MILANO – Alessio Simonetta, un addetto ai lavori a cui piace sporcarsi le mani direttamente a contatto con la terra da cui si genera il chicco: tra gli esperti di Umami Coffee, programma ideato e realizzato da Andrej Godina, nel settore da quando era giovane dietro al bancone e non solo. La torrefazione e il verde non sono un mistero per lui, che ha deciso coraggiosamente di far ritorno a casa, a Torino, per fare la sua parte nella diffusione della cultura attorno alla bevanda. Una scelta che non sempre i giovani legati a questo ambito hanno compiuto, che però lo ha portato al suo attuale impiego, da Orso Laboratorio.
Simonetta, lei si definisce un coffeenauta: ci racconta che vuol dire?
“Il significato preciso delle due parole è piuttosto intuivo: “nauta”, ovvero navigatore alla scoperta del mondo del caffè (da qui, “coffee”). Il concetto che mi interessa trasmettere è quello non solo di scoprire la materia prima, ma di condividere anche le storie delle persone che lavorano nella sua filiera con molteplici ruoli e figure. Ci sono tanti racconti incredibili dietro alla tazzina finale del caffè. L’esperienza in Honduras che ho potuto vivere grazie a Umami coffee è stata fondamentale proprio per toccare questa parte in origine.
Quando arriva un periodo di raccolta, villaggi interi nelle montagne rurali, tribù, migrano dove si trovano le piantagioni e dove c’è bisogno di maggiore forza lavoro per 5 o 6 mesi per poi tornare nelle proprie case. Sono persone con un’integrità molto connessa alla natura, poco contaminate dal mondo occidentale.
Lavoro a Torino da Orso laboratorio nella torrefazione, occupandomi proprio di ricerca di caffè verde, dal suo acquisto alla tostatura e infine al servizio in caffetteria. In questo modo ho il privilegio di conoscere tutti i passaggi della tazzina. Certo di raccontare al consumatore le storie dei coltivatori, attraverso i caffè che serviamo al momento.
Stiamo collaborando proprio ora con una cooperativa del Ruanda, composta da tanti piccoli produttori associati che da anni hanno una grande costanza nella qualità. Il loro caffè è tra i migliori del Paese: abbiamo quasi tutte single origin e quasi tutti specialty. Ci stiamo rivolgendo al Ruanda e prossimamente alla Cina, un nuovo Paese d’origine da qualche anno a questa parte. È un progetto che insieme a Sucafina, stiamo portando avanti nella regione a sud della nazione, conosciuta per la produzione del tè e che ultimamente si è dedicata alla coltivazione di ottimi caffè.
Un altro progetto in corso è brasiliano, insieme ad una comunità gestita da Ernesto Yamamoto – ultimamente mi sono confrontato con un produttore brasiliano che vive a Torino, che mi ha spiegato che esiste una forte presenza di giapponesi nella zona del Minais Gerais – dalla quale abbiamo acquistato un lotto, Agrofest.
Alcune origini come quelle dal Ruanda, le serviamo sia in espresso che in filtro, con due profili diversi di tostatura, mentre dalla Cina solo in filtro e dal Brasile solo in espresso: dipende tutto dal lavoro di controllo qualità effettuato in laboratorio. Il menù di Orso è diviso tra tre monorigini e due miscele solo in espresso e due monorigini solo con il metodo filtro.
Per la macchina espresso abbiamo scelto La Marzocco GB5. Mentre per i macinini: un Malkoenihg per espresso Ek30 e poi altri Eureka per le singole origini specialty. Infine, un EK45 da drogheria per macinare le confezioni da 250 grammi per casa o per le preparazioni filtro come il V60. Un jolly per il decaffeinato e come metodi V60 Hario, french press, moka Bialetti. “
I prezzi da Orso superano l’euro?
“L’espresso, anche quello con la miscela di base 70% arabica 30% robusta, lo vendiamo a un euro e trenta. Ma tocchiamo anche i due euro e 50 con le singole origini in espresso, mentre i filtri partono dai 4 e 50 sino ai 5 euro. Un caso particolare: avendo partecipato agli ultimi campionati brewing, con un Panama Geisha della Finca Esmeralda, mi è avanzato del caffè dalla gara e allora ne ho tostato due o tre chili per servirlo in caffetteria: espresso doppio a 4.50 oppure filtro da una porzione a 6 euro. Abbiamo deciso di devolvere l’incasso poi all’Associazione Sermig nazionale della pace. Ci è sembrato giusto non lucrare su un caffè ottimo usato per la competizione. Il profitto lo abbiamo voluto donare, considerato il periodo che stiamo vivendo. “
Dall’Italia, a Londra e poi di nuovo in Italia passando dalle piantagioni: il suo percorso professionale nel caffè in casa, come mai?
