domenica 22 Dicembre 2024
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Aga e Inshuti za kawa: da Alassio al Rwanda, i giovani uniti dalla cultura del caffè

Il presidente: “Tutto è partito nel 2021. Ad Alassio esiste l’Associazione Padre Erman che da tanti anni organizza una missione in Rwanda, che si pone l’obiettivo di assistere la popolazione locale. Barbara Testa faceva parte di questa iniziativa ed è stata proprio lei ad aver creato un percorso parallelo e individuale sempre indirizzato al Rwanda: nel 2021 ha conosciuto i ragazzi della Cooperativa Inshuti za kawa e li ha messi in contatto con noi di Aga, per chiedere se fossimo disponibili a partecipare a questo progetto di scambio."

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ALASSIO – Quando le due parti della filiera si incontrano, superando le distanze geografiche e culturali, allora nascono dei progetti interessanti come quello partito nel 2021 grazie alla collaborazione tra l’Associazione giovani Alassio (Aga) e la cooperativa rwandese Inshuti za kawa (Amici del caffè).

Uno scambio innanzitutto di esperienze che ha portato i ragazzi del Comune a viaggiare in Africa per esplorare la vita locale anche tra le piantagioni di caffè. E, dall’altra, i giovani dal Rwanda a contatto con i processi di torrefazione che trasformano la materia prima da loro coltivata in origine.

Quasi un cerchio che si chiude quindi: a distanza di un anno dal suo avvio, questo dialogo tra farmers e consumatori finali – con in mezzo il ponte tra i due data dal supporto della torrefazione Fratelli Pasqualini di Cisano sul Neva, allo svolgimento dell’iniziativa – continua proficuamente.

Ne abbiamo raccontato la genesi e i dettagli con Giacomo Aicardi, presidente di Aga

Come nasce un progetto così complesso e specifico come la costruzione di uno scambio culturale innanzitutto con un Paese produttore, in una città come Alassio?

“Tutto è partito nel 2021. Ad Alassio esiste l’Associazione Padre Erman che da tanti anni organizza una missione in Rwanda, che si pone l’obiettivo di assistere la popolazione locale. Barbara Testa faceva parte di questa iniziativa ed è stata proprio lei ad aver creato un percorso parallelo e individuale sempre indirizzato al Rwanda: nel 2021 ha conosciuto i ragazzi della Cooperativa Inshuti za kawa e li ha messi in contatto con noi di Aga, per chiedere se fossimo disponibili a partecipare a questo progetto di scambio.

La prima cosa che abbiamo pensato è stato quello di formare una delegazione di componenti della cooperativa per farli venire da noi ad Alassio e conoscerci. Stabilendo così un contatto personale e non solo telefonico. In seguito, avremmo fatto lo stesso noi: i ragazzi di Alassio sarebbero partiti per visitare le piantagioni e il Rwanda intero. Siamo rimasti per dieci giorni a maggio e l’abbiamo potuto girare tutto.

Per la prima volta nel dicembre del 2021, Joel Arusha, presidente della cooperativa e la fondatrice Juliette Uwineza, sono arrivati ad Alassio.”

I ragazzi di Aga hanno scelto di approfondire la loro conoscenza del caffè: che cosa sapevano prima di iniziare e che cosa hanno imparato oggi a distanza di un anno dalla partenza?

“All’inizio non sapevamo niente. Avevamo un’idea generica, certo, che il caffè fosse un prodotto importato, ma eravamo piuttosto ignoranti su tutta la filiera. Prima di partire, eravamo più attratti dall’esperienza di viaggio di tutto il Rwanda, ma una volta toccato con mano le origini del chicco, ci siamo davvero appassionati alla materia prima.

Abbiamo presto scoperto che dietro la tazzina consumata velocemente al bar c’è un lavoro immenso e uno sforzo fisico importante e così non ci lamenteremo più di un aumento di venti centesimi. Il loro impegno va riconosciuto e valorizzato. Abbiamo parlato di fare cultura attorno al caffè, perché noi in Italia siamo indietro rispetto ad altri Paesi.”

Chi sono i ragazzi che l’hanno fondata? Qual è la loro storia e che cosa hanno scoperto invece andando dall’altra parte della filiera?

“Sono per la maggiorparte laureati o laureandi che sono proprietari di alcune piantagioni di caffè che rischiavano di fallire: hanno risollevato queste attività cercando di stabilire il mercato di import export. Juliette è una consigliera della cooperativa incredibile. Molti dei membri della cooperativa si fermavano alla conoscenza del caffè verde.

Per esempio, l’altro fondatore Damien Manirakiza, non essendo mai uscito neppure dal Rwanda e pochissime volte dal suo villaggio, prima di entrare in torrefazione non aveva la minima idea di cosa accadesse al chicco una volta spedito: ritornava da loro macinato e non sapevano quali fossero i passaggi intermedi. Il primo giorno da Pasqualini si è commosso vedendo, che cosa subisse il prodotto da loro coltivato.

Il sogno sarebbe proprio questo: il consumo del nostro caffè, che dà ai consumatori una buona bevanda e a loro un giusto compenso. Abbiamo molto da imparare sotto molti punti di vista.”

Primo incontro a dicembre 2021 ad Alassio, poi a maggio un viaggio in piantagione e ad ottobre 2022 di nuovo si torna in Italia: che cosa ci potente raccontare di questo anno di scambio? Cosa è successo, quali vantaggi avete tratto da questa esperienza da entrambe le parti?

