MILANO – Dopo aver lasciato l’Italia per viaggiare in tutto il mondo e diventare un professionista, prima dietro al bancone e poi di fronte a una tostatrice, Alfonso Pepe non ha smesso di mettersi alla prova e di votarsi allo specialty (una vera conversione per un napoletano) spostandosi a Zurigo, la sua ultima meta, per lavorare presso Miro Coffee per i due titolari David e Dani Sanchez: un luogo in cui si è potuto finalmente fermare per imparare un nuovo mestiere, sviluppando le competenze di quella fase delicatissima che è la torrefazione, sotto l’ala di un master assoluto, Davide Cobelli.
Pepe, qual è il suo percorso nel mondo del caffè professionale?
“La mia prima esperienza è stata a 13 anni, quando lavoravo per il bar sotto casa e consegnavo il caffè nei negozi sul vassoio. Questo prima di passare dietro al banco, dove sono rimasto sino ai 25 anni a Napoli. “
Poi l’avventura all’estero a Londra, per tre anni, senza sapere la lingua, prima in un hotel e poi in un coffee shop specialty: “Qui mi si è rivelato un mondo: ho conosciuto la latte art, ho visto pesare il caffè, si parlava di note fruttate, di acidità, che per me, napoletano che metteva ancora lo zucchero nella tazzina, è stato uno shock. In quel periodo ho scoperto un altro lavoro completamente. “
Tre anni dentro Sacred e poi a Tymbeyard, lo stesso specialty dove ha lavorato Jessica Giacetti (che attualmente lavora come quality assurance specialist da Algrano) Pepe ha senza dubbio imparato sul campo, affiancato da veri professionisti. Dopodiché un altro spostamento verso Ibiza, per seguire l’apertura di una caffetteria. Poi il volo verso l’Australia per fare un ulteriore salto professionale, in una caffetteria vicino alla spiaggia che si basava però più sulla quantità (preparavano quasi 10 chili al giorno di cappuccino, sino alle 4 del pomeriggio).
Solo una volta a New York, ha lavorato in uno specialty coffee shop: ma per via della burocrazia era diventato difficile restare. Pepe racconta: “Per fortuna proprio in quel periodo mio cugino Ivan Pepe lavorava come quality manager in una caffetteria specialty a Zurigo e cercava personale formato. Il progetto mi ha affascinato subito e sono quindi partito. “
Pepe: “Lì ho conosciuto la torrefazione”
“All’interno del locale infatti è presente anche questa attività e allora io ho cominciato a studiarne il processo, osservando da vicino chi lo sapeva fare. Ho fatto da apprendista per un po’, e vedendomi così determinato, i titolari di Miro mi hanno dato la possibilità di formarmi con Davide Cobelli, che nel 2020 era il campione italiano in carica. Lui mi ha fatto resettare tutto ciò che sapevo e così sono partito da capo: dal green, al sensory, al brewing e alla tostatura, abbiamo ripercorso ogni tappa. Un’esperienza che mi ha cambiato a livello personale e professionale. Abbiamo stretto un rapporto di amicizia e collaborazione.”
Come si beve il caffè in Svizzera?
“Qui a Zurigo, città piccola dove sono già presenti pochi altri coffee shop di specialty, stiamo andando molto bene. I consumatori preferiscono finalmente la qualità, sono curiosi di capire cosa bevono, chiedono le spiegazioni al barista. Noi siamo pronti sempre a rispondere con il racconto dei processi dietro alla tazzina, spiegando anche come viene tostato e infine erogato. È ancora una nicchia, ma lo specialty è un po’ più diffuso rispetto all’Italia. Certamente qui le persone non si fanno problemi sui costi.
Da noi un espresso lo vendiamo al tavolo dai 4 ai 6 euro, senza problemi. I cappuccini con il latte d’avena arrivano con lo specialty a 7/8 franchi. Un po’ come lo spritz. E i clienti ci ringraziano anche. Sono bravi anche i baristi naturalmente: quando propongono la bevanda sono in grado di trasmettere le loro conoscenze e le percezioni che possono emergere in tazza. Creiamo qui una vera e propria esperienza gustativa, guidando il palato del consumatore. Si deve esser preparati a rispondere ai dubbi dei clienti. Lavorare nello specialty richiede passione e impegno: quando si lavora a certi livelli, si devono avere determinate competenze per valorizzare il prodotto che si serve.”
E la tostatura? Pepe lei arriva al secondo crack?
Ride Pepe: “No mai. Anche i miei espressi sono tostati medio-chiaro. Offriamo però anche estrazioni alternative, sebbene per il nostro mercato di riferimento, spingiamo più sull’espresso. Siamo inoltre una delle pochissime micro roastery presenti anche sulle compagnie aeree: viaggiamo su Swiss, che ci ha scelto perché voleva lavorare con un’azienda locale, piccola, attenta alla cura della materia prima. Lo vendono in volo a 4 euro. È una cosa che non si vede spesso, per noi è stata una bella sorpresa.”
