MILANO – Luckin Coffee Inc, nata nel 2017 in Cina e oggi catena di caffetterie che ha totalizzato 1.45 miliardi di dollari e 21,300 store sparsi nel globo, ha un nome, un volto, tutto italiano nella sua squadra sin dall’inizio della sua scalata: si parla del trainer e proprietario di 9bar, Andrea Lattuada, che ha seguito l’evoluzione di questo brand, curandone i dettagli nel Far East.
Almeno fin qui: nei prossimi anni di rinnovo di questa fruttuosa collaborazione, si guarda più a ovest. Si guarda agli Stati Uniti e poi chissà, verso l’Europa.
Lattuada e Luckin Coffee: squadra che vince non si cambia?
“Il format di Luckin è rimasto praticamente invariato in questi anni, ma ora si sta espandendo verso altri mercati, in primis gli Stati Uniti che rappresentano un Paese in cui investire. Ho rinnovato il contratto con Luckin per altri tre anni e così uscirò dal Far East e mi occuperò di tutto il mondo.
Si parte in questa nuova conquista.
Negli USA non ci sono poi tante differenze in termini di consumo, anche se l’americano medio forse è ancora un po’ meno attento alla qualità e può bere specialty come prodotti più commerciali.”
E lei in questi tre anni come si muoverà insieme a questa catena?
“Mi occuperò ancora di fare consulenza come ho già fatto, dello svolgimento di analisi di mercato, dello sviluppo di un blend personalizzato insieme a diversi protagonisti del settore che diventeranno brand ambassador.”
Sono formati?
“In realtà nel mondo Luckin i dipendenti dietro al bancone devono più che altro rispettare le procedure e le ricette, perché la tecnologia è piuttosto avanzata e permette di essere meno operativi. Tutto è codificato, bisogna assemblare nelle proporzioni giuste, gli ingredienti.
Aiuterò comunque a fare formazione e a creare concept che siano più in linea con le atmosfere che piacciono agli americani. Già a Singapore ci sono dei locali in cui potersi sedere a lungo, soprattutto all’interno dell’aeroporto dove è possibile anche pagare con la carta e non solo tramite app.
Sicuramente cambierà anche l’offerta rispetto al Paese di riferimento. La bevanda d’avena è ancora molto richiesta negli States così come il decaffeinato – fenomeno che tuttavia sta interessando un po’ tutto il mondo -.”
Ha notato delle differenze tra la clientela?
“Nel Far East ci sono due macro categorie, anche se una leggermente è più ridotta: innanzitutto c’è chi impazzisce per il prodotto di massa e non guarda a ciò che c’è dentro in termini di ingredienti e origini ma al suo aspetto e al suo gusto; dall’altra parte esiste una fascia particolarmente attenta alla qualità del caffè e che, seppur più piccola, rappresenta una buona fetta intercettata dalle caffetterie di specialty – una situazione ben diversa rispetto a quello che succede in Italia -.
I giovanissimi invece prediligono le ricette base latte con gli sciroppi, anche se questi drink sono diventati meno dolci e meno pesanti, magari con l’alternativa delle bevande vegetali.
In Asia sono molto attenti all’alimentazione salutare e questo tipo di approccio potrebbe funzionare anche oltre oceano negli USA, dove arriveremo probabilmente nel 2025.”
Lavorare con Luckin com’è per un italiano master dell’espresso come lei Lattuada?
“Dall’altra parte dell’oceano sono molto più attenti a valorizzare determinati aspetti che in Italia vengono un po’ trascurati, dalla scelta del personale, delle materie prime, della tecnologizzazione.
Se nel food si utilizzano personalità di un certo livello come i grandi chef che sono il traino di un brand, nel caffè in Italia non si applica questa stessa strategia, perché non si conferisce ancor prima il giusto valore a questa bevanda. Luckin Coffee e così tanti altri, hanno invece capito che dare importanza al professionista dietro il prodotto venduto, è un meccanismo che premia.
Spero che cambi questo paradigma anche in Italia, altrimenti saremo costretti a restare schiavi del prezzo della tazzina. Finché non eleviamo il prodotto e di conseguenza diamo visibilità agli addetti ai lavori, non potremmo essere all’altezza di nomi come Luckin, che ha scelto per altro un prodotto eccellente: si vende solo Arabica e delle migliori qualità che, tra parentesi, sarebbe un ulteriore ostacolo se si volesse entrare in Italia, dove bisogna ancora educare il consumatore. Una cosa controintuitiva se si considera che attualmente è persino conveniente scegliere la qualità dato l’alto costo della Robusta.”
Tecnologizzazione e figura del barista: è un’opportunità o è un sacrificio?
Lattuada: “Un’opportunità. L’automazione permette di mantenere una certa costanza nel servizio. I punti più specializzati hanno bisogno di operatori più formati, ma è essenziale per chi deve gestire un volume così grande di punti vendita, contare su degli esecutori che siano in grado di riprodurre in maniera standard la ricetta.
Che non significa che la macchina fa tutto: l’operatore deve saper gestire le attrezzature per capire che il caffè sia estratto correttamente. Certo esiste la telemetria che ricalibra tutto dal sistema centrale, ma il latte, lo sciroppo, gli ingredienti devono essere assemblati dal barista con l’obiettivo di non alterare il frutto della ricerca avvenuta a monte in laboratorio, per modalità e tempi differenti.
È necessario per questo motivo formare il manager del locale che a sua volta coordinerà il resto della squadra: la parte più difficile è individuare la persona giusta per coordinare l’intera macchina.
In Cina non esiste il problema della carenza del personale. Negli Stati Uniti sicuramente la strategia dovrà cambiare adeguandosi ai prezzi di questo mercato. Tuttavia Luckin ha rodato una macchina per cui si sa esattamente come ottenere determinati margini a seconda dell’area del mondo in cui si entra.
Il cliente in Cina che è abituato a pagare poco, la prima consumazione è a 99 centesimi di dollari di Singapore e soltanto dopo si paga un minimo 3 dollari. In America i margini saranno più alti perché i costi per l’azienda saranno invarianti ma i prezzi nel listino saranno più alti per le bevande. “
Conclude Lattuada: “Ho creduto in Luckin sin dall’inizio, quando era soltanto uno store.
Avevo già intravisto il suo potenziale nel quartiere generale. Ci ho voluto puntare già all’epoca e loro hanno investito su di me che ero una figura riconosciuta come consulente e trainer in Cina, un Paese in cui ho avviato un percorso 25 anni fa che procede ancora con Luckin.
E ora inizia il bello.
Adesso è il momento giusto per entrare negli USA, perché proporre un prodotto di qualità a dei prezzi più convenienti è una politica vincente in un mercato che sta attraversando una crisi economica.”