di Irma D’Aria
MILANO – Tra qualche anno la tazzina di caffè con la quale facciamo colazione e che ci accompagna nelle varie pause della giornata non sarà più così facile da gustare né al bar né a casa.
Lo dice uno studio pubblicato oggi su Plos One. I ricercatori del Royal Botanic Gardens, in collaborazione con altri scienziati etiopi, hanno infatti concluso che tra circa 70 anni la varietà Arabica, quella più diffusa e pregiata, non esisterà più a causa dei cambiamenti climatici.
L’Arabica è considerata fondamentale per la sostenibilità dell’industria del caffè a causa della sua enorme diversità genetica che, però, la rende anche meno flessibile ai cambiamenti climatici e più vulnerabile rispetto a minacce come parassiti e infestazioni.
La notizia, oltre a preoccupare tutti coloro che hanno nei confronti del caffè una vera e propria dipendenza, ha delle conseguenze molto più serie sull’economia dei paesi produttori, Etiopia in testa, per i quali è cruciale.
Già da qualche anno, i raccolti dei semi di caffè diventano sempre più difficoltosi e richiedono interventi speciali, come irrigazioni più frequenti, che alla fine incidono sul prezzo finale che continua a crescere.
Memoria “positiva”. Visto che la proiezione fatta dai ricercatori fissa come data del possibile inizio della scomparsa dell’Arabica il 2020, sarà meglio approfittare subito dei suoi effetti benefici.
È sempre di oggi la notizia di una ricerca della Ruhr University tedesca, anch’essa pubblicata su Plos One, che dimostra la capacità della caffeina di migliorare il ricordo delle parole dal significato positivo rispetto a quelle neutre o negative.
Già precedenti ricerche avevano dimostrato che la caffeina aumenta l’attività del sistema nervoso centrale e che, assunta in dosi non eccessive, migliora la performance cognitiva.
È già noto, inoltre, che alcuni ricordi sono rafforzati quando c’è un’associazione a forti emozioni sia positive che negative.
200 milligrammi di caffè
Ora per la prima volta uno studio prova che consumare 200 milligrammi di caffè (l’equivalente di 2-3 tazzine) trenta minuti prima di un impegno di lavoro o un esame può migliorare il ricordo inconscio delle parole dal significato positivo. Secondo i ricercatori questo effetto è dovuto al forte effetto dopaminergico nell’area del cervello responsabile del linguaggio.
Vita più lunga.
Ben più importante l’effetto del caffè sulla mortalità. A sostenere la tesi, stavolta, è uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine: bere molto caffè non aumenta il rischio di decesso in generale e per cause specifiche.
Importante studio
“Questo importante studio – sostiene Amleto D’Amicis, vicepresidente della Società Italiana di nutrizione umana (SINU) e membro del Comitato scientifico per gli studi sul caffè (FoSAN); è il primo a riportare una netta associazione inversa, statisticamente significativa. Tra consumo di caffè e mortalità per tutte le cause, l’associazione inversa è dose dipendente, più caffè si consuma minore il rischio di morte. Altri precedenti studi non avevano evidenziato alcuna associazione tra caffè e mortalità. Altri ancora avevano mostrato una debole associazione inversa, raramente statisticamente significativa”.
I ricercatori hanno intervistato 229.119 uomini e 173.141 donne afferenti al National Institutes of Health-AARP Diet and Health Study. Gli intervistati erano soggetti sani; senza precedenti tumori o patologia cardiovascolare e cerebrovascolare; di età compresa tra i 50 e i 71 anni.
Questi soggetti sono stati seguiti per un periodo di tempo che variava da 1 a 14 anni. Registrando le cause di morte dei 52.515 soggetti deceduti tra il 1995 e il 2008.
Per misurare la forza dell’associazione si è tenuto conto anche di tutti gli altri fattori che potessero influire sullo stato di salute, come per esempio l’abitudine al fumo, il consumo di alcol, il peso corporeo, l’attività fisica e altri stili di vita, in molti casi associati anche al consumo di caffè.
Alla fine è risultato che, nei soggetti sani, all’aumentare del consumo di caffè diminuiva la mortalità totale. In particolare, negli uomini la mortalità diminuiva dell’1% in chi beveva meno di una tazza di caffè al giorno; del 6% in chi ne beveva una; e del 10% in chi beveva due o più tazze al giorno.
Nelle donne non vi era protezione per un consumo di meno di una tazza
Ma vi era una protezione del 5% per una tazza. E del 14-15% per 2 o più tazze di caffè al giorno.
Per consumi più elevati la protezione non aumentava
Cosa interessante e poco nota finora è anche che risultati assolutamente sovrapponibili sono stati ottenuti con il caffè decaffeinato.
Commenta Alessandra Tavani, capo del Laboratorio di epidemiologia delle malattie croniche presso l’Istituto “Mario Negri” di Milano. “La cosa interessante è anche che il caffè non aumenta il rischio di nessuna delle grandi classi di patologie. Di quelle prese in considerazione dagli autori, nemmeno quelle, cardiovascolari. E che in passato sembravano aumentare con il consumo di caffè”.