Con Mirò avete pensato anche, essendo la patria di Nespresso, di usare il vostro caffè nelle capsule?
“Il mercato di Nespresso qui in Svizzera è imbattibile. Contano su un marketing pazzesco. A noi piace confrontarci con le persone che vogliono discutere di altre cose, di freschezza, di qualità, preparate a un certo tipo di prodotto. Non domandano mai delle capsule. Ovviamente poi ci si adatta al mercato: qualora qualcuno lo richiedesse, magari potremmo pensare di inventarci qualcosa. Per ora continuiamo a seguire i nostri valori legati al concetto di specialty. Non diamo priorità al business.”
Pepe, il mercato del caffè svizzero dove esporta maggiormente? All’estero dove? Anche in Italia?
“Quello che ci penalizza è che la Svizzera, non facendo propriamente parte dell’Unione Europea, è difficile da gestire a livello doganale: ci sono dei costi più elevati e quindi diventa oneroso sostenere le spese se non si esportano grosse quantità. Abbiamo avuto richieste anche da Torino, dalla Spagna, da Uk, ma il problema sorge proprio dal punto di vista logistico. È stressante seguire tutto il processo e gli intoppi. Stiamo cercando di studiare un modo per migliorare la cosa.”
E l’espresso? Com’è percepito lì?
“Si beve più il cappuccino che l’espresso. Ma l’amante dell’espresso, doppio, non è raro. Soprattutto chi vuole degustarlo. Ci sono tanti filtri soprattutto: i clienti prediligono più le bevande con il latte o lunghe.”
Avete dei contatti diretti con i farmer?
“Sì. Abbiamo contatti diretti con la Finca Sancoffee in Brasile e poi alcuni piccoli produttori in Colombia, che ho conosciuto durante un viaggio in piantagione organizzato da un ragazzo che si occupa proprio di offrire questo tipo di esperienze in origine e anche delle spedizioni: con lui ho stretto un rapporto.
Il caffè che offriamo da Mirò: una linea per espresso, Honduras, Perù, Brasile e Colombia; poi quella per i filtri che è più stagionale, Etiopia, Kenya, Colombia, Nicaragua, Guatemala. Non ci facciamo mancare niente. Ho il via libera.”
Avete difficoltà con gli approvvigionamenti di materia prima di questi tempi e anche con l’aumento dei prezzi anche delle utenze?
“Anche noi abbiamo avuto parecchie difficoltà. Ci sono stati gli aumenti e il Covid che ha creato un problema di carenza di forza lavoro nei campi per la raccolta. In ogni caso noi, sapendo di sostenere i farmers, non facciamo storie: lo comunichiamo apertamente alla nostra clientela e ci comportiamo di conseguenza. Sanno che noi collaboriamo con i coltivatori e aiutano anche loro come possono. Quando compriamo grandi quantità, c’è anche la possibilità di bloccare il prezzo.
Siamo tutti solidali tra tutti gli attori della filiera. Ma è inevitabile sviluppare una certa sensibilità quando si è vissuto a contatto diretto con i farmers che fanno immensi sacrifici per vivere in semi povertà. Per loro è sopravvivenza: ti tocca a livello personale assistere a quelle condizioni. Ti fa pensare molto a non sprecare l’espresso. E questo va comunicato al consumatore finale, per poter apprezzare il caffè naturalmente, senza zucchero.”
Pepe, che macchine usate da Mirò?
“Utilizziamo La Linea La Marzocco per l’espresso, due macinini Mahlkonig E47 per il caffè filtro e un macinino per il decaffeinato specialty, un altro per il caffè brasiliano che piace a tutti e poi per la seconda opzione dell’espresso: un totale di 5 macinini. Poi abbiamo il pressino automatico Press Q (noi l’abbiamo settato sui 15 chili e mantiene la pressione costante).
La tostatrice invece che abbiamo è una Probat a conduzione da 5 chili. Una scelta un po’ particolare, legata al nostro mercato di riferimento, perché la richiesta di espressi qui ci ha spinti verso questa macchina. Per i filtri bisogna esser più preparati rispetto all’uso di tostatrici a convenzione. Le persone amano comunque molto il nostro stile, decisamente più corposo e dolce in tazza, nonostante l’uso di una macchina a conduzione anche per il caffè filtro. “
Pepe quali invece sono i suoi progetti futuri? Restare in Svizzera, tornare in Italia, continuare come roaster o sperimentare un altro ruolo nella filiera?
“Sicuramente al momento sto bene qui. Tornare in Italia dopo aver viaggiato tanto è difficile. Abituarsi ancora alla mentalità di casa, è intollerabile. Mi piacerebbe gareggiare nei campionati di roasting e poi diventare un personaggio noto in questo settore. Quello che mi fa star bene è quando le persone apprezzano il caffè che prepari tu.”