In azienda è ribattezzata Anna ‘la coloniale’ perché il suo ruolo di manager del settore ‘Corporate reputation e acquisti strategici’ la porta in giro per il mondo alla ricerca del caffè senza difetti.
Curare i rapporti con i produttori da un continente all’altro, dal Sud America all’Asia fino all’Africa, è compito di Anna Illy Belci (nella foto sopra a destra con l’ex direttore operativo dell’ICO Mauricio Galindo), terza generazione della Illy di Trieste, fondata nel 1933 da suo nonno Francesco.
Dei suoi tre fratelli, Andrea, ceo della società, Riccardo, presidente della holding familiare costituita dieci anni fa, Francesco, esperto di vini, e della madre Anna, presidente onorario, è la meno in vista e soprattutto la più schiva.
Anna, nata a Trieste nel 1958, poca voglia di studiare, dopo la maturità scientifica si impiega in una società di spedizioni dove entra grazie al fatto di conoscere un ottimo tedesco.
Adesso di lingue ne parla altre quattro: portoghese, spagnolo, inglese e francese. “Lo spedizioniere che mi assunse aveva gli uffici nel palazzo dove abitavo – ricorda – la mattina prendevo l’ascensore ed ero lì. Mi occupavo di polizze di carico”.
Non sarebbe voluta entrare nell’azienda di famiglia. Alla fine degli anni Settanta, il papà Ernesto, figlio di Francesco, è riuscito a farle cambiare idea.
“Lo adoravo, come tutte le figlie. Ha cominciato a farmi il lavaggio del cervello, c’è bisogno di te mi diceva, e ho capitolato. Il settore acquisti di materie prime mi è andato subito benissimo. Io sono una ragazza del porto, per me è un posto speciale, da casa nostra avvistavo le navi che arrivavano, mi affascinava”.
Da allora il suo lavoro è stato viaggiare in lungo e in largo all’estero per comprare il miglior caffè. “Avevo come capo un signore anziano, Spiro Margaris che aveva iniziato a lavorare con mio nonno, è stato lui ad insegnarmi tutto”.
Oggi il brand triestino è presente in 140 paesi, con più di 200 negozi a marchio Illy, oltre 100mila terminali di vendita e 437 milioni di euro di fatturato 2015.
Alla morte di Ernesto, Anna prende saldamente in pugno le redini del settore.
“La nostra azienda richiede la qualità arabica più pregiata, non facile da trovare”, spiega la manager che incontra l’universo dei produttori di caffè di Etiopia, Tanzania, Burundi, Ruanda, India, Cina, Colombia, Guatemala, Costarica, Honduras Salvador, Nicaragua e del Brasile.
“Posso dire di averli visitati tutti”, afferma, ma il fornitore più importante si trova nello Stato di Minas Gerais, in Brasile, dove sono le grandi piantagioni di caffè; qui verifica lotto per lotto, tratta i prezzi, mantiene rapporti personali con gli agricoltori.
“Una bella responsabilità – osserva l’imprenditrice. qualità elevata e costante: questa è la nostra politica.
Facciamo acquisti in modo da poter garantire una miscela dal gusto sempre uguale, bilanciamo le diverse varietà della Coffea, la pianta del caffè, per garantire il gusto Illy. Un bland unico, Illy taste lo chiamano.
Per la qualità eccellente ovviamente paghiamo un sovrapprezzo, costa di più e noi lo riconosciamo. Ciononostante loro vogliono sempre di più”.
Quello che fa essere l’Illy tra i caffè più cari per il consumatore, sono i controlli, non solo dal punto di vista organolettico ma con moltissime analisi sui residui e particolari anomalie. Per gli esami chimici, realizzati a monte, l’azienda si avvale di un laboratorio internazionale. Se un lotto di caffè presenta valori fuori linea, viene respinto.
