MILANO – Un’Italia che va, quella dell’economia «perché la ripresa c’è e nel 2018 la crescita proseguirà». E ancora, un’Italia che ha paura, «paura di essere governata». Riccardo Illy, presidente del Gruppo Illy, ex governatore, traccia un bilancio del 2017. Ma, soprattutto guarda al futuro.
A quello economico (favorevole) e a quello politico. Tra instabilità e populisti «che io preferisco chiamare demagoghi», dice.
Riccardo Illy sulla linea delle riforme
«La probabilità più alta è che non vinca nessuno e che si debbano trovare dei compromessi per garantire un governo al Paese. La maggioranza che ne uscirà non sarà in grado di fare le riforme di cui abbiamo bisogno» decreta Illy.
Che non parla di un suo possibile ritorno sulla scena politica regionale. Almeno fino a quando non sarà nota la sentenza d’appello della Corte dei conti per operazioni di cartolarizzazione effettuate dalla sua giunta tra il 2003 e il 2008.
Come si chiude il 2017
«In Italia le cose sono andate piuttosto bene. La ripresa c’è, è chiara. Sono in crescita la produzione industriale, gli investimenti che erano fermi da molti anni. Anche se, nonostante la crescita robusta, non sono tornati a livelli precisi.
Le esportazioni salgono e così i consumi. Anche se sembra la voce più timida, ma in alcuni settori, come il turismo, spicca. La disoccupazione è scesa e sono stati creati posti di lavoro nuovi».
Il Jobs Act
«Purtroppo la legge ha funzionato finché gli incentivi erano pieni. Il prossimo Governo dovrà fare qualcosa di analogo dando però maggiore stabilità agli incentivi».
È sufficiente per la ripresa dell’occupazione giovanile?
Riccardo Illy risponde. «Per i giovani bisogna pensare soprattutto alla formazione. Purtroppo spendiamo quasi la metà in educazione rispetto all’Europa e abbiamo una percentuale di laureati che è quasi metà rispetto a partner europei.
Non mi vengano a dire che i laureati non trovano lavoro. Perché, analizzando i dati e la disoccupazione suddivisa per titoli di studio, i laureati che non trovano occupazione sono il 6 per cento; una percentuale quasi fisiologica.
Anzi, se ci fossero molti più laureati l’occupazione crescerebbe, è quella la leva da usare. I governi Renzi e Gentiloni ci hanno provato. Ma serve ancor più coraggio per investire e spendere nell’educazione e nell’università.
E poi bisogna formare imprenditori, creare un’istruzione ad hoc, percorsi scolastici specifici».
Luciano Benetton ha annunciato il ritorno in prima linea nella sua azienda
C’è ancora un problema di passaggio generazionale nel mondo dell’impresa?
«Mi ha sorpreso che Benetton abbia sofferto il passaggio generazionale, che il meccanismo successorio si sia inceppato, ma è un’eccezione per le grandi imprese.
Mentre è un problema diffusissimo nelle piccole e micro aziende; per sottocapitalizzazione e per finanziamenti bancari che sono molto sopra la media europea.
Claudio Demattè ha detto “impresa povera famiglia ricca”. Spiegando che le famiglie depositavano in garanzia i buoni del tesoro e l’impresa lavorava grazie ai prestiti bancari.
Modello che ha limitato la crescita e ha reso quasi impossibile la presenza di più soci. Eppure lo schema oggi rischia di riproporsi, con i mini bond.
Ma quel modello ha reso molto difficile il passaggio generazionale. Sostengo invece la necessità di un sistema manageriale con distinzione dei compiti».
Le cause delle crisi bancarie, da BpVi a Etruria
L’opinione del Presidente. «Ritengo che la causa principale sia stata la crisi economica, con la scomparsa di quasi un quarto delle imprese, anche a Nordest.
Gli ex amministratori, invece, hanno sbagliato quando hanno cercato di salvare le banche a tutti i costi, con varie operazioni che forse hanno superato il limite della liceità, ma saranno i tribunali a dirlo».
