MILANO – La giustizia californiana dà ragione all’industria del caffè ponendo fine a una vertenza annosa: i torrefattori – così è stato deciso – non avranno l’obbligo di riportare sulle confezioni un’avvertenza sul rischio di cancerogenicità a causa dell’acrilamide. La tossina, prodotta in quantità minime durante la torrefazione, non presenta concentrazioni tali da poter risultare dannosa.
Si chiude così una querelle giudiziaria durata quasi un decennio nata, a suo tempo, su iniziativa della onlus californiana Council for Education & Research on Toxics (Cert).
L’azione in giudizio aveva chiamato in causa un’ottantina di torrefattori e catene di caffetterie della California. Motivo? Non aver fornito adeguata informazione al consumatore sui pericoli derivanti dalla presenza di acrilamide nel caffè.
Cert era scesa in campo richiamandosi alle disposizioni contenute nell’ormai celeberrima Proposition 65 (“Safe Drinking Water and Toxic Enforcement Act”).
Tale norma dello stato californiano si pone l’obiettivo ultimo di proteggere la popolazione dall’esposizione ad alcuni agenti chimici cancerogeni o tossici per la riproduzione, che può derivare dall’inquinamento di acque potabili, ambiente o prodotti di consumo.
Proposition 65, elenca circa 900 sostanze chimiche che sono note per causare il cancro e / o difetti alla nascita o altri danni riproduttivi. La norma richiede ai produttori e ai distributori di fornire un avvertimento chiaro e ragionevole prima di esporre consapevolmente e intenzionalmente qualcuno a dette sostanze.
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