LIPOMO (Como) – L’Esposizione Caffè Milani, realizzata all’interno del nuovo stabilimento di Caffè Milani progettato dallo Studio Castiglioni & Nardi propone un percorso dalla pianta alla tazzina, ma non impone sensi unici. Il visitatore può prendere il via da una buona tazza di espresso per scoprire le apparecchiature e concludere con i chicchi o fare il cammino inverso.
Il progetto di sceneggiatura museale è stato realizzato da Paolo Zanzi, graphic designer, fotografo e art director. Suoi sono l’ideazione, la ricerca, i contenuti comunicativi e quelli testuali e iconografici riferiti ai temi in esposizione.
La visita proposta va dal chicco alla tazzina. Già dall’esterno le vetrate che caratterizzano l’ala dello stabilimento destinata all’Esposizione lasciano intravvedere tronchi e rami che salgono verso l’alto, a simulare le piantagioni (per lo più di montagna) in cui il caffè cresce all’ombra di alberi di alto fusto.
Con l’ascensore o tramite una scalinata in legno si raggiunge il secondo piano. Da qui il percorso prende il via con il caffè verde.
Prima di accedere alla sala si possono ammirare le prime protagoniste dell’attività di Caffè Milani: una tostatrice del ’37 della Trabattoni di Lecco e i vecchi silos in cui veniva conservato il caffè tostato.
Qui sono protagonisti i paesaggi delle coltivazioni, le immagini dei fiori bianchi del caffè, simili per forma e profumo al nostro gelsomino, le drupe mature al cui interno si trovano due chicchi, i processi di lavorazione e poi attrezzature che mostrano il trasporto, la selezione con appositi “setacci”, i crivelli, con cui sono classificati i chicchi.
Ancora, i sacchi con il verde da guardare, toccare per verificare la durezza, la resistenza e l’assenza di profumi di ciò che con la tostatura diventerà un chicco di colore marrone che crescerà in volume, perderà in peso, si farà molto fragile, ma soprattutto ricco di una gamma aromatica intensa e ricchissima.
Non mancano video che mostrano paesi lontani, paesaggi affascinanti e scene di vita attorno al caffè.
Sul fondo della sala una serra propone alcune piante di caffè arabica che colpiscono per le loro foglie lucide, un po’ piatte e allungate che nascono a coppie unite tra loro e poi si aprono all’apice del ramo. Amano la luce ma non il sole diretto, una temperatura non troppo elevata, ma soprattutto una buona dose di umidità per crescere ben sane: in natura possono arrivare fino a 6 metri d’altezza.
Al centro della sala colpisce una struttura di legno a forma di doppia foglia: al suo interno si trovano immagini del caffè al microscopio: chicchi verdi, tostati e macinati, ingrandimenti delle foglie: particolari invisibili a occhio nudo che affascinano.
Avvicinandosi all’uscita, sul lato sinistro si coglie un ulteriore spazio: è una sala dedicata alle donne. Si possono ammirare vestiti tipici del Guatemala e immagini che mostrano la cura nella raccolta e selezione delle drupe mature prima e successivamente dei chicchi verdi: operazioni svolte con estrema rapidità e precisione. Come solo una donna sa fare.
Chi vuole fermarsi un poco e stupirsi davanti al sapere che circonda il caffè, può salire al sopralzo-biblioteca, con tanti libri che spaziano dalla sua storia alle tecniche di coltivazione e di estrazione, ricette, storie, leggende e tradizioni legate alla bevanda da tutto il mondo.
Il primo piano è dedicato alla trasformazione del caffè in bevanda. Entrando colpisce l’esposizione ordinata di pezzi unici, spesso antichi e di fattura ricercata. La parte dedicata agli strumenti per la preparazione del caffè in ambito domestico, è divisa in base ai metodi di preprazione, dai sistemi a infusione per bollitura ai metodi a pressione di pistone.