“Dobbiamo spiegare ai produttori che c’è una legge europea che impone limiti da rispettare e come lavorare per avere un risultato corretto”.
Anna ‘la coloniale’ siede in diversi consigli di amministrazione del gruppo. Come quello della Domori, per esempio, che produce tè e cioccolato e ha una joint venture in Venezuela con una famiglia che fornisce il cacao. “All’inizio ci andavo spesso – dice – ma da quando sono peggiorate le condizioni della sicurezza meglio evitare”.
Le caratteristiche dei fornitori sono parecchio diverse da paese a paese.
Ci sono fattorie molto piccole, da mezzo ettaro a quattro ettari. In Brasile vanno da un minimo di 30 ettari a un massimo di quattromila.
“E’ una produzione faticosa e anche rischiosa – sostiene la manager – con molti alti e bassi perché risente del clima, soffre la siccità e la pioggia che arrivano nei momenti sbagliati. Gli agricoltori mettono in piedi progetti di sostenibilità, di sport, scuola ed educazione”.
Su sua proposta, venti anni fa è nata a San Paolo del Brasile una università del caffè per i professionisti dell’espresso, che ha venti sedi nel mondo tra cui Trieste. Ha formato migliaia di giovani che volevano intraprendere questa attività.
“Abbiamo un accordo con una fondazione legata all’università. Nei primi anni erano i professori che andavano dagli studenti riuniti nei vari paesini e tenevano le lezioni; oggi il corso si fa on line”.
Quando ci riesce attraversa le Ande e va a Santiago del Cile, dove vive Nicol, l’unica figlia che ha 28 anni e una bambina di due.
“Ruolo dei genitori è far crescere le ali ai figli e lasciarli volare. E lei è volata lontano, ha sposato un cileno. Tutte e tre siamo di novembre. Io annunciavo: a 30 anni voglio avere un figlio, a 30 anni e due giorni è nata Nicol. Che precisione, si potrebbe dire. Se fossi così precisa avrei ancora un marito. Però abbiamo mantenuto ottimi rapporti”.
Nello stabilimento di via Flavia, a Trieste, dove lavorano 500 addetti, Anna Illy Belci, che porta ancora il nome da sposata per evitare l’omonimia con sua madre, racconta di aver “portato un po’ di ordine: non esisteva un ufficio acquisti, io l’ho creato e abbiamo centralizzato.
Forse ho aggiunto un’ulteriore dose di umanità col mio essere gentile e rispettosa con tutti, mi dicono che in questo assomiglio molto a mio padre. In Brasile mi chiamano il dottor Illy in gonnella. Anche se io non adopero le gonne perché sono piuttosto in carne e preferisco vestire largo e comodo”.
Ama il mare, ma dalla terraferma.
“Qui a Trieste andare in barca vuol dire andare a vela, nella mia famiglia tutti la amano ma io, dopo aver preso delle paure terribili, ho lasciato perdere. Ogni seconda domenica di ottobre a Trieste c’è una famosa regata, la Barcolana, e io me la guardo da casa, ma niente di più.
Anche le vacanze ormai, preferisco passarle a casa mia perché sono sempre tanto in viaggio. Da ragazzina mi sarebbe piaciuto fare l’insegnante di educazione fisica, ma adesso mi sono impigrita”.
Si occupa molto della Fondazione Ernesto Illy, creata in nome di suo padre, di cui è vice presidente e che ha l’obiettivo di realizzare progetti di educazione e sostenibilità nei paesi produttori.
Il braccio operativo è il Master universitario, giunto al settimo anno, in ‘Coffee economy and science’, in collaborazione con università di Trieste e di Udine, aperto a studenti che abbiano una laurea in Economia o Agraria.
Dura sei mesi e ai ragazzi più meritevoli la Fondazione offre un aiuto economico. Per il 2017 ci sono ventotto studenti provenienti da diciassette diversi paesi produttori di caffè pronti a sedersi in aula dal 16 gennaio.