domenica 22 Dicembre 2024
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Alessandra Di Dio: dalla birra al caffè: «Non un passaggio, ma un’osmosi culturale»

Dall'intervista: "Per me oggi il caffè è un percorso. Sia in termini di carriera, perché credo di avere tanto da dare e vedo un bel riscontro, c’è interesse verso la mia professione. Sia in termini di apprendimento: sono partita dal Sensory (foundation e intermediate) alla Coffee training academy e non vedo l’ora di continuare con il brewing."

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MILANO – Una donna del caffè che è entrata nel settore relativamente di recente e che ha già dato la sua impronta sulla comunicazione, ha parlato per i nostri lettori condividendone l’esperienza. L’intervista ad Alessandra Di Dio, Content creator e Social media strategist freelance.

Chi è Alessandra Di Dio: com’è passata dalla comunicazione del food & beverage al caffè?

“Sono arrivata al caffè specialty dalla birra artigianale, perché ero e sono interessata alla
degustazione. Sono giudice di birra, ho esperienza in Italia e all’estero, e quando ho capito che dietro il caffè c’era un tema di qualità, di ricerca delle materie prime, di microaziende mi si è acceso il motore.

Non è stato un passaggio, l’ho vissuto più come uno scambio per osmosi, culturale: birra artigianale e specialty coffee condividono tanto e anche se ora per lo più si ignorano sono certa che potrebbero imparare molto uno dall’altro (e magari farsi un po’ di
forza a vicenda).”

Di che si occupa esattamente Alessandra Di Dio?

“Da circa 15 anni lavoro su contenuti, sia per i media tradizionali sia in ambito digitale. Dal 2015 ho iniziato a occuparmi di contenuti per i social media network, e dal 2018 mi sono focalizzata sulla creazione di strategie social personalizzate per le aziende o per il personal branding.

Insieme al cliente, valuto gli obiettivi dell’azienda e su questi costruisco il loro modo di comunicare: tono di voce, identità visiva, linguaggio. In alcuni casi, sono anche quella che lo concretizza (gestione profili social, newsletter, comunicati stampa) in altri il mio lavoro è solo di consulenza e di formazione ai dipendenti. Quando il progetto è più ampio, e comprende posizionamento marketing, attività Sem e website, collaboro con agenzie come libera professionista.”

Per “deformazione professionale”, lei pensa a coinvolgere l’utente finale: le donne rispondono divesamente al racconto del caffè?

“Qualcuno ancora oggi crede che sia legittimo adattare le modalità di coinvolgimento in base al genere, ma io preferisco un’attitudine gender fluid. Anche perché credo che la visione binaria parlando di genere (o uomo o donna), oltre a essere cieca ai cambiamenti della nostra società e discriminatoria, non abbia più alcuna efficacia in tema di comunicazione.”

La comunicazione è un mestiere spesso ritenuto più idoneo alle donne: che può dire a riguardo?

“La formazione dell’individuo dipende dal quadro normativo, dal contesto sociale e politico, non esiste un criterio di idoneità alle professioni in base al genere.”

Ha trovato che nel settore caffeicolo, la presenza femminile sia sottovalutata?

“Dipende. Ci sono microambienti in cui c’è molta sensibilità – almeno nella vulgata – verso la parità di genere, e mi riferisco a tutto ciò che gira intorno a Sca e Sca Italy. In scala diversa, non vedo la stessa attenzione.”

Oggi il caffè cosa è diventato per lei rispetto a prima?

“Per me oggi il caffè è un percorso. Sia in termini di carriera, perché credo di avere tanto da dare e vedo un bel riscontro, c’è interesse verso la mia professione. Sia in termini di
apprendimento: sono partita dal Sensory (foundation e intermediate) alla Coffee training
academy e non vedo l’ora di continuare con il brewing.

Da oltre un anno e mezzo lavoro con una persona che da subito mi ha dato grande fiducia, e ha saputo cogliere, rilanciare e dare risalto ai miei progetti (Davide Cobelli, parlo di te). È anche grazie a lui se oggi mi muovo con più sicurezza in questo ambiente.”

Pensa che la comunicazione possa giovare anche per rivalutare le donne del caffè, dalle piantagioni alle bariste?

“Assolutamente sì, la comunicazione spesso può portare dei temi nascosti alla luce. E sappiamo tutti che una volta portato nell’agenda setting un tema poi è più difficile fare finta di niente…

È da qualche tempo che penso a un progetto su questo: è un argomento al quale vorrei
dedicarmi, insieme ad altre professioniste della comunicazione di questo settore. Spero di
trovare il modo di far arrivare la mia idea il più in avanti possibile, per vedere un piccolo
cambiamento.”

Qual è il “tocco femminile” sul suo lavoro?

“Il cosiddetto “tocco femminile” è una descrizione limitante e offensiva dovuta a un costrutto culturale che deve essere scardinato.

Se la domanda invece intendeva indagare su cosa metto di mio nel lavoro di tutti giorni, la risposta è la sensibilità linguistica. Non è possibile, per me, approcciarsi all’utente web senza tenere conto di quali altri significati potrebbe attribuire a quello che dico o scrivo, di cosa potrebbe leggere tra le righe, o con quale fatto della giornata potrebbe fare un collegamento.”

Progetti futuri, post Covid?

“Sto studiando per migliorare l’efficacia dell’advertising sui social network. È un argomento in continua evoluzione: già ora è essenziale per avere una presenza social, ma a breve ci saranno dei cambiamenti (grazie Zuckerberg!) e lo sarà ancora di più.”

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