domenica 22 Dicembre 2024
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Acrilammide: ecco tutti gli accorgimenti utili per minimizzare l’esposizione

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MILANO — Dall’11 aprile 2018 è diventato applicativo il Regolamento UE 2017/2158 “che istituisce misure di attenuazione e livelli di riferimento per la riduzione della presenza di acrilammide negli alimenti”.

La UE ha così fatto proprie le raccomandazioni di EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza degli Alimenti); quelle relative a questo contaminante naturale della cottura di alcuni alimenti.

Il documento è rivolto prima di tutto alla produzione agricola, poi all’industria alimentare.

Alcune indicazioni per gli operatori del settore alimentare, però, possono essere utilmente trasferite alla gestione delle preparazioni domestiche.

E alla torrefazione del caffè.

Il punto nodale del Regolamento sta nella natura stessa dell’acrilammide. Non si tratta infatti di un additivo alimentare eliminabile per decreto. Bensì di “una sostanza chimica che si forma naturalmente nei prodotti alimentari amidacei durante la normale cottura ad alte temperature (frittura, cottura al forno e alla griglia e anche lavorazioni industriali a più di 120°C con scarsa umidità)”, come precisa la stessa EFSA. Che aggiunge: “per lo più a partire da zuccheri e aminoacidi (principalmente un aminoacido chiamato asparagina) che sono naturalmente presenti in molti cibi”.

La reazione di Maillard

L’attenzione di EFSA è stata sollecitata anche perché il processo chimico che in cottura sviluppa acrilammide (la reazione di Maillard), conferisce maggior gusto e aroma all’alimento, associati al suo abbrustolimento.

Sono queste le premesse all’intervista a Marina Marinovich, Docente di Tossicologia del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari dell’Università degli Studi di Milano.

Quali sono i fattori della preparazione alimentare che causano la formazione di acrilammide e quali, di conseguenza, gli alimenti in primo piano?

I sapori e gli aromi degli alimenti si sviluppano frequentemente dall’interazione tra zuccheri e aminoacidi (asparagina soprattutto), in seguito alla cottura. Questo processo, la reazione di Maillard, dà luogo anche all’imbrunimento del cibo: maggiore è la temperatura di cottura, più marcato è il grado di imbrunimento indotto, ma più alta sarà anche la concentrazione di acrilammide.

Il primo concetto da tenere presente è dunque proprio questo: cibi ben bruniti fanno gola, ma per ridurre produzione e assunzione di acrilammide è opportuno optare per la semplice doratura.

Gli alimenti la cui cottura va sorvegliata e che, infatti, rientrano nell’ambito del Regolamento, sono le patate cotte a temperature superiori a 120°C (al forno, fritte come chips e french fries), il pane morbido a crosta, tutti i prodotti da forno fini, quelli per l’infanzia, i cereali tostati per la prima colazione (escluso perciò il porridge).

Fonti alimentari di acrilammide sono la polvere di caffè torrefatto per moka, o espresso, o filtro, i preparati per il caffè solubile e i succedanei del caffè.

Ricordo e sottolineo, però, che l’acrilammide si sviluppa anche dalla combustione del tabacco e che l’inalazione, attiva o passiva, del fumo di sigarette, sigari o pipe è una fonte rilevante di questo contaminante, molto più consistente rispetto all’assunzione di alimenti

Da quando e perché è nota la tossicità dell’acrilammide?

Come si è giunti alla stesura di questo Regolamento?

Lo IARC (International Agency for the Research on Cancer) ha classificato nel 1991 l’acrilammide come cancerogeno 2A (oggi corrispondente alla categoria 1B). Ai tempi, si prestava attenzione all’acrilammide prevalentemente in campo occupazionale, in quanto si riteneva fosse l’unico scenario espositivo.

Le misure protettive per chi lavora a contatto con l’acrilammide sono infatti molto rigorose.

Dei primi anni Duemila è invece la scoperta, da parte di gruppi di ricerca svedesi, che l’acrilammide è anche un contaminante naturale degli alimenti, sviluppato dalle cotture ad alta temperatura in presenza di zuccheri e aminoacidi.

Questa evidenza ha spostato l’attenzione dai soli addetti alla sintesi o utilizzo dell’acrilammide a tutti i consumatori.

Da queste osservazioni nascono gli studi per definire i limiti di riferimento da rispettare e, in parallelo, quelli sui fattori-chiave in grado di ridurne la concentrazione negli alimenti finiti.

Qual è lo spirito con cui è stato redatto il Regolamento e quali sono i punti salienti?

Partiamo dalle dichiarazioni di EFSA:

1) sulla base dei livelli di esposizione attuali, non sono stati considerati motivo di preoccupazione i possibili effetti nocivi sul sistema nervoso, sullo sviluppo prenatale e postnatale e sulla riproduzione maschile;

2) gli studi su modelli animali hanno invece confermato che l’acrilammide presente negli alimenti può aumentare il rischio oncologico per i consumatori di tutte le fasce d’età;

3) è quindi necessario porre in atto misure in grado di ridurne il tenore negli alimenti che contengono i suoi precursori.