Ogni passaggio è descritto e accompagnato da uno o più pezzi antichi e ricchi di fascino.
Ogni metodo ha poi un gioiello, ovvero un pezzo di particolare pregio per fattura o rarità.
Si passa quindi alle macchine da casa, di nuovo rifinite con grande cura e attenzione.
Il lato opposto è dedicato alle macchine professionali. Spiccano quelle a vapore dei primi del ‘900 (ci sono esemplari fino agli anni ’50), affascinanti con la loro struttura imponente e la complessa presenza di tubi e rubinetti, che rimandano a un rito di estrazione in cui la mano del barista aveva un ruolo molto importante.
L’estrazione del caffè (una bevanda nera, molto amara e per lo più senza crema in superficie) si realizzava con un primo passaggio di acqua bollente sul macinato: quando cominciava a gocciolare il caffè, si chiudeva il rubinetto dell’acqua e si apriva quello del vapore, che spingeva l’acqua ad attraversare il caffè nel filtro e andare in tazza.
Considerato con il palato odierno, il prodotto non era forse dei migliori, ma ha conquistato il palato degli italiani e spinto a ricercare tecniche sempre più innovative e rispettose del caffè e dei suoi aromi.
Proseguendo si incontrano le macchine a leva, dall’invenzione nel 1950 al 1970: queste nuove apparecchiature hanno permesso di modulare con più attenzione la temperatura e la pressione dell’acqua nonché il tempo di percolazione, dando in tazza quel buon espresso che ancora oggi molti in Italia gustano.
C’è poi il modello che ha realizzato la prima vera rivoluzione nelle macchine espresso: la Faema E61 (il suo nome indica l’anno di creazione e dice che ci fu un’eclissi di sole).
Se fino ad allora la regolazione della pressione era affidata alla leva e alla mano di chi la manovrava, in questa macchina per la prima volta viene utilizzata una pompa in grado di conferire all’acqua la pressione ideale di 9 atmosfere mantenendola costante durante l’intero processo di estrazione.
Dalla pesante leva si passa a una levetta che apre e chiude l’erogazione senza alcuna fatica.
Uscendo dalla sala si incontra un’ampia vetrina con più di 700 tazzine (la collezione originale ne comprende circa 6.000) di torrefazioni esposte in ordine alfabetico.
Di fronte, una capanna propone le immagini e gli oggetti legati al rito del caffè etiope (Il Paese di origine del caffè Arabica), dove i semi vengono tostati e fatti girare tra gli astanti affinché ne colgano l’aroma; quindi sono macinati con il mokecha.
Il caffè in polvere è poi posto in un contenitore detto Jebena, di terracotta, con una base sferica e un collo allungato, bollito in acqua aromatizzata con polvere di zenzero e servito in tazza. La cerimonia completa comprende tre giri di tazze.
In pochi passi si accede a una passerella che offre una visuale della torrefazione, con le tostatrici, le capsulatrici e numerosi impianti di confezionamento.
Proseguendo si raggiunge la sala corsi, un accogliente anfiteatro con banchi dai quali seguire incontri, lezioni e dimostrazioni pratiche per conoscere sempre più da vicino le origini e i consigli per il migliore utilizzo del caffè a casa come al bar.
Per i professionisti del settore è disponibile un ampio ventaglio di corsi che presto sarà implementato con altri rivolti al consumatore finale: quanto, ad esempio, c’è da imparare sulla moka.
L’itinerario non può concludersi che con una tazza di buon caffè. Ed è anche possibile acquistare caffè in grani, macinato, in cialda, in capsula e confezioni regalo.
Così si prenota la visita
L’esposizione Caffè Milani si può visitare ogni primo e terzo venerdì del mese. Ci si può prenotare tramite il sito di Caffè Milani alla pagina www.caffemilani.it/esposizione-milani oppure telefonando allo 031 280778.
Visite e telefonate si ricevono in orari di ufficio: 8 -12 e 14 -18.