MILANO – Gli italiani mangiano circa dodici chili a testa di gelato ogni anno (con tassi di consumo in costante crescita), per un giro d’affari di oltre 2 miliardi di euro.
Il 66% dei consumi riguarda quello artigianale e il nostro Paese è l’unico al mondo dove si afferma questo predominio, forte di 39mila gelaterie (compresi bar e pasticcerie che vendono anche gelato artigianale) e 150mila occupati.
Il prodotto è tipicamente italiano e finalmente se ne diffonde anche la consapevolezza, tanto che i gelatieri italiani nel mondo stanno riuscendo a imporre – come accade già per pizza, pasta ed espresso – il termine in italiano a scapito delle traduzioni, peraltro fuorvianti anche come identificatore del prodotto (per esempio gelato e ice-cream sono tecnicamente due cose diverse, a partire dai modi e dalla quantità di aria incorporata).
Insomma il gelato artigianale è il nostro vanto, anche se c’è ancora tanto da fare per diffonderne la cultura.
Come ha detto di recente a Identità di Gelato Simone Bonini, gelatiere fiorentino creatore del format “Carapina”, per andare a un ristorante si organizzano viaggi, per il proprio pizzaiolo di fiducia si attraversa una città, ma per il gelato ci si accontenta di quello dietro l’angolo. Eppure anche in questo settore dobbiamo imparare a riconoscere la qualità.
Abbiamo chiesto a Giancarlo Timballo, della gelateria Fiordilatte di Udine, membro fondatore e presidente della Coppa del Mondo della Gelateria, come riconoscere il gelato artigianale di qualità.
Che ci ha spiegato come, fatte salve le preferenze personali, sempre rispettabili, ci sono parametri tecnici che gli stessi gelatieri tengono presenti durante le competizioni in cui si danno giudizi. Come per il vino e per l’olio ci sono delle regole di degustazione da tenere a mente. Possiamo usarle anche entrando in una gelateria.
- Il primo aspetto è quello visivo. Se entrando in una gelateria vediamo quelle montagnone di gelato uscire fuori di parecchio dalle vaschette esposte, ecco qualcosa non va. Il gelato si trova molto al di sopra della linea del freddo (per il sistema di refrigerazione all’interno delle vetrine) eppure non tende a squagliarsi come farebbe se fosse prodotto con tutti i canoni. Questo potrebbe essere segnale di una dose di grassi vegetali idrogenati, che resistono a temperature maggiori. Quindi no alle montagne di gelato.
- Ancora, fidiamoci della vista, stavolta per quanto riguarda il colore. Deve essere naturale. Il problema delle colorazioni “assistite” riguarda principalmente i gusti di frutta. Bisogna tenere a mente che nella lavorazione la frutta naturalmente un po’ si ossida e un po’ la vivacità del colore tende ad affievolirsi con le basse temperature. Quindi gialli sgargianti, rosa shocking, verde brillante sono da guardare con sospetto perché rinforzati da coloranti. Ricordate: il gusto banana, se naturale, è bianco, il kiwi verdino spento e così via.
- La temperatura. Scartate le gelaterie con le montagne in vetrina e scelto il gelato dal colore naturale, possiamo assaggiare. Può sembrare strano ma il gelato non deve essere troppo freddo, cioè non deve dare in bocca sensazione di un gelo fastidioso, specie per quanto riguarda le creme (i sorbetti, base acqua, devono sembrare un po’ più freddi). Potrebbe essere segnale di una scarsa incorporazione di aria, dovuta a un bilanciamento non corretto della ricetta, quindi di un gelato non ben equilibrato. Ma non deve essere nemmeno troppo caldo (quelli che assomigliano più a mousse che a gelati) perché potrebbero avere un eccessivo incorporamento di aria. O contenere una eccessiva dove di grassi e/o stabilizzanti (sono questi ultimi a incorporare l’aria).
- Il corpo. Come i vini, anche i gelati hanno un ‘corpo’, quello che si sente, che pesa sulla lingua. Il corpo è un aspetto collegato di solito anche alla temperatura: una crema troppo leggera, cioè troppo magra, è una crema in cui si è risparmiato su latte e/o panna. Quindi sarà anche troppo fredda perché prevarrà l’acqua.
- La struttura. Nel gelato, per definizione, ci sono dei cristalli. Devono essere finissimi, per una struttura che risulti morbida sulla lingua, liscia, spatolabile. Il gelato ben fatto ha queste caratteristiche. Che però non durano in eterno (perché sono in equilibrio acqua, zuccheri, proteine, frutta, paste di semi oleosi come nocciole o pistacchi ecc,). Quando il gelato non è fresco tende naturalmente a perdere le sue qualità, anche se è stato ben fatto. La presenza di cristalli grossi – una specie di grana di piccoli ghiacciolini – può essere indice di gelato non fresco o di una vetrina a temperatura non ottimale, perché l’acqua a poco a poco si slega e ri-cristallizza.
- La fragranza di gusto e persistenza aromatica. Sembra banale, ma la nocciola deve sapere di nocciola, la noce di noce, il limone di limone e così via. Ogni gusto deve essere riconoscibile nella sua individualità. In gelati non davvero artigianali o comunque non ben fatti, tutte le creme tendono ad assomigliarsi, perché sono preparare a partire da basi comuni con l’aggiunta alla fine dell’ingrediente corrispondente. Un po’ come cucinare con il dado: alla fine un po’ tutti i piatti tendono ad essere simili. Quindi ogni gusto deve avere la sua personalità e non deve subito svanire… il sapore e aroma dovrebbe restare abbastanza a lungo in bocca.
- Il gelato di qualità non fa venire sete. A volte si ha questa necessità di bere dopo aver mangiato il gelato, che invece dovrebbe essere rinfrescante, quasi dissetante. Infatti la sensazione è più forte coi gelati industriali, alcuni dei quali usano grassi vegetali. Questi ultimi, in alcuni casi, hanno un punto di fusione più alto di quello della panna (“vera regina del gelato artigianale”). Sappiamo che la temperatura di un corpo umano in condizioni normali non riesce a sciogliere bene in bocca quelli vegetali ed ecco la voglia di bere.
Ultima regola, dice Timballo, che non risponde a parametri tecnici ma è la forza degli operatori dell’artigianato, il giusto prezzo e il sorriso di chi ti porge il cono o la coppetta.