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Dal Blue Mountain al Sidamo: la Rosea racconta i segreti dei monorigine

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MILANO – Già da tempo la Gazzetta dello Sport spazia anche in altri mondi e universi, tra attualità, lifestyle e tempo libero. Tra i contenuti extra-sportivi più seguiti, la rubrica GazzaGolosa, che ha recentemente dedicato un ampio e documentato approfondimento a firma di Francesco Velluzzi ai caffè monorigine, sempre più ricercati anche in Italia.

In primo piano alcune origini illustri – come il Jamaica Blue Mountain e il Sidamo – di cui sono state descritte le caratteristiche, con l’aiuto di esperti, torrefattori e altri addetti ai lavori molto noti. Vi proponiamo di seguito l’articolo.

Il piccolo barile di legno è sempre in bella mostra. Paola Goppion, nell’azienda di famiglia di Preganziol, nel trevigiano, lo tiene come una reliquia. Casimiro Mombelli, titolare della storica torrefazione Graffina (nata nel 1920) di Cagliari, mette la botticella in una vetrina. Da Grosmi, in piazza San Giacomo a Udine, il caffè più bevuto in Friuli, una tazzina costa 2 euro e 50: si tratta del Blue Mountain, il caffè monorigine forse più pregiato del mondo.

Jamaica Blue Mountains

Il nome identifica una regione della Giamaica dove il tramonto si tinge d’azzurro e si coltiva una delle qualità di arabica più pregiata al mondo. La produzione – limitata – viene esportata in speciali barili di legno come il rum. Costa tantissimo, anche 180 euro al chilo. Ma i veri intenditori accettano di pagare una follia pur di averlo.

“È come bere un Brunello di Montalcino, è un’autentica eccellenza, prodotta in una collina, un caffè sublime”, raccontano i fratelli Francescut che gestiscono il bar di Grosmi a Udine.

“Comunque alla fine l’importante nel caffè è cercare quel che va bene al palato di una persona. Poi sul Blue Mountain e sul monorigine possiamo discutere a lungo”, spiega Mombelli, un esperto che gira da anni alla ricerca delle migliori miscele mentre ci fa provare un Kenia doppio A, un monorigine straordinario.

“Ci sono ottime arabiche e ottime robuste, così come pessime arabiche e pessime robuste”. Paola Goppion il Blue Mountain lo ha inserito in minima quantità all’interno di una miscela chiamata J.B.M. che significa Jamaica Blue Mountain che unisce solo caffè arabica al 100% provenienti dal Centro e dal Sud America. “È dedicata ai giovani e a una ristorazione di altissimo livello, è abbinabile anche alla piccola pasticceria” spiega la Goppion che sul monorigine è particolarmente attenta.

Parola agli esperti

La professoressa Gabriella Baiguera, che ha scritto un libro sull’eccellenza delle torrefazioni italiane ed è consulente per De Longhi, dice la sua sul monorigine, cioè quel caffè che proviene da un unico territorio: “La sua caratteristica consiste nel non essere miscelato, ha le sue qualità perché ha singolarità, territorialità e spesso proviene da un’unica piantagione. Non è meglio o peggio, ha una sua unicità”.

Spesso sono le mode a farla da padrone, anche nel discorso sul caffè che può continuare all’infinito. Quel che conta è l’intensità aromatica, l’acidità (che si nota soprattutto nell’arabica), la persistenza. Un caffè espresso è perfetto se avvertiamo a lungo dopo il consumo la sensazione di tostato accompagnata da impressioni di fiori, spezie, cacao. È con la tostatura che il caffè acquista ulteriore aroma, gusto e colore.

“I monorigine hanno appunto il vantaggio di essere unici”, spiegano da Grosmi dove vendono singolarmente e a un prezzo diverso (da 1, 50 a 2,50 ) altri due monorigine, provenienti da Etiopia e Portorico. “Sono un qualcosa in più, sono prodotti indubbiamente interessanti”. “Noi ne prendiamo tanti, ovviamente ci piace più fare delle miscele”, racconta Paola Goppion che sta studiando tutte le iniziative per i 70 anni dell’azienda che ricorrono proprio nel 2018.

“Etiopia e Guatemala riteniamo siano le migliori fonti di monorigine. Lo vendiamo in confezioni da 250 grammi e lo abbiamo in catalogo, anche se ovviamente si tratta un prodotto di nicchia. Ma è un piacere vedere che la cultura del caffè sta cambiando. Il consumatore sta diventando più esperto, attento ed esigente e bada a quel che beve.. Noi facciamo molta informazione. La media di consumo di un italiano medio è di 3 chili e mezzo, con un chilo si realizzano mediamente 140 tazzine”.

In Veneto tante aziende

Mauro De Giusti, titolare dell’azienda trevigiana Manuel, compie tanti studi sul caffè, un prodotto che per la famiglia è la vita da oltre 50 anni. Lui, come tanti, non vuole dimenticare la robusta. Che negli ultimi anni ha patito l’impennata dell’arabica. Ama Etiopia, Colombia, Costa Rica e Indonesia, altre patrie del monorigine di alta qualità, e ama innovare in continuazione. Ora punta su un blend creato con la miglior robusta del Guatemala, ma uno dei suoi orgogli è il Belen chiamato Velluto, prodotto col 70% di Canephora, specialty coffee del Centro America.

Come un monovitigno

“Il monorigine fa parte degli specialty coffee che ultimamente stanno prendendo piede. È come parlare di un monovitigno. Siamo stati precursori del monorigine che è una singola origine di una specie botanica. In Italia manca ancora la cultura del caffè, anche se abbiamo sempre avuto la presunzione di dire che la nostra tazzina è la migliore del mondo. E invece siamo bravi, ma anche altri paesi, soprattutto quelli asiatici e coreani, lo sono eccome. Il monorigine, come il Sidamo dell’Etiopia, va assaggiato in purezza, così come quello del San Salvador, chiamato Bernardina, del quale sono riuscito ad accaparrarmi 5 chili dei 22 arrivati in Europa. Mantengono forti le caratteristiche del territorio. È un mondo che vale la pena di esplorare anche se i prezzi sono particolarmente elevati. Quello del San Salvador costa 130 euro al chilo, ne ho fatti 34 barattoli. Una chicca, un’eccellenza”.

Ma ha ragione lui, De Giusti: tutto sta nel migliorare la nostra cultura. “In Italia la qualità a volte viene meno, tra i vari motivi c’è poca attenzione del barista e un sistema di commercio che vede la qualità tra gli ultimi step nella scelta di acquisto”, spiega Francesco Sanapo, un passato da campione dei baristi e ideatore della torrefazione e linea di caffetterie specialty Ditta Artigianale, partita da Firenze e arrivata anche a Napoli dove il caffè è una religione.

Ma lo sta diventando dappertutto, come racconta l’appassionato ed esperto scrittore Andrej Godina che ha pubblicato dopo “Un caffè in Toscana” anche “Un caffè in Veneto” spiegando quel che c’è dietro una singola tazzina da bere rigorosamente liscia. Proprio nei suoi libri viene esaltata l’importanza del monorigine e degli specialty coffee.

Francesco Velluzzi

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