MILANO – Alberto Marchetti è un nome e un marchio ben riconosciuto, specialmente a Torino, dove hanno sede la maggioranza dei suoi punti vendita: il gelato contrassegnato da questo brand racconta una storia di freschezza, tradizione e ingredienti naturali. Il caffè? Anche questo fa parte di questa narrazione,
I prodotti targati Alberto Marchetti sono stati selezionati per la Roastery di una catena che del made in Italy ha fatto la sua musa: Starbucks – che per altro, ha da pochissimo compiuto 5 anni dalla sua inaugurazione -.
Alberto Marchetti è arrivato alla nona apertura italiana del marchio: come ci è arrivato? Ci sono state delle evoluzioni in questa espansione?
“Dopo 5-6 anni in corso Vittorio Emanuele a Torino insieme a mia moglie, ho aperto ad Alassio, nella parte del ponente che è più viva anche nei mesi oltre l’estate.
Dopo due anni qui, ho voluto continuare a Milano, in parte spinto dal fatto che molti clienti che frequentavano Alassio venivano proprio da questa città.
Così ho continuato l’espansione a Torino e in piazza C.L.N. abbiamo aperto quello che consideriamo un po’ il nostro flagship, con 300 metri quadri, dei quali 100 dedicati alla gelateria e 200 all’hospitality.
Durante tutto l’anno riserviamo un’ora per la spiegazione degli ingredienti e della mantecazione fatta con una macchina da due chili Carpigiani: il cliente in questa occasione assiste alla creazione del gusto di gelato di sua scelta.
In linea a questa idea, abbiamo studiato un altro format in collaborazione con un tour operator di Torino, che chiamiamo “l’esperienza gelato”, usando dei mantecatori da casa che permettono al cliente di comporre il gusto che più gli piace.
Dall’inizio a oggi è rimasto tanto del gelato Alberto Marchetti antico, a partire dalla modalità di lavoro: tutte le gelaterie pastorizzano, gli ingredienti sono freschi, le ricette sono le solite trasferite poi ai 12 ragazzi che sono artigiani.
Non facciamo scorte. Le ricette sono sempre ideate da me che poi spiego ai miei ragazzi.
Fa un po’ impressione che gli stessi bambini che venivano da noi nel 2007, ora magari tornano in negozio e si sono sposati.
Quello che è cambiato è la struttura: siamo 55 persone, di cui 25 fissi durante l’anno. Ovviamente l’azienda si è organizzata diversamente, con la centralizzazione del magazzino, la gestione dei costi da tenere d’occhio.
Crescono i numeri. Ci sono persone fisse che si occupano anche della grafica e della comunicazione.
È stato difficile capire le dinamiche diverse dall’artigianalità: un conto era quando eravamo io e mia moglie, un altro è dover rispondere alle esigenze di 55 persone.
Oggi posso contare su dei ragazzi che formano una bella squadra da parecchio tempo, alcuni lavorano con noi da 15 anni.”
Come si fa a mantenere l’artigianalità del vostro prodotto, anche aprendo così tanti punti vendita?
“L’artigianalità del gelato è un concetto difficile da individuare, perché comunque anche nelle piccole realtà si usano delle macchine che pastorizzano e mantecano: la mano c’è più che altro al punto della vendita.
A monte, l’artigianalità sta nel pesare gli ingredienti, nel formulare la ricetta: ho pensato alla consistenza, al gusto che mi piace, pondero gli elementi e su come metterli nella macchina.
Quindi forse non è corretto parlare di gelato artigianale, e infatti io non lo dico mai. La regola è che l’artigianalità non è rispetto al prodotto, ma all’azienda e io ormai non sono più artigianale perché ho alle mie dipendenze 55 ragazzi.
La ricetta, quella, resta artigianale. Per il resto ormai sono iscritto ad un altro albo, quello dei pubblici esercizi e non dell’artigiano. È una questione burocratica.
Sono vent’anni che lavoro nel mondo delle associazioni e non si riuscirà mai a fare un disciplinare del gelato artigianale. Penso che non ci sia neppure più il bisogno di averne uno.
La differenza sta nella shelf life del prodotto: quello industriale ha una durata più lunga, quello artigianale è fresco di giornata.
Dopo di che, le macchine e i mezzi sono gli stessi: pastorizzatore e mantecatore. E da l’, l’industria mette un cornetto in scatola e lo spedisce.
Poi ovviamente possiamo discutere sulle diverse qualità: tante gelaterie lavorano bene e altre no, così come nell’industria.
C’è chi sceglie buoni ingredienti, pastorizza, manteca e serve il gelato il più fresco possibile, così come piace fare a me: più tempo il gelato è stoccato più si avvicina alla shelf life di uno industriale e qui si gioca tutta la differenza.”
Il gelato come si sta evolvendo negli ultimi anni, seguendo i trend dei vari “senza zucchero”, “senza lattosio”, “senza glutine”
“Il mio gelato non si evolve, è tradizione. Lo zucchero c’è, quello che serve, stando attento ai palati, perché anche la percezione del gusto è cambiata negli anni.
Il gelato Alberto Marchetti contiene grassi anche buoni e il latte vaccino. È un gelato come piace a me. Dall’altra parte però non nego che ci siano le intolleranze: abbiamo 20 gusti, di cui 4/5 sono di frutta, ma non possiamo accontentare tutti.
Ho fatto la scelta di volermi caratterizzare così, come gusti della tradizione e lascio ad altre gelaterie più specializzate per accontentare quel tipo di clientela.