Cosa pensa Riccardo Illy del ritorno sulla scena di Silvio Berlusconi
«Faccio una riflessione generale. Gli unici Paesi che stanno funzionando un po’ meglio sono quelli guidati da populisti. Quelli che io preferisco chiamare demagoghi.
Perché promettono cose che non potranno mai mantenere o che, se attuate, sortiranno effetti peggiori rispetto alle promesse fatte».
Un esempio
«Uscire dall’euro non aiuterebbe l’economia italiana. Perché il debito che ci rimarrebbe in euro e la totale mancanza di fiducia dei mercati li pagheremmo ben più dei primi benefici.
In altri Paesi invece l’instabilità sta diventando la norma, come la Spagna. L’Italia non è nuova all’instabilità, anzi ci sta ripiombando. Dopo il tentativo fallito di un seconda Repubblica.
Anche la Germania, che sembrava Paese stabile per antonomasia, ormai non lo è più visto che dalle elezioni di fine settembre non ha ancora un governo.
Sembrerebbe dunque una crisi di leadership, anche in Europa e anche del modello della democrazia».
Perché Riccardo Illy parla di crisi del modello di democrazia
«Una democrazia che forse aveva bisogno di una manutenzione e invece è rimasta uguale. L’America, presa a modello per democrazia, ha permesso a uno dei tanti demagoghi di diventare presidente pur prendendo tre milioni di voti in meno rispetto alla sua avversaria. Nessuno pensa a cambiare il modello di democrazia.
C’è un presidente eletto, partito in quarta per realizzare quanto promesso, dimenticando che i suoi elettori sono in minoranza».
È per questo che sosteneva il sì al referendum costituzionale?
«Noi ci abbiamo provato ma evidentemente gli italiani dalla fine della seconda guerra mondiale hanno paura di essere governati; appena si prospetta l’ipotesi che ciò avvenga, cambiano idea e votano no.
Facendo scelte di breve periodo. Per chi ha memoria del fascismo quel comportamento è dettato dalla paura. Per i più giovani dal fastidio».
Anche l’Italia è destinata a non avere un leader che la governi?
«È l’impressione attuale. Non vedo le condizioni istituzionali perché ciò non avvenga. Con la legge elettorale proporzionale e il sistema partitico tripolare la probabilità più alta è che non vinca nessuno. Quindi che si debbano trovare dei compromessi per garantire un governo al Paese. La maggioranza che ne uscirà non sarà in grado di fare le riforme di cui abbiamo bisogno».
Il cruccio del debito pubblico
«Carlo Cottarelli, nel suo ultimo libro “Il macigno”, ha proposto una soluzione per uscire dal cappio del debito. La spesa pubblica va tenuta stabile in valori assoluti. Poi, le maggiori entrare dovute alla crescita vanno utilizzate per ridurre il debito.
In Belgio e Portogallo l’hanno fatto e oggi godono di salute economica migliore della nostra. Spero che qualcuno legga il libro di Cottarelli e metta in pratica i suoi suggerimenti».
Perché il centrosinistra fa fatica a sfondare a Nordest
«Mi limito a dire che esiste anche in politica il concetto del pendolo. Una volta da una parte e una volta dall’altra».
La pagella al Governo Renzi e a quello Gentiloni?
«Rilevo che ci sono risultati che stanno a testimoniare la bontà di alcune scelte. Soprattutto in economia e per le infrastrutture».
Roberto Weber sostiene che il centrosinistra brucia leader per livori personali e divisioni. È così?
«Ho molto stima per Weber. Prendo atto della sua dichiarazione, saggia e ispirata da molte più informazioni di quante ne abbia io».
Il Paese manterrà la crescita anche nel 2018?
«Sì e in misura superiore rispetto a quello che prevedono alcuni economisti. Sempre che i problemi politici non abbiano il sopravvento».
Il ritorno in politica di Riccardo Illy, è possibile?
«In questo momento preferisco non commentare. Preferisco avere prima la sentenza poi ne parlerò. Evito di mettere il carro davanti ai buoi».