“È stato incredibile per noi. Siamo andati in Rwanda partendo dal caffè per poi conoscere il Paese su più livelli: abbiamo incontrato il sindaco della seconda città più grande del Rwanda, L’Ambasciatore dell’Unione europea in Rwanda, e il Ministro di Stato all’agricoltura.

Alle origini del chicco (foto concessa)

Abbiamo visitato il villaggio di Damien, che ha istruito i contadini delle cooperative: abbiamo visto tutto quello che viene trasmesso spesso in televisione, dalle case di fango ai bambini con il ventre gonfio. Ci ha colpito il loro modo di affrontare le difficoltà della vita: hanno un approccio che deve essere esemplare per noi.

Altra cosa che ci ha stupito molto: hanno un orgoglio, un attaccamento, un rispetto della loro terra e del caffè, incredibile. Per la maggiorparte dei membri della cooperativa il chicco è una religione, è la vita. Spendono davvero molto del loro tempo a lavorare nei campi, a discutere di nuove possibilità per l’esportazione e l’innovazione dei mezzi, spesso arretrati a loro disposizione. Hanno creato dei sistemi che si sono rivelati piuttosto efficienti. La passione per la materia prima è incredibile.”

Partner del progetto Aga sin dall’inizio la torrefazione Fratelli Pasqualini: qual è stato ed ha tuttora il suo ruolo nell’iniziativa?

“Il suo ruolo iniziale è stato quello di supporto: avevamo bisogno, come Associazione no profit che non si occupa specificamente del settore caffè, di un appoggio esterno che potesse dimostrare ai ragazzi che non avevano mai visto ciò che succedeva dal verde alla tazzina, che lavoro ci fosse dietro. In questo progetto cerchiamo sempre di valorizzare chi ha un forte orgoglio identitario per la propria nazione e territorio, elementi che uniscono indipendentemente dai confini.

A lezione di latte art (foto concessa)

I Fratelli Pasqualini, hanno sempre creato un ottimo legame con i locali ed è quindi stato per noi di Aga naturale rivolgerci a loro come partner. Nel dicembre 2021, quando c’è stato il primo incontro, i membri della cooperativa sono passati in torrefazione, osservando il processo di tostatura, seguendo un corso sulla preparazione di caffè e cappuccini. È stato molto emozionante, perché per loro era la prima volta dietro ai macchinari.

A ottobre, tornati dal Rwanda, hanno portato nuove persone nello stabilimento per assistere di nuovo al processo di torrefazione, con la possibilità di frequentare ancora una volta il corso di estrazione. Pasqualini è sempre un appoggio, e magari in futuro svolgerà un ruolo chiave anche come punto di esportazione del caffè prodotto dalla cooperativa.

Il distretto della cooperativa produce un 100% Arabica che è stato premiato nel 2014/2015 a New York come miglior caffè del mondo: il caffè rwandese non compete a livello di quantità con Paesi come Brasile, ma sicuramente si distingue per l’altissima qualità. L’obiettivo della cooperativa è quello di esportare questo prodotto fuori dai confini nazionali, cercando di restituire a tutti i dipendenti, ai contadini che lavorano al suo interno, un equo compenso. Siamo andati in una farm grossa in Rwanda dove venivano pagati due dollari al giorno.”

E ora si è unito anche Confcooperative di Savona e Imperia: che cosa cambia questo ingresso?

“Servirà a questo progetto per cercare di trovare dei fondi europei o nazionali per sostenere la cooperativa e il suo sviluppo commerciale. L’ideatrice Barbara Testa, prova un amore incondizionato nel confronto del Rwanda ed è diventata anche responsabile della comunicazione della cooperativa. Ora sta spingendo per accedere a dei finanziamenti da destinare a questa impresa. Confcooperative cercherà di indirizzarci verso i bandi più accessibili e attinenti.”

Ci sono altri addetti del settore che partecipano o che hanno intenzione di esser coinvolti in questo dialogo dall’origine alla tazzina?

“Pasqualini sarà sempre per Aga la torrefazione di riferimento sul territorio perché sono loro che ci hanno permesso di fare molto in termini di organizzazione – ci hanno aiutato in maniera sostanziale per ottenere i visti per il viaggio, ad esempio -. Chiaramente questo non preclude alcuna ulteriore strada. Abbiamo l’obbligo di conoscere tutti coloro che si mostreranno interessati a sviluppare il loro progetto, con l’obiettivo di raggiungere 30milapiante di caffè nei prossimi 5 anni. Ad oggi sono ancora soltanto a 5: prossimo anno si vuole averne 1000 – hanno già trovato i fondi per farlo -.

E ora? Come si svilupperà il progetto?

“La sfida adesso è quella di andare oltre lo scambio culturale, che comunque continuerà nei prossimi anni: ora bisogna portare avanti anche un discorso commerciale ed economico. La loro necessità è quella di trovare un punto di riferimento, un ponte concreto che porti il loro prodotto di altissima qualità. Un sostegno imprenditoriale, più che di solidarietà. Si meritano tutto il nostro aiuto e rispetto.

E loro chiedono proprio questo: qualcuno che comprenda la loro dignità, la loro terra, la loro cultura e il loro prodotto. Rifiutando ogni forma di beneficienza: il principio non è quello di basarsi sull’aiuto umanitario, ma quello di sviluppare uno scambio di business vero e proprio. Rendendo la cooperativa una ditta commerciale e umana. Noi di Aga ci spenderemo con tutte le nostre forze per sostenere questa storia, facendola conoscere ai giovani, una cosa molto importante per superare anche gli stereotipi che molti in Italia abbiamo rispetto all’Africa.”

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