La difficoltà è togliere un gusto per sostituirlo, perché anche volendo aggiungere una nuova referenza resta da decidere cosa eliminare al suo posto.
La scelta non è così immediata come può sembrare e non si mettono d’accordo così facilmente 55 persone.
Preferisco accontentare i clienti che vogliono gustarsi il gelato tradizionale. Se si vuol mangiare un gelato Alberto Marchetti senza zucchero, allora non si vuole un gelato Alberto Marchetti.
È un problema: se faccio un gusto diverso, non avrà più la struttura degli altri e a quel punto, come reagirà il pubblico?”.
Il gelato è un prodotto che risente molto della stagionalità: come Alberto Marchetti, sta riuscendo a invertire questa tendenza e a rendere questo dessert freddo attraente tutto l’anno?
“Da anni sto cercando di fare ragionamenti di questo tipo: per un anno ho anche sperimentato aprendo un angolo caffetteria che però non è andato bene, perché quello della gelateria e della caffetteria sono due ambienti molto diversi.
Una volta avevo l’idea di inserire il caffè in via Po, spinto dall’onda di Slow Food, e una panoramica più ampia di varietà: ma avevo paura di sbilanciarmi troppo sulla parte caffetteria rispetto alla gelateria.
E allora non saremmo più stati la gelateria Alberto Marchetti, ma qualcos’altro.
Il problema è che, dato che si è riconosciuti come gelateria, il cliente non viene da noi per bere qualcosa di caldo. In gelateria si va d’estate.
Tengo sempre aperti i negozi, anche perché è brutto vedere lo store chiuso, grazie allo sfruttamento delle entrate derivate dalle aperture estive.
Allora per ovviare al problema, ho creato un’azienda parallela: dove abbiamo i magazzini produciamo lo zabaione nei barattoli da 40 grammi in monodose, da 200 grammi, da mezzo chilo e da un chilo per l’horeca che vendiamo anche molto d’inverno.
Ora abbiamo una linea di 8 gusti: marsala, moscato, moscato passita, marsala riserva, e delle collaborazioni con il birrificio Baladin. Lo zabaione è un progetto, qualcosa di grande che parte dalla sua produzione. Zaba.to. ”
Ha mai sperimentato l’unione di caffè e gelato? Se sì, come? E se no, che cosa le verrebbe in mente di fare?
“Abbastanza. Dal 2018 sono fornitore di Starbucks per il gelato e ho fatto diversi esperimenti con loro.
Nel 2017 abbiamo lavorato su 3 ricette, dedicate alla Roastery di Piazza Cordusio. Oggi produco il gelato per la Roastery, un menù con specialità: crema di latte con fior di latte a infusione di cold brew e un sorbetto all’acqua con il caffè.
Un anno e mezzo di viaggi e ricerche tra Seattle, Chicago e Londra. Ho usato diversi blend di Starbucks e insieme ad essi cambia stagionalmente anche il gelato.
Collaborare con un’azienda che ha 300mila partner nel mondo è stato affascinante, e ho tentato di capire le loro logiche.
È un insieme di pensieri. Hanno scelto noi dopo aver assaggiato diverse gelaterie.
Quest’anno hanno dedicato una pagina al gelato Alberto Marchetti, cambiando l’aspetto, le modalità, con chips di cioccolato o diverse qualità di caffè.”
L’ultima sua apertura torinese è quella che ha fatto scalpore in quanto si tratta di una delle gelaterie più piccole al mondo: come si lavora e ci si organizza in appena 8.5 metri quadrati e come mai ha scelto questa location?
“Quando abbiamo aperto nel 2009 con mia moglie, c’era tra i nostri clienti Francesco Bianchi, uno dei due fondatori di McBun.
Una sera ci ha raccontato il suo progetto: quando hanno inaugurato il primo e il secondo locale, ho detto loro di pensare a condividere uno spazio insieme nel futuro.
Poi il tempo è passato, fino a quando non hanno trovato una struttura vicino alla piscina acquatica di Torino, Vecchi Trampolini, che sembra un piccolo castello con due torri, i mattoni e le grate alle finestre.
In una torre c’era una scala per salire, nell’altro c’era spazio per un laboratorio con i mantecatori, che resta chiuso.
Abbiamo allargato le sbarre per lasciare lo spazio al servizio. In Corso Galileo Ferraris, la location è sui generis e siamo riusciti a piazzare dei piccoli mantecatori per avere il gelato sempre più fresco possibile.
Funziona molto perché è una zona di Torino un po’ defilata ma popolosa in quanto ricca di eventi tra stadio e concerti.
Ora piano piano le persone si accorgono del nuovo punto Alberto Marchetti e stiamo assistendo alle prime crescite.”
Quali sono le nuove sfide per il gelato Alberto Marchetti?
“Ho un bellissimo progetto non legato soltanto al gelato, che durerà per i prossimi 5-10. Nel prossimo periodo, benché molti mi chiedano di aprire all’estero persino a Zanzibar, voglio dedicarmi bene a Torino e allo zabaione.
Le gelaterie che ci sono vanno benissimo. Voglio tornare a Cocconato d’Asti, dove stanno i miei ricordi di infanzia, aprendo una piccola gelateria.
A Torino sono cresciuto molto e mi sono accorto che le guide turistiche passano davanti alla gelateria e raccontano la nostra storia.
Vuol dire che la città mi ha voluto bene ed è stato un posto in cui crescere. Un inglese assaggerà Alberto Marchetti a Torino.
La grande distribuzione è difficile, è un mercato saturo. Il gelato Alberto Marchetti è in gelateria, a Torino principalmente.”