DI VIOLA BACHINI E MICHELA PERRONE*
Partirà da Baikonur, in Kazakistan, la base di lancio più vecchia del mondo l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti. Domenica 23 novembre lascerà la Terra per una missione di sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale, insieme al russo Anton Škaplerov e l’americano Terry Virts. Ma l’italiana ha messo subito i puntini sulle i. Nello spazio, ok: ma che si mangi bene.
In gergo li chiamano bonus food. Roba che manda in soffitta la storia del cibo spaziale, fatta di tubetti ripieni di sostanze poco invitanti e dalla consistenza simile a quella del dentifricio oppure a cubetti ricoperti di gelatina. Oggi, invece, chi va nello spazio può scegliere tra oltre 200 menu preparati dalla Nasa e, in alcuni casi, ha la possibilità di usufruire di razioni speciali pensate ad hoc per l’astronauta e che costituiscono una sorta di premio da consumare la domenica o durante le occasioni speciali, i bonus food, appunto. Che gli italiani hanno persino fatto preparare da chef di rango.
LA MOLE NEL PIATTO
Per tutti gli astronauti europei da quattro anni cucina e confeziona i pasti la Argotec di Torino , un’azienda specializzata nell’ingegneria aerospaziale che da qualche tempo ha differenziato la sua produzione diventando fornitore esclusivo di cibo da mandare in orbita per l’Agenzia Spaziale Europea (Esa). Così nella vecchia fabbrica di periferia ristrutturata, tra i laboratori di ingegneria, si muovono in un grande open space gruppi di ragazzi in camice bianco; perché qui l’età media è di 28 anni: «Le idee migliori arrivano prima dei 30», commenta il Managing Director David Avino.
E di idea in idea, agli ingegneri della Argotec è venuta quella di nutrire gli astronauti, attività per nulla banale visto il luogo dove dovrà essere imbandita la tavola. Ma a prima vista molto lontana da viti e bulloni. E dietro la porta che chiude fuori l’ingegneria dura e pura, nei laboratori dove si preparano i pasti, si nasconde un mondo insolito per un’azienda aerospaziale. Fatto di profumi più o meno familiari, ma tutti riconducibili a una cosa sola: il cibo.
GUARDA COME SI PREPARANO LE RICETTE
Ai fornelli dello Space Lab, il primo laboratorio di cibo spaziale in Europa, c’è Stefano Polato, cuoco trentatreenne e proprietario di un ristorante in provincia di Padova. Sta ricreando il menu che mangerà Samantha Cristoforetti. Una parte del laboratorio è molto simile alla cucina di un ristorante, perché la sperimentazione parte proprio da pentole e padelle. «Qui abbiamo riso integrale con funghi, pollo al curry e piselli», indica Polato, che continua: «Abbiamo cercato di ottimizzare quello che sembra composto da ingredienti poveri. Anche per i funghi abbiamo scelto dei semplici champignon, niente di troppo ricercato. L’obiettivo era creare un piatto unico con tutti i nutrienti necessari per una sana alimentazione, aspetto cui Samantha è molto attenta». È stata proprio Cristoforetti a scegliere il tema della missione in partenza a fine mese: “Futura”, che sarà dedicata a nutrizione e salute.
Confezioni del cosiddetto bonus food,…
Confezioni del cosiddetto bonus food, il cibo della festa degli astronauti
Non succede tutti i giorni di preparare i pasti per un’astronauta. E Samantha Cristoforetti ha infatti valutato più volte il cibo cucinato da Polato, esprimendo un indice di gradimento sulla consistenza, il colore, il sapore e il profumo. «La prima volta è andata molto bene e sono stato fortunato nell’azzeccare gli ingredienti giusti come la quinoa, un cereale originario del Sud America di cui lei è particolarmente ghiotta». I piatti unici preparati da Polato sono confezionati all’interno di sacchetti multistrato – progettati dalla stessa Argotec – che devono permettere una lunga conservazione, così come richiesto dagli standard della Nasa. Grazie alla particolare consistenza del cibo gli astronauti possono mangiare il loro pasto direttamente dal sacchetto con un cucchiaio.
Proprio come sulla Terra, anche nello spazio il cibo unisce: il pranzo e la cena sono infatti gli unici momenti in cui gli astronauti si trovano tutti insieme, per condividere ciò che è successo durante la giornata e, perché no, anche qualche assaggio.
FARE SENZA FRIGORIFERO
Ma, dicono in Argotec, oltre a preservare gusti profumi e colori, un aspetto cruciale nella preparazione del cibo spaziale è la conservazione, che deve essere tra i 18 e i 24 mesi senza poter utilizzare il frigorifero (che nella stazione spaziale non c’è). E tutte le volte che si introduce un nuovo piatto la ricerca inizia da capo perché ogni alimento ha le proprie peculiarità.
Come racconta Stefano Polato, sono due i tipi di trattamenti riservati ai cibi che escono dalla cucina spaziale: la termostabilizzazione e la liofilizzazione. Nella prima i sacchetti con il cibo vengono inseriti all’interno di un’autoclave, un contenitore industriale a chiusura ermetica, per circa 20 minuti alla temperatura di 121°C. Questa procedura, che funziona molto bene con i cereali, non è sempre applicabile perché alcuni alimenti possono perdere le loro caratteristiche e proprietà nutrizionali.
