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venerdì 22 Novembre 2024
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Howard Schultz: qualche lezione sul caffè

L’arrivo della più grande catena di caffè, i paradossi e le lezioni su fisco, capitale di rischio e produttività. Parla l’economista Luigi Zingales, della Chicago Booth School of Business.

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MILANO – Pubblichiamo questa intervista all’economista Luigi Zingales (FOTO) sul fenomeno Starbucks a firma di Luciano Capone. Uno sguardo piuttosto ravvicinato sul “metodo Howard Schultz”

Howard Schultz: un esempio da seguire.

Howard Schultz, tutti lo conosciamo per essere il creatore di Starbucks. Ma come ha fatto a mettere su un colosso del caffè? Solo fortuna?

Alcune ipotesi del successo di Howard Schultz

Nel mondo le persone consumano prodotti tipicamente italiani come il caffè e la pizza. Si immaginano che siano quelli di Starbucks e Pizza Hut, che invece in Italia non esistono proprio.

Luigi Zingales, economista alla Chicago Booth School of Business, da tempo usa il caso Starbucks per indicare pregi, potenzialità e difetti del nostro sistema economico.

Gli abbiamo chiesto di parlarne.

Luigi Zingales analizza il modello Howard Schultz

“Capisco che la Apple non sia italiana, ma perché la cultura del caffé la esporta Starbucks? – si chiedeva Zingales. – La produttività del lavoro in una caffetteria italiana è superiore a quella di Starbucks. Si fanno caffé e cappuccini uno dietro l’altro. E si segnano cinque ordini contemporaneamente.

E questo spiega perché Starbucks non sia ancora arrivato in Italia”.

L’Italia è un sistema un po’ obsoleto

Resta l’interrogativo del perché non ci sia uno Starbucks italiano. Per Zingales il motivo è un modello d’impresa che impedisce di fare economie di scala: “Basta andare alla cassa di un bar per capire, in genere c’è il proprietario che controlla tutto personalmente. Niente è computerizzato o monitorato automaticamente”.

Ma che fine fa la teoria di Zingales con l’apertura di Starbucks in Italia?

Howard Schultz approda in Italia da ammiratore

“Ciò che colpisce è che Starbucks pensa da 20 anni a come entrare in Italia nel modo migliore. – dice Zingales al Foglio – è una lezione di umiltà su quanto ci voglia per fare le cose per bene”.

Una competizione che si gioca sui servizi

Ce la farà a competere con gli iperproduttivi baristi italiani?

“Starbucks non può competere su prezzo e qualità del caffè e cerca di farlo sulla qualità dell’esperienza. Fornendo wi-fi, spazi riservati, puntando a un mercato più alto di quello in America.

Non si compete solo su prezzi e salari bassi ma anche sulla qualità, l’Italia l’ha fatto bene nella moda ma non nella ristorazione con l’eccezione di Eataly”.

Gli italiani sono bravissimi nei mercati di nicchia ma poi hanno difficoltà a replicare quel successo su una scala più ampia. Da cosa dipende?

“Da tre fattori. – dice l’economista – Quello fiscale che induce a restare piccoli per poter evadere le tasse. Poi c’è una cultura d’impresa in cui sono elevati i benefici di controllo. Non c’è disponibilità a finanziare le imprese senza avere la maggioranza. Questo limita la capacità di espansione di chi ha idee migliori.

E infine il fattore educativo. L’Italia è uno dei pochi paesi in cui avere più istruzione riduce la possibilità di fare l’imprenditore. Questo ci fa riflettere anche su cosa s’insegni a scuola”.

L’evasione fiscale: una piaga tutta italiana

In questo senso l’evasione fiscale non è solo un problema redistributivo. Ha un impatto negativo sulla grandezza e sulla qualità delle imprese?

“Questo è l’aspetto più importante”, dice Zingales. Resta da capire però se l’evasione sia causa o conseguenza di un sistema fiscale oppressivo.

“La pressione fiscale è talmente alta che se si facessero immediatamente pagare le tasse a tutti ci sarebbe una quantità impressionante di fallimenti”.

E allora come si fa?

Ha fatto bene il governo a scegliere un approccio più soft con misure come l’innalzamento della soglia del contante?

“La misura sul contante è solo un favore alla criminalità organizzata. C’è invece bisogno di una combinazione di fattori: riduzione delle aliquote, aumento delle sanzioni. Lotta a corruzione e sprechi sul fronte della spesa.

La verità però è che tutti i governi hanno sempre usato la lotta all’evasione per aumentare la pressione fiscale. Cercare più soldi per continuare a spendere”.

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