di Simone Finotti*
I milanesi, nel 1945, avevano ancora nelle orecchie gli echi degli ultimi bombardamenti, ma nelle piazze e per le strade si respirava voglia di normalità. Anche il caffè, in quei giorni, aveva il sapore della rinascita e del riscatto.
La bevanda era una specie di simbolo di una vita che riprendeva a pulsare, e proprio questo deve aver pensato Carlo Ernesto Valente mentre apriva, per la prima volta, la saracinesca del suo stabilimento nuovo di zecca: era nata la Fabbrica Apparecchiature Elettro Meccaniche e Affini, meglio nota con l’acronimo Faema, la leggendaria ditta di macchine per caffè che orgogliosamente, nel proprio logo, esibisce il profilo del Duomo.
Settant’anni tondi tondi che, fino al 18 dicembre, si possono rivivere in tutto il loro svolgersi ed evolversi all’hangar 100 del Mumac – Museo della Macchina per caffè di Binasco, nella mostra «La storia e il mito»: l’azienda, che fa parte del gruppo Cimbali, si festeggia in grande stile ripercorrendo, in un centinaio di pezzi iconici e altrettante fotografie di ieri e di oggi, una storia fatta di innovazione, design e ricerca.
Fra i capisaldi dell’esposizione si trova la celeberrima E61, la macchina per la produzione automatica del caffè all’italiana brevettata nel 1961, la prima ad essere dotata di pompa volumetrica che iniettava acqua calda a 9 atmosfere.
Accanto a lei molte altre macchine professionali divenute – nel tempo – autentiche pietre miliari del genere: dalla E66 Diplomatic alla X5, presentata in Fiera nel ’67, da Faematronic, disegnata da Ettore Sottsass e Aldo Cibic nel 1983, alla E91, ancor oggi un successo, dalla x3, che salutò il nuovo millennio, fino alla recente Emblema, nata dalla collaborazione con Giugiaro.
Ma il genio imprenditoriale, oltre che nella lungimiranza progettuale, si vedeva anche nel marketing. Fin dal dopoguerra infatti il nome Faema finì sulla bocca degli sportivi. In principio fu il rugby, con la sponsorizzazione del Treviso (la futura Benetton) campione d’Italia 1955-56. Poi toccò al grande ciclismo. E, tra il 1960 e il 1970, i mitici colori biancorossi furono tenuti alti da campionissimi del calibro di Eddy Merckx, Rik Van Looy, Vittorio Adorni e Charly Gaul.
Per questo motivo l’esposizione, organizzata in collaborazione con il Museo del Ciclismo Madonna del Ghisallo, comprende una sezione Sport e Ciclismo con le maglie rosa e gialla di Merckx nel Tour e nel Giro vinti nel 1968 e nel 1969, e la bicicletta che l’asso belga cavalcava durante quella «corsa rosa», proveniente dalla collezione Alberto Masi.
Ci sono anche molte riviste e fotografie d’epoca, mentre installazioni audiovisive permettono di ascoltare interviste e racconti delle corse più combattute. Molto curato anche l’allestimento, progettato da Gruppe Gut Gestaltung: gli oltre 300 metri quadrati di spazio espositivo sono attraversati da un’onda retroilluminata che funge da snodo per i vari nuclei tematici.
Da non perdere infine la sezione Azienda e persone, che testimonia il grande impegno etico di Faema e l’angolo dei prodotti domestici, in cui si possono vedere strumenti pionieristici per quegli anni come lucidatrici, tostapane, frullatori e asciugacapelli. Per noi oggi di uso consueto, ma allora avveniristici. Per informazioni si può consultare il sito web www.mumac.it.