Il fatto che le evidenze di un aumento del rischio oncologico siano per ora emerse negli studi sugli animali (e non sull’uomo) non esclude la possibilità di danno; tant’è vero che EFSA e UE hanno correttamente sollecitato la stesura di questo Regolamento.

D’altro canto, sarebbe scorretto trasformare questa doverosa attenzione in allarme. L’essere umano, infatti, è onnivoro e proprio questa caratteristica, incoraggiata da tutte le linee guida nutrizionali, fa sì che l’apporto dei cibi contenenti acrilammide venga bilanciato nel complesso delle scelte alimentari.

Si riallaccia a quest’ultimo concetto anche un’altra osservazione: sappiamo per esempio che le farine integrali sviluppano più acrilammide in cottura rispetto alle farine raffinate. Ma è stato anche dimostrato, grazie a studi rigorosi su numeri consistenti di soggetti, che preferire le farine integrali e i prodotti derivati ha un impatto positivo sulla salute complessiva, sia nell’immediato, sia nel lungo periodo.

Il rischio oncologico associato all’apporto di acrilammide con questi alimenti è un’ipotesi di lavoro seria e su cui lavorare, ma è sempre necessario rapportarla all’impatto positivo dei benefici accertati.

Queste sono le premesse alle disposizioni del Regolamento che si rivolge, come detto, alla produzione agricola prima di tutto, aggiungendo indicazioni per lo stoccaggio e concludendo con le lavorazioni industriali. I controlli saranno annuali, per campionature dei prodotti coinvolti, applicando come riferimento i livelli indicati dal documento che “si basano sull’esperienza e sull’occorrenza del contaminante in grandi categorie di alimenti” e che sono fissati “al livello più basso ragionevolmente raggiungibile con l’applicazione di tutte le misure di attenuazione”.

Infine, vorrei sottolineare la possibilità di applicare alcune tra queste indicazioni anche all’ambito domestico, perché la standardizzazione dei procedimenti è quasi impraticabile nelle cucine di casa ed è quindi ancora più utile disporre di consigli semplici, ma certificati da organismi istituzionali.

Comparto agricolo e aziende: le misure indicate sono semplici, non richiedono cioè tempi lunghi o procedure applicative complesse?

Senza entrare nei dettagli, si tratta in gran parte di indicazioni di buon senso, come la scelta delle varietà di patate per la coltivazione che, rispettando le caratteristiche necessarie per il prodotto finale, siano già alla fonte povere di zuccheri (glucosio e fruttosio) e di asparagina.

Ancora: si sottolinea la necessità di immagazzinare e trasportare il prodotto a temperature superiori a 6°C. Sempre con livelli di umidità adeguati (per contenere lo sviluppo di zuccheri) e di sopprimere la germinazione. Per i cereali utilizzati nei prodotti da forno, l’attenzione parte dall’agronomia: per ridurre il tenore di asparagina, occorre tenere sotto controllo i livelli di zolfo nel terreno e l’applicazione di azoto.

Nella preparazione del prodotto, si suggeriscono l’impiego di asparaginasi (l’enzima che scinde l’asparagina) quando possibile. Oltre alla sostituzione (parziale o completa) del bicarbonato di ammonio con agenti lievitanti alternativi. Quali bicarbonato di sodio e acidificanti, bicarbonato di sodio e difosfati di sodio con acidi organici, o loro varianti potassiche. Da ricordare l’allungamento dei tempi di fermentazione del lievito, la sostituzione di fruttosio o miele. Vanno utilizzati come dolcificanti con sciroppo di glucosio o, meglio, con saccarosio.

Anche per quanto riguarda le farine, si consiglia di sostituire parzialmente la farina di frumento (o avena, o segale, o orzo) con farine di cereali. Che sviluppano meno asparagina (riso e mais). Tenendo conto che questa sostituzione impatta sulla lavorazione e sulle caratteristiche organolettiche (croccantezza, gusto, aromi) del prodotto finito.

Che cosa emerge invece a proposito del caffè?

Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, un alto grado di torrefazione del caffè riduce la concentrazione di acrilammide. Massima invece nelle prime fasi della tostatura. In dettaglio inoltre: dalla varietà Robusta si sviluppa più acrilammide rispetto all’Arabica. Ma ricordo anche che la varietà Robusta è più ricca di antiossidanti. Il caffè con caffeina contiene meno acrilammide rispetto a quello decaffeinato.

Il tenore di acrilammide nei preparati solubili (con o senza caffeina) è maggiore rispetto al caffè in polvere.

Ciò premesso, la quantità di caffè (in polvere, o solubile), utilizzata per la preparazione di una bevanda è talmente ridotta (circa 7,5 grammi per una tazzina di moka, circa 5 grammi, ovvero un cucchiaino da tè, se si usa il solubile), da minimizzare l’apporto di acrilammide.

In secondo luogo, così come per le farine integrali, il caffè ha dimostrato oltre ogni dubbio di veicolare ben altro. Infatti l’apporto delle sostanze presenti in un caffè è infatti complessivamente positivo.

