MILANO – Ecco l’intervista in esclusiva ad Alberto Maja che è l’Amministratore unico di Caffè Hardy dalla metà del 2014. Si occupa di caffè però, sin dalla nascita: infatti, Maja rappresenta la terza generazione dell’azienda.
Alberto Maja: nei polmoni, dall’infanzia, l’aroma del caffè
“Bevo il caffè da quando sono adolescente e lo respiro da quando ero piccolo. Il caffè è la mia vita. Il nome poi, “Hardy”, ha una storia particolare.
Nel 1954, il Dottor Valente, il titolare fondatore della Faema, ha deciso di costruire una torrefazione per i mercati esteri, chiamandola Hardy (ardito in inglese).
Dopo qualche anno, la situazione non era delle più ideali e così, ha deciso di vendere il marchio e l’impresa. Il fratello di mio nonno, che era un ispettore della Faema, assieme al mio stesso nonno, ha potuto rilevare l’impresa nel 1956.”
Un inizio già in grande, con l’industria alle spalle
“Sì. Da un ramo della Faema, siamo nati noi. Da lì, è iniziata la nostra storia caffeicola. Per me poi, il caffè è diventato una bevanda che ci permette di staccare il cervello. Di vivere una forte emozione.
Nel momento in cui lo assaporiamo, riceviamo subito una scossa dalla caffeina, che ci dà modo di muoverci durante la giornata con più vitalità.”
Che cos’è la qualità per Alberto Maja
“Noi abbiamo fondato il nostro credo proprio sulla qualità. Siamo una torrefazione di nicchia, che ha potuto garantire un prodotto che, non è solo tecnicamente valido, ma che, allo stesso tempo, viene apprezzato dai tanti consumatori.
Sappiamo infatti che, non sempre, le miscele realizzate tecnicamente bene, incontrano poi il gusto degli italiani per l’espresso. Si tratta infatti di un fattore particolare, dato proprio dalla macchina espresso che lo produce.
Non necessariamente una miscela, ad esempio, di Arabica 100%, restituisce dei risultati piacevoli al palato italiano. Secondo me, si dovrebbe sempre aggiungere un po’ di Robusta. Per cui, la qualità deriva dalla selezione di tipi di caffè che siano validi. Anche la Robusta che viene inserita nella miscela, dev’essere di qualità.”
Nel 2018, Caffè Hardy compie 64 anni
Secondo i suoi ricordi, com’è cambiato in questo arco di tempo, il mondo del caffè in Italia?
“E’ cambiato parecchio. Soprattutto di recente, abbiamo assistito finalmente ad un’evoluzione della cultura del caffè. Abbiamo, anche in questo settore, intrapreso il percorso dei vari fabbricanti di vino e viticoltori.
Ovvero, facciamo cultura del prodotto che proponiamo sul mercato. Si è iniziato a far capire al consumatore, la qualità della materia. Prima, il caffè era consumato al bar sul banco, in velocità. Non si aveva consapevolezza, nell’utente finale, di ciò che si stava bevendo.
Invece, negli ultimi anni, tra i torrefattori e gli organi di comunicazione, si è iniziato a diffondere proprio la cultura del caffè.
Quindi ci si è mossi per condividere i processi che stanno dietro la tazzina e la miscela. Il cliente ora sa che cosa significhi realmente Arabica e Robusta e le loro diverse qualità.
Allo stesso tempo, si è più informati rispetto a come la lavorazione della miscela stessa, possa influire realmente sulla tazza. Ormai, si cerca sempre di comunicare tutto il processo al pubblico.”
L’uso eccessivo di fertilizzanti per aumentare la produzione, ha portato ad un peggioramento globale della qualità del caffè.
Cosa ne pensa?
“Ho una posizione forse un po’ controversa a riguardo. Infatti, mentre spesso si demonizza l’uso di determinati fertilizzanti e l’inquinamento, io sono convinto che il mondo debba procedere.
E’ vero, esistono questi problemi. Ma è necessario lo sviluppo tecnologico. E’ chiaro: bisogna controllare e fissare dei limiti, per far sì che l’impiego di alcuni di questi prodotti non siano nocivi.
In questo senso, l’uso dei fertilizzanti non deve esser eliminato. Ma, di sicuro, monitorato. Non so se, effettivamente, la qualità del prodotto sia per questo peggiorata.
Al contrario, io mi sono spesso confrontato con dei caffè veramente validi, proprio negli ultimi tempi.
Oggi conosciamo degli specialty, le monorigini. Beviamo delle miscele composte principalmente da Arabica. Delle soluzioni che prima, non si trovavano. Quindi, non vivo con paura l’uso dei fertilizzanti. Sempre a patto che ci sia il controllo.”
Lei a quale organizzazione di settore è iscritto. E perché?
