20 su cui pagare le tasse.
Risultato: il gestore ha lavorato tutto il giorno per 15 euro. “
Qualcuno però ha paura che l’aumento del prezzo sarà l’ennesimo attacco al fuori casa…
“È brutto dirlo, ma chi osa raccoglierà i frutti. Chi invece continuerà ad offrire una qualità bassa perderà il cliente, che non è stupido e sceglierà di andare altrove, dove beve meglio. Per preparare un espresso buono, c’è bisogno di competenza, di saper comunicare efficacemente con il cliente finale. Chi è bravo, potrà permettersi di vendere a un prezzo più alto. Il consumatore deve cominciare a fare questa domanda: costa così poco? Come mai?
La formazione del gestore ancor prima di quella del barista è fondamentale. Se ci pensiamo, la formazione oggi la fa da padrone in tutti i campi, dalla pasticceria alla cucina, tranne che nel caffè e non si capisce come mai. Il caffè in tv, come show, non c’è mai andato. Vediamo qualsiasi cosa, tranne questa bevanda. Ora dev’esserci un’offerta didattica che sia neutrale dove si parla della materia prima, almeno se vogliamo migliorare la qualità dell’espresso e cominciare veramente a spingere gli altri sistemi di estrazione.”
“Perché diversificare è un’altra cosa fondamentale”
Continua Lattuada: “Declinando la maniera di servire il caffè, si attira nuova clientela. E questo, ancora una volta, si può fare solo con la formazione. E avendo l’appoggio di qualcuno più in alto, che dica: anche l’Italia deve primeggiare nel mondo per l’espresso, come succede in altri Stati dove sono gli enti governativi a sostenere la bevanda. “
Si potrebbe pensare che il caffè possa diventare un lusso
“Certo. Ma bisogna avere un approccio diverso alla tazzina. L’altra grande variabile negativa dell’espresso in Italia è il tempo che dedichiamo a questa bevanda: se ci si mette solo 30 secondi per consumarlo, perché lo si dovrebbe pagare di più? Invece berlo seduti, con qualcuno che ce lo racconta, farebbe la differenza. Diamo al caffè il tempo necessario per esser goduto: da quel momento in poi, il prezzo salirà. “
Lattuada, e ora con gli effetti della pandemia, la carenza di materia prima, i prezzi che crescono all’infinito, che cosa è necessario fare dentro i bar?
“Conosco bene il problema: il prezzo è aumentato del 118%. Io dico: comunichiamolo al consumatore. Così come ha accettato senza batter ciglio l’aumento del 40% delle bollette del gas e dell’energia elettrica, automaticamente dovrebbe fare lo stesso per l’espresso. Deve anche qui mettersi la mano sulla coscienza. Lo abbiamo pagato solo un euro sino a oggi. Noi italiani siamo stati dei privilegiati dal 2002 a oggi, quando nel resto del mondo il prezzo è differente. Ora è finito quel tempo. “
E invece, la questione della mancanza del personale, come la commenta?
Lattuada: “La gente a casa sta comoda. Se uno sa che stando a casa, riceve comunque dei soldi, decide di stare ferma. Soprattutto nella fascia dei giovani in cui si stava accendendo la miccia del lavoro, tra i 18enni, è stata spenta totalmente dalla pandemia. La forza lavoro potenziale per il canale horeca è stata fatta accomodare di colpo, e l’impedimento ha fatto capire loro di poter non far nulla e prendere il reddito di cittadinanza. Magari, se il prezzo dell’espresso aumentasse, magari si potrebbe anche pagare di più il personale e farlo tornare di nuovo un mestiere attrattivo: se il caffè tornerà ad essere un core business cambieranno le cose. “
La pandemia ha cambiato le abitudini di consumo: che cosa resterà e che cosa comporteranno per il settore?
Conclude Lattuada: “Io spero che alcune cose restino: il tempo passato seduti a valutare ciò che si sta consumando è importante per fare cultura. Quell’attesa al tavolo, è il momento di comunicare il prodotto da parte del barista. Per quanto riguarda il consumo dentro casa, molti hanno riscoperto i grani, si preparano gli specialty con la moka, ma non siamo ancora ai livelli dei tedeschi che acquistano le macchine per uso domestico a un gruppo. Gli italiani vogliono ancora la velocità, ma qualcuno che chiede cose più particolari in torrefazione, che è curioso, sta arrivando.
La chiave di volta potrebbe esser proprio il coffeelover influencer, che sia veramente appassionato. “