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venerdì 22 Novembre 2024
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Ricercatori dell’Università di Parma assolvono il caffè con formula piena

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PARMA – Contrordine: il caffè non fa male – come per anni ci è stato ripetuto – ma, con le giuste dosi, ha anzi effetti positivi per la salute e può contrastare alcune patologie.

È il verdetto al quale è arrivato un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma che dal 2012 sta analizzando «al microscopio» caratteristiche e virtù dei chicchi.

Un team del Dipartimento di Scienze degli alimenti e del farmaco composto, tra gli altri, da Daniele Del Rio, professore associato, Pedro Mena Parreño, assegnista di ricerca, e Michele Tassotti, dottorando.

I risultati delle loro ricerche diverranno a breve una tesi dottorale.

Possiamo «assolvere» il caffè dalle tante accuse che negli anni gli sono state mosse?

«Proviamo ad immaginare di dover affrontare un’intensa settimana senza l’aiuto del caffè. Il 90% di noi si troverebbe certamente in seria difficoltà. Non a caso il caffè è la bevanda più consumata al mondo: un valido sostegno nei momenti più intensi, uno sfizio piacevole nelle pause di relax – spiegano gli studiosi – Eppure, per anni, il consumo quotidiano di caffè è stato percepito come una pessima abitudine, paragonabile persino all’eccessivo consumo di alcol o al fumo. Ma se per fumo e alcol gli effetti nocivi sono stati confermati, numerosi studi scientifici hanno rilevato che non solo il caffè non fa male, ma se consumato con moderazione nell’arco di una giornata è protettivo per la salute».

Cosa c’è in una tazzina di caffè?

«Premessa: non tutti i caffè sono uguali, ne esistono almeno 60 varietà caratterizzate, di cui solo 25 producono chicchi con valore commerciale e di queste solo quattro vengono utilizzate per preparare la bevanda – dicono gli studiosi del team di ricerca – Le due varietà più famose sono l’Arabica (Coffea arabica) e la Coffea canephora, più semplicemente detta Robusta, più ricca in caffeina. La relazione tra caffè e salute passa inevitabilmente attraverso lo studio della sua composizione e, nonostante in questi ultimi anni il caffè sia stato protagonista di numerosissimi studi, si è ben lontani da una classificazione completa delle sostanze che lo compongono, anche per via dell’elevata variabilità in termini geografici, industriali, produttivi e varietali.

I componenti principali che ritroviamo in un caffè espresso sono: lipidi, proteine e amminoacidi, carboidrati (prevalentemente insolubili), minerali (tra cui potassio, magnesio, calcio), composti fenolici (acidi clorogenici), precursori della vitamina B3 (trigonellina), diterpeni come il cafestolo e il khaweolo e alcaloidi blandamente stimolanti, tra i quali la più nota è la caffeina. Tuttavia, se si esclude l’eventuale aggiunta di zucchero o di latte, l’apporto calorico di una tazzina di caffè è praticamente nullo».

Parliamo della caffeina.

«È la componente più nota. Si può bere il caffè per il suo aroma, ma la maggior parte di noi lo consuma per l’attività stimolante che questa molecola esercita sul sistema nervoso centrale. La caffeina, infatti, ha una struttura chimica molto simile all’adenosina, una molecola prodotta dal nostro organismo e coinvolta, tra altre numerose funzioni, nella regolazione del ciclo sonno/veglia. E’ proprio a causa di questa similarità strutturale che si instaura una «competizione» tra caffeina e adenosina, da cui risulta un effetto stimolante, associato a diminuzione del senso di fatica e dei tempi di reazione. L’effetto è un aumento della capacità lavorativa e del senso di vigilanza».

La caffeina può causare insonnia?