“Sono iscritto sia all’Aiipa, Confindustria sia ad Altoga, Confocommercio. Poi anche al Comitato italiano del Caffè. Aderisco ad entrambe perché, siamo industriali così come commercianti. Quindi bisogna aggiornarsi su entrambi i versanti. Non possiamo perdere di vista la fetta del mercato che riguarda il commercio.
Sono dell’opinione che si debba favorire una maggiore comunicazione tra le Associazioni. Non ci si deve chiudere nei rispettivi ambiti. Perché è soltanto nella collaborazione, che si possono aiutare davvero le aziende italiane. Così da essere più efficienti a livello estero.”
L’apertura in Piazza Cordusio di Starbucks
“Ben venga questa novità. Perché è di sicuro uno stimolo maggiore per noi, nel migliorarci. Non bisogna avere paura della concorrenza.
Soprattutto se ci si confronta con degli ottimi concorrenti. Infatti, per esser competitivi a questi livelli, è necessario anche per noi elevarci allo stesso standard.
Per cui, sono contento che Starbucks apra in Italia. In quanto offrirà un tipo di prodotto, di servizio e di fruibilità, totalmente diverso rispetto a quello a cui siamo abituati in Italia. E’ ottimo che si continui a parlare di caffè, in tutti i modi possibili.”
Il prezzo della tazzina: da Starbucks, l’espresso costerà almeno 2 euro
Cosa ne pensa del costo dell’espresso al bar?
“Non sono sicuro che l’apertura di Starbucks, possa cambiare questo fattore. Sono ancora solo voci. Nonostante si conoscano i prezzi che la catena applica all’estero, esiste sempre la possibilità che in Italia non avvenga lo stesso.
In fondo stiamo parlando di un’azienda molto attenta, che ha atteso ad entrare in Italia parecchi anni. Ha deciso di aprire dopo un decennio nel nostro Paese, solo dopo aver studiato attentamente il mercato. E ha sempre riconosciuto che, quello italiano, fosse un caso particolare.
Quindi, anche la questione del prezzo, potrebbe esser stata affrontata in maniera diversa dalla catena. Non so allora se i costi saranno gli stessi che all’estero. Secondo me, è possibile che si allineino invece alle aspettative del consumatore italiano. Almeno in parte.
Come impresa, di sicuro, valorizzeranno anche i prodotti e l’atmosfera del brand. Quindi, in ogni caso, il caffè costerà un pochino di più rispetto allo standard dell’espresso italiano al bar oggi.”
Cambierà qualcosa nel mercato?
“Spero di sì. Che faccia capire ai nostri gestori di caffetterie e locali, che il prezzo del caffè a un euro e dieci, non è accettabile, nonostante le lamentele del consumatore finale.
Ricordo che il caffè negli anni 80 era allineato al costo del quotidiano. Oggi questo articolo costa un euro e sessanta. Quindi anche il caffè deve seguire.
Bisogna invece valorizzare il prodotto, offrendone di qualità, facendolo però pagare adeguatamente.”
Il caffè porzionato
Che cosa pensa delle capsule e del fatto che, i loro contenitori, siano inquinanti?
“Innanzitutto comincerei ad esprimere la mia opinione rispetto alle capsule. Penso che, anche in questo caso, siamo di fronte ad una risorsa per il settore. Perché le persone consumano il caffè anche a casa propria. Senza nulla togliere al consumo nei bar.
Per cui io non vedo il consumo domestico come una sottrazione a quello nei locali. Oggi poi, anche il caffè prodotto con le capsule, è diventato di qualità rispetto ai primi anni in cui venivano vendute.
Per cui, anche la capsula sta progredendo e garantisce un risultato sempre migliore. E sempre più vicino all’espresso del bar.
Per quanto riguarda invece l’aspetto della sostenibilità delle capsule: effettivamente sono articoli particolarmente inquinanti. Dalla Nespresso con l’alluminio difficilmente separabile dal caffè alla plastica di altre marche.
Sicuramente è un problema che va affrontato. Ma, io credo nel progresso e che quindi verrà risolto questo aspetto. Pensiamo solo che oggi esistono già le capsule compostabili.
L’Italia è ancora un po’ fuori rispetto a queste soluzioni, però ci sta arrivando. Lo vedo già durante le fiere. E’ solo una questione di tempo, per riuscire a sopperire a questo difetto delle capsule.”
Cosa ne pensa del caffè biologico, che già all’estero ha tanto successo e ora trova un po’ di spazio anche in Italia?
“Anche in questo caso, ritengo sia un fenomeno positivo. Il caffè biologico è certamente un prodotto salutare, in quanto è stato ottenuto senza l’utilizzo dei fertilizzanti. Per cui è meno dannoso per l’organismo.
