Andrea Lattuada è stato uno degli spettatori della puntata divisiva di Report che sta facendo parlare tutti gli addetti ai lavori e anche chi ne resta ai margini, da quando è andata in onda su Rai 3. Anche in questo caso, il suo è un punto di vista trasversale, che vuole gettare luce su degli aspetti che sono rimasti fuori dall’episodio.
Lattuada: pensieri contrastanti su Report
“Siamo un settore troppo sfaccettato in Italia e non si può quindi fare una generalizzazione come quella che è emersa su Report. Il messaggio che è passato infatti è che tutti i caffè nei bar italiani sono difettosi, sono tostati neri come la pece, puzzano, che gli operatori sono sporchi e non sanno lavorare.
La realtà dei fatti è più complessa: il Paese è diverso da Nord a Sud, da Est a Ovest, da regione a regione, da provincia a provincia, da comune a comune. Questo vale per tutto, non solo per il caffè: siamo la nazione che possiede più varietà di frutta, verdura, vino, uva – come ha detto Farinetti -. “
“Il caffè non lo produciamo, lo acquistiamo da diverse parti del mondo e forse l’errore è che importiamo del verde di bassa qualità.”
Lattuada: “Non focalizziamoci sul grado di tostatura: c’è a chi piace più scura e a chi più chiara. Bisogna uscire dalla cottura del chicco: prima ancora, siamo sicuri di quello che cuociamo? O in questo periodo critico di prezzi altissimo e Borse impazzite, si tende a cercare soluzioni ancora di più bassa qualità?
È vero che siamo diversi, ma nel bar italiano si beve un caffè e basta – sotto casa, in stazione – cioè di facile comprensione, che incontra più o meno il gusto della maggior parte dei consumatori. Siamo al limite della decenza nella gran parte dei casi, basta aggiungere lo zucchero.
Il problema è che oggi grazie alla crisi del caffè crudo, ci arriva della materia prima difettata: per venderla ancora ad un prezzo così basso al barista e poi al consumatore, il torrefattore deve far sì che questa filiera resti pressoché invariata, comprando qualità ancora più scarsa.
Lattuada: “Ora si deve diversificare il prezzo dell’espresso al bar: si divida in categorie A, B, C”
“Dove l’A è il caffè per pochi, il C è per chi vuole spendere poco e bere qualcosa di livello più basso. Parliamo di una bevanda che in Italia è di massa, che dovrebbe essere accessibile a tutti: va bene, ma c’è anche chi si può permettere di pagarlo di più e che ricerca un prodotto di qualità più elevata. Gli altri possono scegliere cosa pagare e cosa bere. Ma a prescindere da questo la tazzina deve aumentare, anche quello della categoria più bassa, altrimenti tanti nella filiera, soprattutto i torrefattori, falliranno.”
“Cosa succederà alla fascia dei medio-piccoli torrefattori in Italia? “
“Verranno fagocitati dai big. I micro si rivolgeranno ad altri mercati, verso una clientela che ha un potere d’acquisto maggiore. Ma se tutto resta appiattito a discapito della qualità, questo succederà.
Vedo nel futuro, un mercato di massa governato da un caffè di medio-bassa qualità, senza bisogno di formare gli operatori. In questo senso Report ha fotografato una situazione che potrebbe consolidarsi se non addirittura peggiorare.
Alziamo invece il caffè a un euro e 50 per provare ad essere sostenibili.
Anche perché i torrefattori che hanno investito fin qui in finanziamenti nei bar, si possono scordare i margini che ottenevano già solo qualche mese fa. A un certo punto non potranno più sostenere questa pratica e saranno costretti, ad apportare dei rialzi: i baristi saranno disposti a pagare di più o si rivolgeranno a delle aziende più grandi che hanno ancora la forza economica per stare a quei margini?
Se le cose restano invariate, sopravvivranno solo i big player e gli artigiani: la fascia mediana è destinata a scomparire in un modo o nell’altro.”
“La puntata di Report è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.”
Continua Lattuada: “Ha messo il focus solo su alcuni aspetti, ma ha evidenziato una crisi che è molto più ampia ed è arrivata ad un punto di non ritorno. Stesso discorso vale per le macchine per espresso: si sceglieranno sempre più delle attrezzature economiche, che sostituiscono il barista che è anche una figura sempre più difficile da reperire.
Questo avviene già nel mondo, soprattutto nelle catene di caffetterie dove le superautomatiche dominano e il barista diventa un operatore, non un sommelier, uno chef che governa la materia e la bevanda. Il purge e la pulizia avverranno automaticamente: quindi possedere una macchina di questo tipo, forse diventerà preferibile.
Allora cambiamo: puntiamo finalmente sulla formazione dei professionisti e non acquistiamo materia prima difettosa, alziamo l’espresso. Le aziende virtuose in Italia esistono e Report non le ha raccontate: ma attenzione, perché anche queste realtà sono solitamente di medie dimensioni e il rischio è che finiscano spazzate via dal contesto critico che sta vivendo il settore.
Investiamo nei bar, ma basta con finanziamenti e politiche di sconti anticipati. Parliamo di formazione. Era una transizione necessaria già tempo fa e che ora deve avvenire rapidamente.
A volte come in questo caso bisogna guardare a cosa succede all’estero, dove queste logiche non esistono. Siamo il Paese che ha inventato un sistema di estrazione, facciamoci un bagno di umiltà e ricominciamo con dei principi etici più sani e sostenibili.”