MILANO – Altro che ammazzacaffè, espressione che rischia di sminuire sia per il caffè che per il distillato che ne dovrebbe “ammazzare” il sapore: l’amaro torna di moda. Ed è un ritorno in grande stile, per la porta principale. Merito anche di una new age consapevole del bere alcolico, che cancella gli stereotipi salutisti che per troppo tempo avevano offuscato una gloriosa tradizione italiana.
Ne parla Marco Cremonesi in un articolo per il Corriere della Sera di cui vi proponiamo di seguito i passaggi salienti.
Gli amari sono qui e anzi sembra di essere tornati a quando ogni provincia d’Italia aveva i suoi, spesso nati nelle farmacie di paese e con il tempo cresciuti fino a diventare, insieme ai piatti e ai vini, piccoli simboli di un territorio. Una ricchezza d’Italia che affondava le sue origini nel medioevo della Scuola di Salerno, la prima università medica d’Europa, dove gli speziali maceravano erbe e radici nell’alcool.
Noi, di questo patrimonio, ci eravamo dimenticati. Ed è curioso che a ricordarcelo — e a indicarci la strada della rinascita — siano stati gli americani. È negli Stati Uniti che gli amari cominciano a comparire sui banconi dei cocktail bar più prestigiosi. È là che l’amaro smette di essere l’ammazzacaffè e diventa repertorio di sapori da miscelare.
È negli Usa che Brad Thomas Parsons pubblica i suoi due libri seminali, Bitters e Amari (tuttora non tradotti in italiano). Ed è a Brooklyn che il grande evangelizzatore dell’amaro nazionale, il romano Matteo Zed, apre «L’Ammazzacaffè».
Attenzione alle erbe
La sua più che una storia è una metafora: «Ho capito il valore dell’amaro italiano a New York. Andava incontro alla svolta del gusto americano, fino a poco prima orientato al dolce. Il cambio lo vedevi dappertutto: nel caffè, nelle erbe amare che comparivano nelle insalate… e ovviamente nelle ricette dei bartender e degli chef».
Matteo coglie la svolta. Torna a Roma, qualche mese fa, per creare il primo amaro bar italiano, «Il Marchese», e mettere online il sito per appassionati amarobsession.com. E non è un caso se il maestro di tutti coloro che scrivono di buon bere, Fulvio Piccinino, ha dedicato il suo ultimo libro a Amari e bitter. Mentre Luca Gargano, l’uomo dal tocco magico degli spiriti italiani, aggiunge amari al suo catalogo delle meraviglie.
Soprattutto, etichette e liquorifici si moltiplicano con la stessa velocità vista con il gin, ma con meno clamore. In ogni regione si riscoprono ricette dimenticate o le si inventano sperimentando con l’aiuto di liquorifici: «Se c’e un filo che lega — spiega Zed — è la grande attenzione alle erbe del territorio ricombinate in sapori nuovi, l’artigianalità, la riduzione anche drastica dello zucchero. E la ricerca di bottiglie e etichette d’impatto in grado di competere sui banchi dei bar».
La mappa dei tesori
Ed ecco un’inadeguata mappa dei nuovi (e qualche classico). In Piemonte Argalà ha appena creato l’Amaro alpino, mentre Glep prepara il verdissimo Grinta («imparentato» con Antonino Cannavacciuolo). In Lombardia c’è Zerotrenta, a Padova il bitter Tenace. In Friuli Venezia Giulia l’Amaro d’erbe Trieste e il Quintessentia di Nonino.
Bologna è la patria del Montenegro, ma anche del Bitter Clandestino, in Toscana si può bere un Herbarum o la grande China Clementi. In Sardegna Silvio Carta riscopre l’elicriso nel Chrysos ma va provato anche il Mirtoamaro di Bresca dorada. In Sicilia c’è il Nepeta di limone e menta ma anche l’Indigeno. A Roma il Formidabile, nelle Marche Varnelli con Sibilla. In Abruzzo troviamo il Gran Sasso Paesani, in Umbria il Cerberus, in Campania il Don Carlo, in Basilicata il Chritmum.
Dal Molise viene il Root 13 mentre in Puglia ecco l’amaro Imperatore con rucola e lampascione, il Maffei, l’amaro Salento. In Calabria, l’Amaro dell’Abate e il Brethium. E i grandi? Non sono stati a guardare. Campari negli ultimi anni ha aggiunto Averna e Braulio al Cynar, Caffo dopo aver salvato San Marzano produce edizioni speciali del Vecchio Amaro del Capo.
Mentre il decano, il monumentale Fernet Branca continua la sua ascesa sui mercati esteri, Amaro Lucano è il primo alcolico — guarda un po’, un amaro — ad essere distribuito dalla Coca-Cola Hbc. E la classica China Martini ha cambiato nome e etichetta: ora è l’amaro China Martini.
Marco Cremonesi