Dunque è di sicuro una cultura interessante, in crescita. Anche se, a mio avviso, resta più legata ad una moda che ad altro. Anche perché, se dovessimo produrre tutto biologicamente, non riusciremmo sfamare tutto il pianeta.
Cosa che invece si è resa possibile tramite l’uso dei fertilizzanti. Che, sottolineo ancora una volta, devono esser impiegati in maniera controllata nel rispetto dell’ambiente.
Quello del biologico è certamente un fenomeno interessante, che noi seguiamo con la nostra offerta della nostra miscela bio, la Zanzibar ed un monorigine Perù. Questo perché troviamo che sia giusto ci sia uno studio sul miglioramento dell’ambiente.”
Quali possono essere, secondo lei, le prospettive del cosiddetto espresso italiano tradizionale?
“Per l’espresso italiano, vedo un buon futuro. L’Italia, all’estero, è molto apprezzata per la nostra qualità. L’espresso italiano si sta diffondendo a livello globale. Ci viene riconosciuto che siamo bravi nel produrre una tazzina, con la macchina espressa.
Bisogna chiaramente garantire miscele di alto livello, che possano distinguersi. Poi, investire nella formazione e nella comunicazione dell’espresso italiano. Bisogna trasmettere le sue caratteristiche.”
In che modo il Caffè Hardy si pone rispetto alle generazioni future?
“Noi cerchiamo di conquistare i giovani tramite i canali che loro stessi sfruttano. Dobbiamo quindi utilizzare il loro stesso linguaggio. Si deve entrare nell’ottica di comunicare il prodotto muovendosi sui social, su Facebook, su Instagram, eccetera.
Il caffè, viene ancora consumato poco dai giovani, non perché la bevanda non sia di moda. Piuttosto questo avviene perché dobbiamo imparare a farlo conoscere.
Il caffè è un prodotto che non ha tempo. Trasporta in un altro mondo, ti fornisce energia. Quindi la vera sfida, si gioca solo sul piano della comunicazione. ”
Ha ancora dei nuovi obiettivi da affrontare come imprenditore, oppure sente di averli tutti raggiunti?
“Io penso che, il giorno in cui un imprenditore pensa di aver raggiunto tutti i suoi obiettivi, sia lo stesso in cui chiuderà la sua azienda.
Quindi, direi che ho ancora molte ambizioni. Bisogna avere dei sogni: solo con questi, si può andare avanti. La vision deve essere chiara per potersi migliorare.”
I suoi collaboratori, sono già appassionati di caffè, o lo diventano?
“Alcuni entrano in azienda già per passione. Ultimamente, alcuni collaboratori non del settore, si sono avvicinati al prodotto. Questo perché, quando si trasmette che cosa sia il caffè, difficilmente si rimane impermeabili. Si viene sempre coinvolti.”
I finanziamenti ai baristi
“Io penso che, purtroppo, è tutta colpa nostra, non dei baristi. Siamo noi, come aziende, che abbiamo creato questo sistema di finanziamenti che lega gli operatori.
Negli ultimi anni, forse, qualcosa è migliorato. Nel senso che sono di meno le aziende che erogano finanziamenti, nonostante non si sia fermato il fenomeno.
L’esportazione di questo sistema all’estero? È terribile. Come Hardy non sovvenzioniamo niente al di fuori del nostro Paese. In Italia, cerchiamo di limitarci il più possibile, in modo che questo fenomeno si estingua, ma, soprattutto, utilizziamo contratti di sponsorizzazione che non hanno niente a che vedere con i finanziamenti.”
L’animo culturale di Caffè Hardy
“È Milano. Noi siamo il caffè di questa città dal 1954 e siamo ormai radicati in questo territorio. Ed è qui, nel settore Horeca, che siamo i primi. Solo in città abbiamo più di 300 clienti. Siamo presenti all’interno dei migliori locali milanesi.
Abbiamo un’identità di eleganza. Una storia legata alla moda e alla cultura. E noi dobbiamo esportare questi aspetti, tramite il nostro caffè. Questo ha determinato ad esempio la scelta di un packaging fashion.”
Le specialità di Caffè Hardy
“Non abbiamo tantissime miscele. Preferiamo averne poche ma eccellenti. Vogliamo selezionare il meglio. Abbiamo quella “Milano“, che è quella che ci caratterizza principalmente, spostata sull’Arabica, con solo un 10% di Robusta.
Poi la miscela “Europa“, quella più consumata dai nostri clienti, un 70% Arabica. Infine, una miscela molto più caratterizzata dalla Robusta, che incontra più il gusto meridionale. Dove il caffè è richiesto più denso e cremoso.
Oltre queste tradizionali, proponiamo un decaffeinato spostato sull’Arabica. Poi due referenze biologiche: perché crediamo che questo prodotto di nicchia, sia importante per l’ambiente e per un certo tipo di consumatori. Quindi abbiamo un monorigine “Perù”.”
