MILANO – In quel grande contenitore che è stato The Lab durante la terza edizione di The Milan Coffee Festival, riportiamo la ricerca svolta sugli specialty frutto della collaborazione tra l’Accademia del caffè espresso e l’Università degli Studi di Firenze.
Marco Purini coffee specialist introduce il centro culturale dell’Accademia del caffè espresso e il lavoro di ricerca svolto insieme alla partecipazione di Diego Comparini, Università di Firenze e Cosimo Taiti, ricercatore dello stesso ateneo.
Insieme all’Università sono state svolte diverse analisi sui cup of excellence, coinvolgendo 9 Paesi diversi mettendoli a confronto con dei campioni commerciali. Obiettivo: capire quali siano le molecole che il caffè rilascia nel macinato.
Il progetto si è sviluppato in tre anni di collaborazione ed è tuttora in corso. L’idea iniziale era quella di studiare da un punto di vista aromatico il caffè di alta qualità, quindi gli specialty, per caratterizzare questi campioni dal punto di vista genetico e aromatico, al fine di tracciarne la provenienza, valorizzare questa tipologia di prodotto di qualità per comunicarlo infine al futuro consumatore. Andando contro le frodi che spesso si verificano all’interno di questo mondo.
Si parte con una breve introduzione sull’Arabica e Robusta
Perché, prima di parlare specialty è necessario fare le dovute premesse sulle caratteristiche di Arabica e Canephora. Che si differenziano per distribuzione nei territori del mondo – Arabica meno diffusa rispetto alla Robusta perché è di più facile coltivazione dal punto di vista dell’altitudine e della stessa resistenza della varietà botanica.
Si parla poi di terroir, clima, fattori di produzione; di suolo e di piante, di cultura e tradizioni.
Anche a seconda dell’altitudine in cui viene coltivato il chicco si ottengono note aromatiche differenti e si sviluppano caratteristiche legate a determinate aree produttive: per esempio, a 1.325 metri, si avrà un risultato fruttato, speziato, floreale e agrumato. Sotto i 900 metri invece, si troverà per lo più la Robusta che si distingue più che altro per le note basse legate a sensazioni di amaro.
La Robusta sviluppa note legnose e il suo fattore principale resta la corposità, la cremosità che conferisce all’espresso. Attualmente la ricerca sta sperimentando di più su questa varietà per via della sua resistenza a malattie e cambiamenti climatici, magari aggiungendovi fermentazioni durante il processo di lavorazione.
Allo stesso tempo si sta tentando di robustizzare geneticamente l’Arabica per renderla in grado di rispondere meglio al cambiamento climatico e alle malattie delle piante.
Altra differenza emersa durante la ricerca dell’Accademia del caffè espresso, è quella che esiste tra le eccellenze produttive locali e quelle intensive e di bassa qualità
La produzione in altitudine determina un risultato qualitativamente elevato in tazza, al contrario delle altre che si svolgono ad altezze più basse, con meccanizzazione pressoché totale del processo, intensività, grandi consumi di CO2, e poca seleziona delle bacche.
Sul mercato queste premesse portano alla presenza di tante tipologie e qualità differenti, difficili da percepire per i consumatori che generalmente si trovano molto lontani dal mondo delle origini.
Capitolo frodi
Tutto questo crea confusione sulla produzione, su ciò che viene venduto. Ci sono tante tipologie di caffè, diverse provenienze, processi e ciò induce ad aumentare il prezzo, a parlare di specialty da una parte, e dall’altra fa nascere una serie di domande nel consumatore finale: il caffè in commercio quindi, che cos’è? Le grandi marche che caratterizzano il mercato italiano, dove si posizionano in questo discorso? E quali sono i problemi che ne derivano?
Entriamo quindi nell’ambito delle frodi. Il consumatore si sente un po’ disorientato. Con il progetto portato avanti dall’Accademia del caffè espresso e l’Università degli Studi di Firenze, c’è stata la volontà di cercare dei marcatori, delle specifiche molecole che potessero aiutare a identificare le origini geografiche dei vari caffè e di individuare tutti quelle che sono le sofisticazioni che possono esser inserite per allungare il caffè.
