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Away From Home: per TradeLab il fatturato di bar e ristoranti può crescere ancora

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MILANO – Undicesima edizione del Convegno TradeLab interamente dedicato all’Away From Home. Gli oltre 200 intervenuti hanno potuto ascoltare le novità che caratterizzano l’articolato e interessante mercato dei consumi fuori casa italiano quindi anche esercizi pubblici, bar, caffetterie e ristoranti.

Partiamo dal quadro macroeconomico e, per quanto qui ci riguarda più da vicino, dai consumi.

L’intervento di Luca Zanderighi, Partner TradeLab, ha confermato le stime di chiusura del 2017: consumi alimentari (in termini reali, ovvero al netto dell’inflazione) + 1,0%, consumi fuori casa +1,2%.

Un altro anno positivo per il fuori casa (il quarto, visto che è dal 2014 che accumula tassi positivi di crescita), quindi, che porta la dimensione totale del mercato a circa 83 miliardi di euro (circa +3 miliardi sul 2016, valori correnti).

E le previsioni per il prossimo anno?

Anche in questo caso, il contesto macroeconomico di ripresa dell’area euro e, in minor misura, del nostro Paese, unito ai buoni trend dei consumi dei turisti che, come sappiamo, hanno un ruolo sempre più centrale per il buon andamento dei consumi del bel paese, si traduce in una aspettativa di ulteriore crescita.

La previsione è di un 2018 che crescerà di altri 3 miliardi, portando il mercato Afh a 86 miliardi di euro e l’incidenza dei consumi fuori casa sul totale dei consumi alimentari del nostro paese ad oltre il 34%.

L’intervento di Luca Pellegrini, Presidente TradeLab, ha cercato di rispondere alla domanda: quali sono i modelli a disposizione delle imprese che operano nel fuori casa per avviare il processo di industrializzazione della rete commerciale già visto in tanti altri settori dei beni di consumo?

La quota di mercato è ancora bassa

Il convegno TradeLab è partito da un dato: nel nostro Paese la quota di mercato della ristorazione commerciale/in catena è pari a circa il 6% del totale consumi fuori casa, valore davvero basso e che lo è ancora di più se si pensa che circa il 60% di questi sono realizzati nell’ambito dei mercati sottoposti a concessione, del tutto particolari da un punto di vista della competizione (per esempio lungo le autostrade).

Insomma, lo spazio per lo sviluppo delle catene c’è ed è anche molto importante. Ma quali sono le possibili leve per industrializzare un punto di consumo della ristorazione? Riduzione del menu, standardizzazione delle preparazioni, lavorazioni (pre-lavorazioni) centralizzate, automazione di parte delle preparazioni, riduzione della varietà degli input da lavorare, magazzinaggio e acquisti centralizzati, eliminazione/riduzione del servizio ai tavoli, aumento delle rotazioni: tavoli come «scaffali» della Gdo; destagionalizzazione degli acquisti, inteso anche come riduzione delle punte di consumo infra-giornaliere.

Insomma, le strade sono tante, così come numerosi sono i format che è possibile implementare per interpretare tale industrializzazione.

Due vie maestre

Due su tutti: da un lato, lo sviluppo di catene su «menu segments» nell’area più funzionale dei consumi, ovvero imprese monoprodotto. Che fanno della focalizzazione di tutte le leve del marketing mix il loro cavallo di battaglia. Dall’altro, lo sviluppo di «theme restaurants» nell’area più esperienziale dei consumi a prezzi accessibili. Affrontando attraverso la continua innovazione l’elevato rischio di obsolescenza che caratterizza, come noto, tali format.

In questo percorso di innovazione, l’industria di marca può svolgere un ruolo da protagonista aiutando le catene attraverso partnership dedicate. Per esempio su prodotti, promozione, merchandising e animazioni.

A seguire gli interventi dei tre relatori aziendali presentati da alcune riflessioni introduttive di Egidio Ottimo, Partner e Responsabile del mercato fuori casa di TradeLab.