Il monorigine è una moda commerciale?
“Penso che le monorigini siano ideali per far conoscere le varietà del caffè e tutte le sue sfumature. La sua complessità. Sono a favore. Però il consumo resta di nicchia. Perchè il monorigine incontra difficilmente il palato italiano.
È come sul vino: alcuni tipi non sono graditi da tutti. Bisogna essere formati per apprezzarli. Ma ne fanno discutere.”
Come si riconosce un caffè buono?
“Per me, il caffè buono è quello che non fa venir voglia di bere altro dopo averlo bevuto. Non desideri liberarti del sapore.”
Parlando del territorio: Caffè Hardy si riferisce a Milano. Ma oltre alla Lombardia, dove arriva?
“Questo è un tasto un po’ dolente. Perché in Italia, la nostra azienda non è riuscita a svilupparsi ulteriormente per mentalità e storia. E’ un mercato un po’ difficile.
Il problema è che, attualmente, un’impresa non può fermarsi al suo territorio. La mia vision quindi si spinge oltre Milano. Dobbiamo ingrandirci.
La nostra azienda è importante a Milano e in provincia, ma ancora in Italia non ha conquistato nuovi territori. Per questo, stiamo intraprendendo una campagna di sviluppo anche fuori da questi nostri confini. Sicuramente desideriamo sviluppare il nostro brand nello stivale e poi all’estero.”
Caffè Hardy organizza dei corsi di caffetteria?
“Assolutamente sì. E’ dal 2008 che organizziamo corsi e ne teniamo due al mese. Abbiamo una sala interna con a disposizione di un massimo di 8 persone, due macchine del caffè. Collaboriamo con Luca Raimoni dell’Aicaf, l’Accademia italiana del caffè.
Sono corsi di Latte art e di caffè tradizionale, ultimamemente, anche quelli su metodi di estrazione alternative. Nell’ultimo Milano Coffee, Gianni Cocco uno dei massimi rappresentanti dell’Aicaf, ha portato il nostro caffè in diversi show. ”
L’evoluzione dei corsi sono i campionati per i baristi
“Quando si parla di caffè, io sono sempre d’accordo. Quindi sono molto favorevole ai campionati, anche perché durante le competizioni, sono utilizzati sempre caffè di qualità.”
Il settore del vending e Caffè Hardy
“Noi non siamo presenti in questo settore. Non collaboriamo con nessuna azienda della distribuzione automatica. Perchè, semplicemente, non abbiamo ancora avuto l’occasione di dialogo. può essere però uno sviluppo del futuro.”
Il Cold brew, il caffè infuso a freddo, si annuncia come la moda dell’estate. Cosa ne pensa?
“Vedo comunque difficile una sua penetrazione, perché la preparazione non è così immediata, rapida. Non so quanto può superare la moda momentanea. Io prediligo ancora il caffè freddo shackerato, realizzato partendo dall’espresso tradizionale.”
Qualche ristorante comincia a proporre la carta del caffè. Che ne pensa?
“Sono assolutamente favorevole. Stiamo impostando questo discorso con diversi ristoratori, perché la carta del caffè, è sinonimo del caffè di qualità a fine pasto. Se esiste la carta dei vini, perché non proporre anche quella del caffè?”
Il Milano Coffee Festival: perchè ha partecipato e com’è andata?
“Non potevamo mancare ad un evento sul caffè a Milano. E’ stato un evento molto ben riuscito, soprattutto perché era aperto al pubblico.
Non era solo limitato agli addetti al settore e questo è positivo proprio perché ha messo in contatto i consumatori con il caffè di qualità. Nonostante poi fosse la prima edizione, l’adesione è stata veramente notevole.”
Che cosa ne pensa della grossa presenza dei cinesi come gestori di locali in Italia?
“La libertà di aprire molti bar, ha determinato una grande competizione tra i locali. Questo però ha creato anche l’illusione che chiunque, potesse aprire una propria attività. Ciò ha portato di conseguenza, il calo della qualità degli esercizi.
Ora stiamo ricostruendo tramite corsi e formazione. Ma il numero delle attività che aprono e poi chiudono nell’arco di tre anni, è molto alto. Ciò ha creato un mercato parecchio ostile. Che deve esser ripulito.
Adesso siamo in mezzo ad una guerra tra poveri. Perchè i clienti restano gli stessi, ma il numero dei bar aumenta. Si lotta sul prezzo e, a lungo andare, sopravviveranno solo i professionisti che offrono qualcosa in più.
Magari l’atmosfera, oltre che il prodotto. Si salva chi ha un’impronta più accogliente, che crea un feeling con il consumatore, che innova.”