di Rosita Ferrato*
Un ponte verso altri mondi, altre culture; un’attenzione alla sponda sud del Mediterraneo, al lavoro dei giornalisti italiani e stranieri, alla libertà di stampa. Questi alcuni temi che nei suoi 4 anni di vita il Caffè dei Giornalisti ha portato avanti a Torino. Grazie al suo sito, caffediegiornalisti.it, ma soprattutto grazie ad eventi, è divenuto luogo di scambio, di conoscenza reciproca.
Il Caffè dei Giornalisti nasce nel 2012, da un’idea “importata” da Parigi. È stato un incontro con le persone e i reporter della Maison des Journalistes della capitale francese a farmi riflettere. Da lì, da quel luogo oltralpe che ospita i giornalisti rifugiati da tutto il mondo, la voglia di creare qualcosa a Torino, magari non proprio una casa, ma un caffè, in perfetto stile sabaudo. E così è stato, e negli anni si è sviluppato, ha riunito intorno a sé tante persone, giornalisti eccellenti, scrittori, intellettuali, grandi concertisti, fotografi, e spesso, molto spesso, a raccontare sono state delle donne.
L’ultimo incontro è stato il 27 novembre dello scorso anno: “Voci scomode”, una mini rassegna alla sua seconda edizione. Le voci scomode: quelle di giornalisti e giornaliste del mondo, impegnati nella loro battaglia per la verità, una battaglia persa e vinta al medesimo tempo. Vinta, perché la loro è una vita dedicata alla professione, diventata parte integrante di essa; persa, perché sono dovuti fuggire in esilio, proprio per avere difeso il diritto di raccontare il vero, di fare semplicemente (si fa per dire) il loro lavoro.
Con il Caffè, assieme all’Università degli Studi di Torino, i giornalisti della Maison des Journalistes Marie Angélique Ingabire (Ruanda) e René Dassié (Camerun), sono stati ospiti nell’aula magna del Campus Einaudi per un pubblico composto da colleghi piemontesi (l’incontro è stato infatti inserito fra gli incontri formativi dell’Ordine dei Giornalisti) e da studenti.
I reporter, provenienti dall’Africa profonda, hanno raccontato le loro storie (il Ruanda si trova al 161° posto su 180 Paesi della classifica sulla libertà di stampa di Reporter senza frontiere nel mondo, il Camerun al 133° posto). Le persecuzioni, la fuga, il desiderio di non arrendersi, l’esilio, e cosa significhi in questi tempi di terrore essere rifugiati a Parigi, non più totalmente al sicuro come speravano, di nuovo sotto scorta, di nuovo minacciati da altri pericoli.
Andando indietro nel tempo, tra gli eventi del Caffè troviamo ancora un incontro tutto al femminile “Primavere arabe: quali germogli?”. Nel maggio 2014, ospiti Ethar El Katatney, giornalista di Al Jazeera, e Nadine El Sayed, fondatrice della rivista 19TwentyThree, moderati da Stefanella Campana responsabile della versione italiana di Babelmed, sito delle Culture del Mediterraneo, hanno dialogato sul coinvolgimento delle donne nella rivoluzione e sulla libertà di stampa in Egitto.
Tra gli argomenti toccati, anche la rappresentazione della donna nel mondo dei media arabi, per esempio da parte dell’osservatorio Muslim madia watch. “Si utilizzano solitamente 4 stereotipi – ha spiegato El Katatney – l’immagine della donna musulmana tradizionalista, la donna mostrata in una situazione violenta, per esempio mentre imbraccia un mitra, la donna che invoca aiuto e quella che ha abbandonato il suo credo e si è liberata. E quando ci si trova davanti a una situazione come la mia, che non sono oppressa (vivo in California, ho una carriera e un marito che mi sostiene) allora ci si mette in vetrina”.
E anche le donne e la rivoluzione: -“Le donne hanno partecipato alla rivoluzione – ha raccontato Ethar – sono state coraggiose e consapevoli, sono scese in piazza con i propri figli, perché hanno creduto nel cambiamento e volevano che i bambini fossero testimoni di questi avvenimenti”.
Ed è grazie alla partecipazione e alla fierezza delle donne che si abbattono gli stereotipi, hanno concordato le due giornaliste egiziane, ma va ricordato che durante le rivoluzioni in piazza le donne sono state vittime di violenze, perpetrate per scoraggiare la loro protesta.
Altri grandi nomi del giornalismo al femminile, al Caffè il 23 aprile 2015 in “Reportage dall’Iraq, dialogo con Lucia Goracci e Laura Silvia Battaglia su un paese che continua a resistere”.
“Fare il giornalista è un dovere, dovrebbe essere normale. Non si dovrebbe essere stimati per il semplice fatto di andare in un certo Paese difficile, così diceva Laura Silvia Battaglia “free lance, documentarista, esperta di Medioriente “Non c’è alcuna forma di eroismo in quello che facciamo, il vero eroismo è quello delle persone che incontriamo”.
Lucia Goracci, inviata di RaiNews24, da vent’anni in Rai: “Ho iniziato la mia professione quando si investiva ancora nel racconto, nella narrativa. La guerra in Iraq fu raccontata in modo esemplare. Ma oggi le scelte coraggiose dei media di allora non si stanno facendo. Non essere presenti in un Paese per raccontare che cosa sta accadendo è una scelta molto rischiosa”. E il fatto che l’Isis in un certo senso ci sia “esploso” addosso – come se non avesse avuto premesse – è conseguenza di questo silenzio mediatico su quello che è successo in questi anni in quei territori.
Tanti ancora gli ospiti e i temi affrontati negli incontri del Caffè, ospiti illustri, tante protagoniste al femminile, ma fare un elenco è tedioso. Ricordo solo ancora la presentazione de “L’Atlante delle guerre sui conflitti dimenticati”, con il collega della Rai Raffaele Crocco e Mario Calabresi, le foto sull’Iraq di – Elsa Mezzano che hanno offerto al pubblico sguardi di bellezza e di quotidianità su un paese che non è solo quello della guerra presentata dai media.
O una grande mostra di bozzetti da disegnatori di tutto il mondo,”Exile”, un po’ profetica, sul giornalismo esiliato. E poi ancora musica, immagini, tanti protagonisti e protagoniste, incontri che proseguiranno, per festeggiare a febbraio i suoi 4 anni di vita.
Alle colleghe di Giulia rivolgo un invito: il sito del Caffè è disponibile ad ospitare vostri articoli, se lo gradite.
*Rosita Ferrato, presidente Caffè dei Giornalisti