Fare network nella ristorazione

Il primo relatore, Raquel Bravo, Senior Marketing Manager Italy & Nordics, della piattaforma di prenotazioni The Fork, ha illustrato come un operatore virtuale può aiutare le imprese della ristorazione a fare network. A quasi il 90% dei consumatori piacerebbe che il ristorante ricordasse il suo tavolo preferito. Così come a più del 70% che il ristoratore conoscesse le sue specifiche esigenze alimentari.

Ancora, a circa il 90% piacerebbe poter utilizzare una lista di attesa per mangiare in un ristorante in cui è difficile trovare posto. Oppure ricevere promozioni, menù e offerte prima di prenotare il ristorante.

Ma a che punto è il marketing dei ristoratori?

Agli stadi iniziali, se consideriamo che da un’indagine svolta a livello internazionale da The Fork circa la metà dei gestori dichiara di dedicare ad esso meno del 10% del proprio tempo lavorativo. E che gli investimenti in pubblicità cartacea (volantini) sono ancora superiori a quanto spendono per attirare sulla propria insegna gli algoritmi dei motori di ricerca.

E dal gap tra quanto desidera il consumatore e quanto è in grado di porre in essere in modo autonomo il gestore emerge il potenziale ruolo delle piattaforme online.

In particolare di The Fork che, ad oggi, connette 40.000 ristoranti negli 11 Paesi in cui opera dei quali 9.000 sono in Italia. Inoltre gestisce 15 milioni di visite al mese e 8 milioni di recensioni. Insomma, un buon volano per tentare di riempire la sala dei ristoranti e, magari, aumentare il tasso di utilizzo del tavolo nella stessa giornata.

La Risto-Distribuzione

Il secondo relatore, Emmanuela Alesiani di Carrefour, Project Manager Category & Development for Bar and Restaurant, ha illustrato l’approccio della catena francese al mondo della ristorazione e, più in generale, dei consumi fuori casa a cui l’azienda crede molto come canale di sbocco per trovare un nuovo ruolo alla tradizionale impresa di retailing.

Un approccio che, guardando al futuro dei prossimi 10 anni, è stato definito di Risto-Distribuzione.

Che presta la dovuta attenzione sia agli aspetti dell’offerta dedicata ai consumi fuori casa, sia alla rotazione dello scaffale. Perché deve comunque caratterizzare l’orientamento operativo di un retailer.

La catena è in una fase di innovazione nel mercato dei consumi fuori casa e sta sviluppando un ampio set di format. Perché è alla ricerca di quelli più promettenti su cui centrare lo sviluppo futuro. Bar Market, Ristorante Terre D’Italia, Eat & Shop (format ibrido), Urban Life, 3 Minuti Convenience Store. In questo momento, Carrefour ha 3 ristoranti, 13 ibridi e 3 bar e il progetto è di raddoppiare tale rete in tempi molto rapidi.

Posizionamento monoprodotto

Il terzo relatore, Massimo Innocenti di Spontini, amministratore delegato e fondatore, ha raccontato la storia della sua impresa familiare nata nel 1953. Quando ancora non esistevano a Milano le pizzerie che conosciamo oggi.

Grande attenzione alla fase di produzione dell’impasto, assortimento estremamente ridotto. Da notare che il classico trancio di margherita con l’aggiunta di acciuga ha, di fatto, rappresentato per 50 anni l’unico prodotto offerto.

Negli ultimi anni Spontini ha ceduto ad un leggero ampliamento dell’assortimento neanche in tutti i suoi negozi. In questo modo si può dire che la catena sia una ottima rappresentante del posizionamento monoprodotto.

Un posizionamento che punta sulla focalizzazione di mercato, la semplificazione dell’offerta, e dell’industrializzazione dei processi di produzione e vendita. Di questi tre punti ha fatto le leve per mantenere costi e prezzi bassi e poter replicare il format sul territorio. Ad oggi la catena conta su 23 pizzerie in Italia e all’estero. E i piani di sviluppo parlano di un raddoppio in tempi, anche in questo caso, molto rapidi.

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