MILANO – Potrebbe essere Amazon, o un altro gigante delle vendite online, il futuro partner di Starbucks che come il gruppo di Jeff Bezos ha le sue radici a Seattle? L’anno prossimo la catena mondiale di caffetterie sbarcherà a Milano e nel resto d’Italia, con una campagna di aperture che farà della Penisola uno dei mercati chiave per la crescita futura.
Ma il gruppo fondato da Howard Schultz, con i suoi oltre 21 miliardi di dollari di ricavi nel 2016, sta riconsiderando anche l’intera strategia di vendita attraverso l’ecommerce.
Nei giorni scorsi, il gruppo ha deciso a sorpresa di sospendere le vendite online.
«Affideremo i nostri prodotti a piattaforme di operatori terzi che fanno questo per mestiere e lo sanno fare bene. Questo cambio di strategia semplificherà il business e nello stesso tempo ci aiuterà a far crescere i consumi di home-coffee. E a concentrare gli sforzi su altre priorità», dice Rosalind Brewer – detta Roz —, convinta come Schultz che il consumatore la vera esperienza del caffè la debba fare negli store.
Lo racconta nella sua prima intervista dopo la nomina a chief operating officer. Di fatto Brewer, che ha preso l’incarico lo scorso 2 ottobre, è la numero due operativa del gruppo. Affianca il ceo Kevin Johnson, secondo il nuovo assetto di vertice disegnato da Schulz, che ha lasciato la guida restando però presidente operativo.
La manager non solo è la prima donna alla guida della multinazionale del caffè, ma è anche la prima dirigente afroamericana a capo di un colosso della new economy come Starbucks che ha rivoluzionato il mondo del caffè.
Al centro del suo impegno ci saranno proprio l’innovazione del prodotto, lo sviluppo dei negozi e la catena dei fornitori.
Resterà anche nel consiglio del gruppo con il simbolo della sirena dove siedono anche il ceo di Microsoft, Satya Nadella, e l’ex capo della Pepsi-Cola, Craig Weatherup, oltre ai vertici del gruppo di Schultz. Siede nel board della Lockheed Martin e compare tra le prime venti donne più influenti nella classifica di Forbes.
L’innovazione
«Investiremo di più sulla nostra app perché è indispensabile connettere sempre di più il consumatore con i negozi attraverso il digitale. Deve essere la priorità di tutti i gruppi del retail che posseggono negozi come attività core. L’intero settore sta attraversando una fase di disruption.
Starbucks è il leader nel caffè.
Ma è necessario che si reinventi continuamente e i nostri vertici sanno che non si può accettare lo status quo. L’ho fatto in Walmart dove attraverso l’innovazione abbiamo massimizzato anche le performance», racconta Brewer.
La manager il settore del retail lo conosce bene. Per quasi vent’anni ha lavorato appunto nel gruppo Walmart. Salendo tutti i gradini della carriera fino a diventare chief executive di Sam’s Club, controllata dal gruppo Usa di supermercati.
Si tratta della catena di centri commerciali che vendono attraverso una rete di store.
Ma anche online, solo ai clienti soci con prezzi da grossista e un giro d’affari sopra i 56 miliardi di dollari.
Laurea in chimica (seguita da una specializzazione in business alla Wharton School), Brewer sta studiando la nuova alchimia tra canali di vendita anche per Starbucks.
In sintesi, il gruppo preferisce concentrare gli sforzi sui negozi fisici e non disperdere energie e mezzi su canali retail che costituiscono una fonte di ricavi marginale.
Anche se indispensabile nell’offerta e nel rapporto con il cliente. Meglio affidare il business a chi lo fa per mestiere.
Oggi sono oltre 26.730 gli store in 75 mercati e il piano industriale presentato un anno fa da Schultz promette di arrivare a 37 mila entro il 2021. Il progetto pensato per lo sbarco in Italia è la sintesi della strategia.
Lo sbarco in Italia
«A Milano costruiremo una vera fabbrica del caffè e un centro di panificazione con l’alleato italiano nel food Princi. Sarà il negozio più grande d’Europa», aveva spiegato lo stesso Schultz in un’intervista al Corriere della Sera.
L’Italia è stato uno dei capitoli chiave scritti dal fondatore prima di lasciare la guida operativa della società di Seattle, ad aprile.
Nella Penisola il patron americano ha anche siglato un accordo commerciale suggellato dalla costituzione di una joint venture internazionale che vede tra i soci, oltre ai protagonisti Starbucks e Princi, anche il fondo di venture capital AngelLab di Angelo Moratti, che a Starbucks ha aperto le porte del mercato italiano.
In primo luogo creando il collegamento con il gruppo del retail e dei centri commerciali Percassi a cui il gruppo Usa, che ha inventato il «Frappuccino», ha affidato la regia dello sbarco a Milano.
«Siamo felici di arrivare in Italia. È stato a lungo il sogno di Howard. La nostra squadra sta lavorando con impegno sul progetto di Roastery (torrefazione, ndr). Entreremo con umiltà e profondo rispetto nei confronti della cultura italiana del caffè», spiega Brewer.
L’altro capitolo dello sviluppo per Starbucks verrà dalla Cina. «È il mercato che cresce più rapidamente per noi», dice ancora la top manager. Qui il numero di negozi salirà a 5 mila entro il 2021.
Daniela Polizzi