“Nel periodo in cui ho deciso di tornare, il mondo specialty stava crescendo anche in Italia: parliamo del 2015, quando Orso aveva aperto da un anno e anche Ditta Artigianale aveva appena iniziato, Andrej Godina stava costruendo il percorso Umami. Mi incuriosiva quindi questa scena in esplosione. Londra è una bellissima città da vivere come esperienza che consiglierei ai giovani, ma mi è sembrato giusto riportare la conoscenza e il mio percorso professionale in patria. È bello tornare a casa ed esser promotore del cambiamento. Se ci si lamenta sempre, ma qualcuno deve restare per far evolvere le cose. È importante esser parte attiva per migliorare il contesto del caffè di qualità, facendo divulgazione.”
Andare alle origini del chicco è un’esperienza fondamentale per chi lavora in questo settore?
“Chi è mosso dalla vera passione, vuole conoscere bene il prodotto e quindi deve andare alle origini della materia prima. Sicuramente Andrej, con i viaggi Umami, offre molte possibilità di entrare in contatto con questa realtà seppur per poche settimane. Si impara quanta manodopera, quanto duro lavoro c’è dietro, quanto queste persone e le famiglie si reggono effettivamente su questa produzione. Tutto gira attorno a questa coltura per loro.
Un’altra cosa bella è vedere tutto il percorso del chicco a partire dal vivaio, dalla crescita del seme che dopo un anno arriva in piantagione e solo dopo tre anni inizia il raccolto; poi la processazione, la gestione della stessa piantagione. In Paesi molto piccoli, con ettari di piccole dimensioni, si fa tutto manualmente, dalla falciatura con il macete degli alberi di frutta, alla gestione dell’ombra.
Ancora poetico è che il colore marrone significa caffè: è talmente importante questa materia prima, che subito connesso alla bevanda. Si può anche sperimentare come un caffè dello stesso raccolto e stesso terroir con processi diversi, possa restituire risultati sorprendenti in tazza. Sapendo così distinguere in cupping e individuarne i difetti, selezionarne i chicchi.”
Sono tanti che adesso organizzano dei viaggi in piantagione: pensa che sia un buon segnale per una filiera più consapevole e sostenibile, oppure è solo una moda temporanea?
“Dipende sempre dallo spirito con cui si affronta: sicuramente fa più bene che male. Certo bisogna capire come si fa: se ci si immerge realmente nella piantagione, con i contadini a stretto contatto, va benissimo. Se si va in piantagione per un viaggio turistico e pubblicare foto su instagram, resta solo una vacanza.
Se poi parliamo di consumatori che vogliono fare un turismo legato al caffè, la chiave potrebbe esser il viaggio in America latina o in Africa, con qualche giorno in piantagione. È ovvio che in ogni caso il caffè molto buono, così come il vino di alta qualità, non si può pensare sia per tutti. Il nostro lavoro è quello di mantenere una certa etica, sapendo cosa si acquista: come Orso laboratorio assaggiamo prima ogni lotto, anche non specialty, controllandone la qualità e la sostenibilità del prodotto.”
Simonetta, quali sono i suoi progetti futuri?
“Altri viaggi in piantagione appena sarà possibile, magari uno in Colombia e uno anche in Africa. Ampliare la conoscenza studiando di più, iscrivendomi all’Università di agraria e magari sviluppare una tesi proprio su questo prodotto. Sarebbe curioso visitare anche le piantagioni siciliane e nelle Canarie: approfondire insomma tutto ciò che è inerente al mondo del chicco, procedendo insieme a persone aperte al dialogo, per determinare una crescita di tutto il settore. Per quanto riguarda le gare, quest’anno è stata la mia prima volta con il brewing: il risultato non è stato buonissimo, ma è stata comunque un’esperienza preziosa, sicuramente da fare per chi vuole conoscere le altre persone che lavorano in questo ambito. Quello è il momento di vera condivisione. Quindi le gare sono tra i miei programmi, anche nel cupping.”