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venerdì 22 Novembre 2024
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Salute e Ricerca – Per gli scienziati il caffè greco bollito allunga la vita

Secondo la scienza, il caffè greco è uno dei responsabili della straordinaria longevità degli abitanti dell'isola di Ikaria

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MILANO – Le aspettative di vita degli abitanti della piccola isola greca sono al di sopra della media. Gli scienziati sono più che decisi a indagare sulle  cause di questo elisir di lunga vita. La pozione magica in questione è il caffè greco. Il segreto di longevità, infatti, sembra legato a un insieme di fattori.

Caffè greco allunga vita

Gli abitanti di questa isola, circa 10 mila, raggiungono i 90 anni. Con quindi una media superiore di ben quattro volte le normali aspettative di vita altrove.

Proprio come avviene in pochissime altre parti del mondo. Ad esempio nell’isola di Okinawa in Giappone, a Nicoya in Nicaragua, Loma Linda in California e l’Ogliastra in Sardegna.

Gli anziani di Ikaria bevono caffè greco

Hanno sempre bevuto il caffè bollito, hanno i tessuti delle arterie in condizioni migliori degli equivalenti abitanti della terra ferma.

Del resto una delle principali cause di infarto e morte sono le arterie occluse“, ha dichiarato il Dott. Siasos, autore della ricerca con il suo collega Dr. Christodoulos Stefanadis.

Certo, il caffè greco è solo uno dei tanti fattori

Ha a che fare con il loro modo di vivere,” ha detto il Dott. Siasos. “Le persone dormono più di otto ore a notte, vi è una maggiore socializzazione e hanno molto meno stress rispetto a chi vive ad Atene”.

La dieta mediterranea

Include molti tipi di frutta, verdura, olio d’oliva e pesce. La maggior parte di loro è abituata a fare qualche chilometro a piedi tutti i giorni e difficilmente rinuncia alla pennichella e al caffè.

Ricercatori di tutto il mondo sbarcano sulla piccola isola del mare Egeo per studiare gli altri fattori che potrebbero contribuire al “magico cocktail” di Ikaria, come l’acqua, i minerali dell’isola e la qualità dell’aria.

Il fattore genetico è ritenuto responsabile di appena il 20-25%.

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica Vascular Medicine, e potete leggerla QUI.

 

Fonte: NYT

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