Ma anche per poter distinguere Arabica e Robusta e individuare quei casi in cui fossero stati inseriti degli additivi volti a sofisticare il caffè come l’orzo, la soia, l’acai, addirittura zucchero, pezzi di legno, mais e segale.
Nei chicchi è facile fare questa analisi anche ad occhio nudo. Diverso se ci si ritrova di fronte a una miscela macinata.
Da qui si è partiti per il progetto dell’Accademia del caffè espresso e l’Università degli Studi di Firenze
Un altro scopo dello studio: cercare di comprendere quanto influiscono i processi di additivi sul risultato finale.
E poi caratterizzare il caffè, discriminare le differenti aree geografiche, valorizzare gli specialty.
In che modo? Mettendo a punto una tecnologia rapida, oggettiva, ripetibile che non alterasse il campione di partenza.
I chicchi vengono inseriti in un barattolo di vetro, poi si crea uno spazio occupato dagli aromi. Lo strumento non fa altro che annusare, aspirando porta gli aromi in una camera e attraverso la tecnologia dà l’impronta digitale del nostro caffè. Un’impronta digitale aromatica basato sulle sue caratteristiche.
Proton trasfer reaction time of flight PTR-MS TOF che ha molti utilizzi. Settato in questo caso per valorizzare il prodotto specialty
Attraverso la selezione dei campioni di Arabica con alti punteggi, un’impronta digitale di oltre 1.200 caffè si è potuti arrivare, con analisi statistiche, a discriminare l’altitudine, il processo, l’origine geografica.
Materiali e Metodi
Marco Purini: “Come Accademia del caffè espresso abbiamo recuperato i campioni insieme all’agronomo Massimo Battaglia tra i cup of excellence. Sono stati tostati in modo uniforme, con una macchina per i test Probat, tostatura manuale principalmente, usando i sensi.
La tostatura porta il caffè a un 55-65 colour. Durante il cupping si è riusciti così a ottenere una doppia analisi: una che ha usato come riferimento i dati scientifici formulati dall’Università e una di percezione sensoriale raccolti dall’Accademia del caffè espresso.
C’è stato anche un lavoro sulla curva di tostatura: il chicco ha subito solo il primo crack. Ovviamente con i lavati, con i chicchi più densi non devono esser sviluppati di più al contrario di quelli anaerobici.
I campioni sono stati raccolti in gran parte del Sud America e in tutte le aree più importanti. Il verde è sempre stato tostato all’Accademia del Caffè espresso. I campioni derivano da varietà diverse o hanno subito tipologie di processi differenti. Il risultato è un database molto complesso che potesse prevedere un po’ tutto l’universo specialty. E poi gli Arabica più commerciali, come caffè verde e in seguito tostati.
Analisi PLSDA
Oltre l’87% dei campioni è stato classificato correttamente. Dei 65 campioni del Guatemala, 52 sono stati identificati dal modello d’analisi correttamente. Bisogna capire il margine d’errore da cosa è stato determinato.
Il risultato è stato soddisfacente: nei caffè commerciali, tutti e tre campioni sono stati ricondotti al loro mercato di riferimento.
Alcune molecole hanno discriminato maggiormente 4 aree geografiche (Guatemala, Costa Rica, El Salvador e Honduras): formaldeide, acetaldeide, acido formico, pirazina e acido acetico.
Tracciabilità
Effettuando le analisi sulle varietà sono emersi due gruppi:
quelli legati alla varietà Robusta e quella all’Arabica. Quindi anche in questo caso, la chiave di volta che ha permesso di leggere il risultato è stato nell’osservare l’albero genealogico.
Il futuro sarà ancora andare avanti su questo concetto e aumentare il sistema dei prodotti.
Come sono stati selezionati i caffè commerciali?
Tramite la campionatura di verde commerciale fornito da alcuni dei partner de La Marzocco e da diversi coffee trader, selezionati applicando il metodo di valutazione Sca Italy, tutti al di sotto degli 80 punti.