MILANO – È di pochi giorni fa, in Venezuela, la decisione di abbandonare il dollaro e utilizzare altre valute come l’euro o il rublo per gli scambi internazionali. Un gesto anche per aggirare le sanzioni imposte da Donald Trump.
Il presidente Nicolás Maduro (FOTO sotto il titolo) va oltre, e in diretta televisiva avverte: “Se devo diventare un dittatore per garantire dei prezzi decenti al popolo lo farò. E voi sapete che sono uomo di parola”.
L’iperinflazione nel paese però, non è più controllabile. E anche i tentativi di affidarsi ad altre monete non sembrano una soluzione, visto lo stato dell’economia nazionale.
Il governo offre dati spesso non veritieri sulla reale tenuta della valuta nazionale. E anche l’aumento del 40% del salario minimo, oggi, con il bolivar che è carta straccia, serve a poco.
Progetti stranieri come il Billion prices project, progetto congiunto del Mit di Boston e dell’università di Harvard (ma con declinazioni anche in spagnolo), chiedono agli utenti di dare il costo reale dei generi di prima necessità nei negozi. Per misurare l’inflazione su base settimanale.
I dati sono peggiori di quelli annunciati dal governo
E i dati sono ben peggiori di quelli forniti dall’esecutivo con le scadenze dei debiti internazionali sempre più incombenti.
Stando ai risultati raccolti e alle elaborazioni fatte da un anno a questa parte, anche i prodotti di prima necessità raggiungono prezzi esorbitanti.
Rapportato al potere d’acquisto vigente, un chilogrammo di pasta è come se costasse, da noi in Italia, 270 euro. Una confezione di latte in polvere: 670 euro. Una dozzina di uova: 135 euro.
Non va meglio con il caffè, di cui il Venezuela era un tempo un importante produttore. Un pacchetto costa il corrispettivo di 300 euro.