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venerdì 22 Novembre 2024
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“Starbucks in Italia? Una benedizione”. Parola di un piccolo produttore di caffè

Parla Luca Carbonelli, giovane imprenditore napoletano che vende il suo caffè in tutto il mondo grazie all’e-commerce: «Ben venga la concorrenza, tanto più se innovativa. I più grandi difetti del made in Italy? Chiusura e presunzione».

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MILANO – L’arrivo di Starbucks in Italia non è di certo passato inosservato. Prima le palme in Piazza Duomo a Milano – che diciamocelo, sono un po’ fuori luogo ma un’ottima strategia di unconventional marketing – e poi la presentazione del progetto di Howard Schultz a Palazzo Marino insieme al sindaco Beppe Sala, dove è stato svelato che la catena di caffè americana aprirà il primo negozio in Italia alla fine del 2018 nell’ex palazzo delle Poste in Piazza Cordusio.

Il modello che Schultz adotterà per Milano sarà «Quello della torrefazione che occuperà gran parte dei 2.500 metri quadrati di superficie […] Ne preserveremo lo stile per dare onore all’artigianalità del caffè e per fare un omaggio alla cultura italiana».

Il Mr. Starbucks ha affermato anche che l’arrivo della sua catena sarà paragonabile a un cocktail in grado di mischiare insieme tradizione e nuove tecnologie innovative per produrre il caffè, e assicura che «Starbucks non viene in Italia a insegnare agli italiani come fare il caffè».

Quello con il nostro paese è un rapporto del tutto particolare per Howard Schultz, perché il successo della catena americana nacque proprio dopo un suo viaggio a Milano, in cui decise – entusiasta dell’esperienza – di replicare l’atmosfera dei bar e dei caffè italiani negli Stati Uniti. Appare evidente che l’intuizione sia stata vincente.

L’arrivo di Starbucks a Milano, secondo molti, potrebbe essere davvero una ventata di aria fresca, in grado di innovare il mercato e creare posti di lavoro. Sembra tutto rosa e fiori, eppure la crociata contro Starbucks non si ferma.

Primo in linea a combattere il colosso americano è sicuramente Aldo Cazzullo, che nella sua lettera ai lettori ha espresso in modo chiaro, nitido e neanche troppo velato il suo disprezzo per Starbucks che considera una vera «umiliazione» e «il più clamoroso esempio al mondo di Italian Sounding: di prodotti che suonano italiani, ma non lo sono».

Che questo generale rifiuto rappresenti l’ansia tutta italiana per la globalizzazione? Sicuramente noi italiani siamo bravissimi nei mercati di nicchia, ma poi abbiamo grosse difficoltà a replicare il successo su ampia scala, anche a livello internazionale. L’aspetto fiscale gioca un ruolo decisivo, ma di fondo c’è anche un “problema culturale”: temiamo che il meglio della nostra civiltà venga saccheggiato da altri. Siamo certi che il Made in Italy sia incomparabile, siamo orgogliosi e addirittura presuntuosi; estremamente convinti di saper fare le cose nell’unico modo possibile, quello migliore. Specialmente nel settore food, e del nostro “intoccabile” caffè.

Per questo motivo abbiamo deciso di chiedere a Luca Carbonelli, imprenditore napoletano al timone della Torrefazione Carbonelli, cosa ne pensa e soprattutto cosa comporta per gli imprenditori come lui l’arrivo del re mondiale del caffè nel nostro paese.

Come vedi, da produttore di caffè, l’arrivo di una catena internazionale come Starbucks?

È sicuramente una benedizione. Possiamo allargare la visione dell’imprenditoria italiana, andando oltre al tipico espresso come stile di vita. Questo ovviamente non vuol dire dimenticarne le origini o le usanze ma solo prestarsi a nuove pratiche che possono rivelarsi piacevoli e, perché no, anche più redditizie. Bisogna che i commercianti inizino ad ampliare maggiormente le loro visioni anche in un’ottica di contesto internazionale.

Schultz ha presentato a Milano il progetto che porterà all’apertura del primo negozio, raccontando anche delle varie innovazioni che introdurrà. Cosa ne pensi?

Sono decisamente a favore di tutto il ragionamento di Schulz sul perché ha aspettato tanto ad aprire, e sulla sua volontà di rispettare il prodotto italiano nella sua unicità. Quello che emerge è la sua volontà di dare alternative, di creare un’offerta maggiore e diversificata che quasi certamente andrà a sviluppare un nuovo genere di domanda.

Di parere diametralmente opposto è Aldo Cazzullo…

Spero sinceramente che Cazzullo, con la sua uscita, abbia voluto dire che un format del genere deve essere d’ispirazione per gli imprenditori italiani. Spero che abbia voluto sottolineare come la novità e il mercato estero non debbano spaventare il nostro modo di vedere le cose, perché come dice lui stesso: «pur essendo il popolo più esterofilo, gli italiani continueranno a preferire il tradizionale espresso in tazzina rispetto a quello nei bicchierini di plastica». Ecco, spero che il suo punto di vista sia proprio questo e che la sua uscita sulle assunzioni sia stata solo un vicolo cieco.

E chi si schiera dalla parte di Cazzullo dicendo che Starbucks e l’Italia c’entrano come i cavoli a merenda?

Quelli sono i classici retrogradi italiani che non capiscono che tutto può essere un’alternativa. Facciamo un esempio: se noi oggi andassimo in America per aprire una pizzeria, probabilmente dovremmo vendere anche pollo fritto, perché bisogna sempre cercare di dare al cliente tutto quello che vuole. Ed è proprio questo che sta facendo Starbucks

Cosa manca all’Italia in campo imprenditoriale?

In primis, manca sicuramente la visione imprenditoriale a largo raggio. Siamo bravi in quello che facciamo ma troppo presuntuosi per credere che lo possano essere anche gli altri. Diffidiamo di chi viene in Italia e non importiamo dall’estero; continuiamo a vorticare in questo circolo vizioso.

Una retorica del Made in Italy super chiusa quindi…

Il settore del caffè è sicuramente l’emblema della retorica del Made in Italy perché non si riesce a sviluppare una vera e propria rete di impresa: sempre soliti piccoli consorzi che fanno principalmente i loro interessi. L’emblema è che ci sono tante piccole micro torrefazioni chiuse in loro stesse e non disponibili, non aperte alle novità.

Schultz ha affermato di voler costruire un centro di panificazione con l’alleato italiano Princi. Ci potrebbe essere un qualche tipo di “collaborazione” tra Starbucks e le piccole micro torrefazioni come le chiami tu?

Io spero che l’arrivo di Starbucks (e catene affini) incentivi un rapporto di apertura tra le due visioni. Personalmente sono molto curioso di vedere l’apertura della fabbrica di caffè, che si prospetta come qualcosa di visibile. Oggi in una torrefazione trovi tutto blindato dove vige ancora il segreto aziendale che è da abolire. È così per tutta l’imprenditoria generale in Italia, dove c’è poca trasparenza. Cosa che invece non sembra mancare a Starbucks e agli imprenditori americani.

Miriam Tagini

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