Il riciclo dei materiali, l’uso dell’aria, gli spostamenti e i gesti in assenza di gravità: altro che cinema, sembra fantascienza eppure è tutto reale. Parla la prima astronauta italiana, pronta a partire per la missione Futura
Per questo talvolta si preferisce la liofilizzazione che, oltre a preservare colore, gusto e consistenza dei prodotti, permette anche una significativa riduzione del peso. Un aspetto non secondario in ingegneria spaziale, dove si calcola che il trasporto di 1 Kg di materia dalla Terra alla stazione orbitale costa dai 10 ai 20.000 dollari.
La liofilizzazione avviene in condizioni di vuoto: i prodotti vengono congelati velocemente a -40 °C, poi si regolano pressione e temperatura in modo che l’acqua contenuta nel cibo passi direttamente dallo stato solido di ghiaccio a quello di vapore.
La scelta del giusto metodo di conservazione richiede una lunga serie di studi. Stefano Polato indica le vasche in acciaio inox che utilizza per i test di cottura e conservazione dei cibi: è qui che lo chef immerge gli alimenti una volta pronti.«Cerchiamo di capire a che temperatura e per quanto tempo dobbiamo lasciare gli ingredienti in acqua in modo da arrivare alla cottura completa. Una volta deciso che questa è idonea si ripete lo stesso procedimento in autoclave».
Dopo aver stabilito il corretto tempo di cottura e la giusta pressione e temperatura il prodotto viene prelevato ed etichettato: da questo momento sarà stabile per tre anni. Non è difficile immaginare possibili ricadute di queste ricerche anche sulla Terra, specialmente in alcuni sport, come le regate a lunga percorrenza, dove gli atleti devono conservare i cibi per settimane.
BRICIOLE PERICOLOSE
Tuttavia nello spazio le condizioni di scarsa gravità impongono rigidi protocolli non solo sulla conservazione. Le regole che impediscono di portare sulle navicelle spaziali gli alimenti che consumiamo normalmente sulla Terra sono legate soprattutto alla sicurezza della missione. Le briciole, per esempio, possono danneggiare la strumentazione di bordo o essere inalate dall’astronauta stesso. Per questo per permettere a Cristoforetti e compagni di consumare snack ai cereali anche sulla stazione orbitante, Polato ha ideato una barretta dalla particolare consistenza a prova di briciole.
Un altro aspetto da considerare nella progettazione del packaging è il fatto che gli astronauti non possono utilizzare bicchieri. Gli ingegneri hanno risolto il problema inserendo le tisane alle erbe prodotte per la missione “Futura” dentro un sacchetto munito di una valvola per aggiungere l’acqua e di una cannuccia per bere direttamente dalla busta. Gli astronauti prelevano l’acqua da aggiungere ai cibi da un dispenser a bordo della stazione e la riciclano continuamente per limitare al minimo i costosi rifornimenti dalla Terra.
ISSPRESSO, WHAT ELSE?
Ma quando si parla di bevande l’acqua non basta. Luca Parmitano, durante i sei mesi della missione “Volare” nel 2013 lamentò più volte la mancanza di caffè a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Così, gli ingegneri di Argotec hanno avviato una ricerca in collaborazione con Lavazza e l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) per portare a bordo anche l’espresso. Il risultato è Isspresso: una macchinetta da caffè in grado di funzionare anche in orbita, dove i liquidi si comportano in modo molto diverso rispetto alla Terra.
A sperimentare la macchinetta spaziale sarà la stessa Cristoforetti. Visto che è la prima nel suo genere a approdare nello spazio, dovrà essere testata per dimostrare il corretto funzionamento in condizione di microgravità, dove i fluidi assumono comportamenti particolari. Una delle ipotesi da verificare, per esempio, riguarda la schiuma del cappuccino, che secondo i calcoli non dovrebbe disporsi sopra alla bevanda come succede sulla Terra, ma tutto intorno alle pareti del contenitore.
Valerio Di Tana, responsabile tecnico di Isspresso, illustra il funzionamento del prototipo, che a prima vista ricorda un piccolo forno: «Una serie di sistemi meccanici prelevano l’acqua da un contenitore e la spingono nella caldaia della macchinetta. L’acqua calda incontra la cialda solo dopo aver raggiunto i valori di pressione e temperatura prestabiliti. A questo punto la macchinetta può erogare il caffè, a seconda della quantità selezionata dall’astronauta». E mentre chi l’ha assaggiato giura che non ha niente da invidiare al classico espresso, Di Tana racconta che la macchinetta non farà solo caffè, ma sarà in grado di produrre anche tè e il brodo da aggiungere ai cibi liofilizzati per reidratarli.
Per integrare Isspresso a bordo della stazione, in fase di progettazione gli ingegneri hanno dovuto rispettare i vincoli di sicurezza degli astronauti, oltre a cercare di evitare al massimo lo spreco di acqua.
«Sulla stazione c’è una situazione di parziale assenza di peso. Per questo facciamo i test mettendo la macchinetta in una posizione in cui la gravità non gioca affatto a nostro favore», sorride Di Tana, riferendosi al fatto che gran parte degli esperimenti li stanno eseguendo tenendo la macchina a testa in giù.