«Sì. Accanto all’efficienza e alla produttività, un consumo eccessivo di caffeina può provocare irritabilità, insonnia e, ad alte dosi, ansia. Non tutti reagiamo allo stesso modo al consumo di caffeina: sicuramente avrete amici che possono bere il caffè dopo cena senza risentire troppo dell’effetto stimolante, e altri che se bevono il caffè nel primo pomeriggio faticano ad addormentarsi la sera. La cosiddetta “suscettibilità alla caffeina” ha motivazioni biochimiche e genetiche. Il sistema endogeno che metabolizza (in pratica degrada) la caffeina è il citocromo P450 1A2, di cui è stata scoperta, abbastanza di recente, una variante genetica meno efficiente. I portatori di questa variante sono detti “lenti” metabolizzatori di caffeina, e risentono degli effetti stimolanti di questo composto per più tempo».

Ci sono dosi giornaliere da non superare?

«Anche l’Efsa si è pronunciata sulla caffeina – che è la molecola con più controindicazioni tra quelle presenti in una tazzina di caffè – specificando che una dose singola di 200 milligrammi di caffeina (nessun caffè raggiunge solitamente queste concentrazioni: un espresso da bar contiene in media 80 milligrammi) non desta preoccupazioni per la popolazione adulta e sana, così come un consumo di 400 milligrammi nell’arco di una giornata (circa 4-5 caffè al giorno). Per le donne in gravidanza o in allattamento le dosi diminuiscono a 200 milligrammi al giorno».

Quali sono gli «effetti collaterali» del caffè?

«Gli effetti del caffè e della caffeina non si fermano solo al sistema nervoso centrale, ma influenzano tutto l’organismo. A livello dello stomaco, infatti, l’assunzione di caffè aumenta la secrezione di succhi gastrici, con conseguente aiuto alla digestione. Per questo in soggetti con gastrite o ulcera il consumo di caffè è sconsigliato per evitare di peggiorare il fastidio legato all’eccessiva acidità di stomaco. Va comunque specificato che il caffè non causa reflusso gastro-esofageo, gastrite o ulcera in soggetti sani».

Il caffè è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari?

«È stata per anni una delle associazioni più classiche dell’immaginario collettivo. Ma negli ultimi 40 anni nessuno dei numerosi studi al riguardo ha confermato questa relazione. Oggi, con l’esclusione dei soggetti che già soffrono di problemi di acidità di stomaco, non esiste nessuna controindicazione ad un consumo moderato giornaliero di caffè (3-4 tazzine di caffè al giorno).

Quali sono gli effetti positivi del caffè?

«C’è una relazione inversa tra caffè e incidenza di diabete di tipo 2. Sembra ormai assodato che un consumo giornaliero di 3-4 caffè al giorno può ridurre del 25% il rischio di questa patologia. Esistono poi diversi studi che hanno evidenziato come il consumo moderato di caffè possa proteggere dalle demenze e dai deficit cognitivi negli anziani. Molti studi si sono soffermati sulla correlazione tra caffè e tumori, e al momento non è stata rilevata nessuna associazione tra un consumo moderato e i principali tipi di cancro, come recentemente indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Sembra evidente, invece, l’effetto protettivo nei confronti del fegato: il consumo moderato di caffè è inversamente correlato alla cirrosi epatica, un importante fattore di rischio del tumore del fegato».

Il caffè sta quindi passando da «imputato» a «toccasana»?

«All’unità di Nutrizione del Dipartimento di Scienze degli alimenti e del farmaco stiamo studiando il caffè e i suoi tanti componenti bioattivi per identificare con maggiore precisione le molecole responsabili degli effetti protettivi per la salute del consumatore. In collaborazione con il reparto di Endocrinologia e malattie metaboliche del Dipartimento di Medicina e chirurgia, stiamo conducendo un innovativo e complesso studio su volontari sani i cui dati ci permetteranno di quantificare i livelli dei composti bioattivi del caffè nell’organismo e, almeno in parte, di identificare i possibili meccanismi d’azione tramite i quali proteggono dal rischio di numerose patologie».

Monica Tiezzi

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