MILANO – Hanno esportato il fast food, ricreato la pizza, inventato Starbucks. Ora, vogliono anche insegnarci a preparare il caffè. E’ raro incontrare un americano che sappia maneggiare con cura non solo la tazzina. Ma anche le parole caffè, cappuccino, caffellatte. Un ‘misunderstanding’ culturale, prima ancora che linguistico.
Americano e caffè: possono esistere assieme?
E’ una delle arti di cui andiamo più fieri, e releghiamo l’esperienza in uno Starbucks – catena che non ha ancora aperto in Italia, e lo ricordiamo con fierezza – a semplice rito di iniziazione, e di studio di un brand di successo dove conta più la forma della sostanza.
Mai un italiano avrebbe pensato di leggere quello che racconta Mark Ritchtel sul New York Times: c’è, in America, chi insegna a preparare il caffè perfetto.
Lui è andato al Sightglass, un “cafe” di San Francisco
Ma sono sempre più diffusi i “centri di insegnamento”, anche per fulll-immersion di quattro giorni. Ant, 34 anni, l’insegnante di Mark, dice saggiamente: “Il caffè? E’ la bevanda più difficile da preparare”.
Si comincia, secondo il PowerPoint preparato da Ant
(non verrebbe mai in mente, a un italiano, di preparare un PowerPoint su come fare il caffè), scegliendo i migliori chicchi.
Non manca il folklore, con una slide dal titolo “The Origin Myth”
Una sorta di teoria del big-bang applicata al caffè, secondo cui tutto ebbe inizio da un pastore etiope. Dall’Etiopia all’Italia il passo è breve – e non c’entra la colonizzazione – visto che Ant fa usare ai suoi adepti una macchina per l’espresso, La Marzocco Linea, creata e prodotta a Firenze.
I caffè preparati dal giornalista del New York Times non sono dei migliori (a dimostrazione che non basta una macchina, seppur costosa), gli serve l’aiuto di un maestro: Chris Baca del Verve, a Santa Cruz. Baca ha 32 anni, e nel 2010 è arrivato secondo al campionato statunitense di baristi.
Il locale dedica ampio spazio all’insegnamento, per quella che è considerata la “terza ondata” del movimento del caffè: la prima era stata quella dei falò e dei caffè filtro, la seconda quella della “rivoluzione Starbucks”, la terza – infine – quella che insegna a comprendere la complessità del caffè.
E la sua logica, che segue – sottolinea Baca – un algoritmo: per avere un buon risultato, servono la giusta quantità di caffè (prima e dopo) e di acqua. Oltre a un’attenzione per i dettagli, compresa la pulizia della macchina.
“Il caffè non è solo caffè” insegnano i californiani, non ancora maestri di aforismi; “il caffè, per esser buono, deve essere nero come la notte, dolce come l’amore e caldo come l’inferno”: ma forse Michail Bakunin – non il solo a cui viene attribuita la frase – non è tra gli autori più letti sulla West Coast.
Fonte: il sole 24 ore