TRIESTE — Al Master in Economia e Scienza del Caffè – Ernesto Illy si incrociano le storie e le vicende umane di studenti di tutto il mondo. In modo particolare, di laureati provenienti dai paesi produttori, che vengono a Trieste ad approfondire le specifiche problematiche relative alla filiera del caffè sotto la guida dei docenti di prestigiose istituzioni scientifiche e accademiche.
A questa importante realtà – promossa dalla Fondazione Ernesto Illy – è dedicato un articolo apparso repubblica.it a firma di Gianfranco Belgrano, che vi proponiamo di seguito.
Sono circa 125 milioni le persone nel mondo il cui reddito è legato al caffè. Di questi, 25 milioni sono piccoli contadini che producono l’80% di tutto il caffè, secondo la Fairtrade Foundation.
Rafforzare la filiera formando chi produce, ma anche chi lavora e chi distribuisce il caffè può incidere dunque oltre che sulla qualità del prodotto finale anche sulle condizioni di vita di quanti vivono grazie ai neri chicchi: spesso residenti in aree geografiche non facili e spesso donne. Proprio le donne infatti, in molte regioni del mondo, sono protagoniste nella coltivazione dei campi e nella selezione dei chicchi.
Il master per i produttori stranieri
“Per un buon espresso servono 50 chicchi di caffè, la cui selezione è decisiva e la selezione è spesso opera di una donna” racconta Moreno Faina, direttore dell’Università del Caffè di Trieste, mentre illustra le attività dell’ottavo anno accademico del master universitario in Economia e scienza del caffè, dedicato a Ernesto Illy. Il master, uno dei pochi nel suo genere a livello internazionale, non è quindi solo un corso per formare specialisti del caffè. È uno strumento che potrebbe dare ai partecipanti la possibilità di contribuire allo sviluppo dei Paesi di origine, tutti Paesi legati alla produzione del caffè.
Al lavoro per la pace nello Yemen
Rasha Obaid è una ragazza fortunata. Ha lasciato lo Yemen prima che il Paese precipitasse in un conflitto che miete vittime civili e dove, secondo i dati dell’Unhcr, sono almeno due milioni le persone che vivono in condizioni disperate e che hanno necessità di assistenza umanitaria. Anche la famiglia di Rasha è stata costretta a lasciare la propria casa ad Aden e vive come altre famiglie sfollate. Lei, dopo aver vissuto a Londra dove ha lavorato anche con Amnesty International, vorrebbe ora tornare in Yemen per dare un contributo alla pace ripartendo proprio dal caffè e dal quotidiano lavoro delle donne nei campi: “Non ho dimenticato il mio Paese – dice – quanto sto imparando a Trieste mi servirà per aiutare chi, pure in un contesto di violenze, sta resistendo e lavorando per la pace”.
Il sapore della riconciliazione
Accanto al villaggio di Luisa Maria Claros Trujillo, nel Cauca colombiano, si sta ricostruendo la pace dopo anni di guerriglia. “Sono un’antropologa – sottolinea – ma faccio parte di una cooperativa di coltivatrici che si chiama Ascafe. Siamo tutte donne impegnate nella coltivazione del caffè, donne che grazie al caffè spesso si sono riscattate da un passato difficile”. Per venire a Trieste, le colleghe di Luisa Maria hanno fatto uno sforzo comune, hanno unito le proprie risorse per consentire a una di loro di apprendere i segreti del commercio e della coltivazione. “Una volta completata la formazione tornerò a Pescador, il mio villaggio, per trasmettere quanto ho imparato alle donne della cooperativa”.
L’Africa che vuole crescere
Sheila Sagina Agida viene da Nairobi, la capitale del Kenya, e non è nuova al mondo del caffè. All’interno dell’Agriculture and Food Authority, un ente governativo, si occupa in particolare di qualità. Proprio sulla qualità vede le sfide che il suo Paese è chiamato ad affrontare. “Fin dalla sua indipendenza dal Regno Unito – dice – il Kenya ha visto in questo settore una delle chiavi di sviluppo su cui puntare e oggi circa i tre quarti dei produttori sono piccole famiglie contadine. Significa che oltre centomila nuclei familiari vivono di questo prodotto”. Un tessuto importante da sostenere, anche grazie alla formazione: “Aiutarli ad aumentare la qualità del loro caffè, contribuirà a far crescere il loro reddito e a migliorare il loro futuro”.
Gianfranco Belgrano