Infine, anche il caffè va valutato nel complesso dell’alimentazione. Tanto che la corretta frequenza di consumo è moderata, attorno alle quattro tazzine al giorno.

Preparazione casalinga delle patate al forno, o fritte. Quali indicazioni del Regolamento possono essere applicate anche nella cucina di casa?

Prima della cottura si consiglia un ammollo in acqua fredda delle patate tagliate; per almeno 30 minuti e fino a due ore. Oppure un’immersione in acqua calda per qualche minuto. Seguiti da risciacquo in acqua pulita: in questo modo si riduce il tenore zuccherino.

Per la frittura si dovrebbero utilizzare temperature non superiori ai 175 °C . Ecco l’utilità della friggitrice, in cui si può impostare la temperatura. Inoltre rapidità, per ottenere croccantezza e doratura evitando l’imbrunimento. Friggere piccole quantità di patate alla volta consente di ridurre l’assorbimento del grasso e di velocizzare la cottura.

La schiumatura per allontanare frammenti e briciole e l’eliminazione dell’olio già utilizzato sono misure di buon senso, note già prima del Regolamento UE.

Per le cotture al forno, si consiglia di preriscaldare a temperature comprese tra 180 e 220 °C. E di adattare i tempi alle quantità di prodotto, sempre per evitare l’imbrunimento.

Se si parte da prodotti surgelati, o che necessitano di completamento della cottura a domicilio, bisogna seguire le istruzioni riportate sulla confezione. Sempre conformi alle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio.

Pane, torte, biscotti. Che cosa si può fare a casa?

La scelta di agenti lievitanti diversi dal bicarbonato di ammonio e una lievitazione lenta sono misure indicate alle aziende alimentari. E applicabili anche alle preparazioni casalinghe. L’impiego parziale delle farine di riso o granoturco nell’impasto è sempre possibile. Dopo una minima esperienza e qualche prova per ottimizzare i risultati.

La cottura in forno preriscaldato alle temperature più basse possibili. E fino al raggiungimento di una semplice doratura. Evitando l’imbrunimento. Si tratta di un’altra misura trasferibile all’ambito domestico. Un certo tenore di umidità, infatti, limita lo sviluppo di acrilammide.

Infine, i prodotti per l’infanzia: che cosa propone il Regolamento?

Agli alimenti per l’infanzia è dedicata com’è ovvio molta attenzione. L’alimentazione dei più piccoli, infatti, è per forza di cose molto meno variata. Anche rispetto a quella di un adulto. E l’elevato rapporto tra quantità di cibo assunta e peso corporeo li rende più vulnerabili.

Ciò detto, il Regolamento ribadisce la necessità di rispettare tutte le indicazioni già espresse in precedenza. Sottolinea l’opportunità, laddove il tipo di prodotto lo consenta, dell’aggiunta di asparaginasi. Ma anche della scelta di zuccheri non riducenti (posto il fatto che, nei prodotti per l’infanzia a base di cereali, l’aggiunta di zuccheri è minima). Oltre che dell’impiego di farine a basso sviluppo di acrilammide e precisa tempi e modi di cottura. L’applicazione di queste indicazioni è ancora più stringente.

Quali conclusioni si possono trarre?

Partirei dal presupposto che l’acrilammide è comparsa con la cottura alla fiamma dei cereali. Ci accompagna quindi da millenni ma, nel frattempo, la nostra sopravvivenza si è allungata.

Possiamo perciò ragionevolmente ritenere che il nostro organismo abbia imparato a gestire anche l’impatto di questo elemento.

Questo non significa ignorare il rischio, ma inquadrarlo meglio. Inoltre, siamo esposti all’acrilammide attraverso gli alimenti sempre tramite una matrice (l’alimento, appunto), che può operare interazioni, o mitigare la tossicità dei singoli ingredienti.

La tabella dei limiti di riferimento, per esempio, tiene conto dell’impossibilità di eliminare l’acrilammide dai cibi. E ne indica probabilmente i valori più bassi associabili a un corretto regime alimentare.

La correttezza degli schemi alimentari, come già detto, prevede la varietà. E limita il consumo di preparazioni fritte e troppo rosolate. Che siano le patate (ottime invece se consumate al vapore, o bollite, o come ingrediente di minestre e primi piatti), o i cereali.

In chiusura, da tossicologo, sottolineo nuovamente l’opportunità di variare il più possibile la dieta, riducendo così l’esposizione a tutti i possibili contaminanti, acrilammide compresa.

Bibliografia di riferimento:

Arvanitoyannis IS, Dionisopoulou N. Acrylamide: formation, occurrence in food products, detection methods, and legislation. Crit Rev Food Sci Nutr 2014;54:708-33.

EFSA. La valutazione del rischio spiegata dall’EFSA. L’acrilammide negli alimenti. 2017 Sept. 29.

Regolamento (UE) 2017/2158 della Commissione. Misure di attenuazione e livelli di riferimento per la riduzione della presenza di acrilammide negli alimenti. G.U. Unione Europea 2017 Nov. 21-L 304/24-L304/44.

Cecilia Ranza

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