CESENA – Ciarliero, scanzonato, euforico. Come quando, a un cronista che gli chiedeva lumi sulla formazione nella sua azienda, ha risposto testuale: «Io sono il Michelangelo del caffè, della materia conosco tutto, perché ho iniziato a lavorarci quando avevo 15 anni».
C’era una volta l’austero Massimo Zanetti (FOTO sopra), l’imprenditore inavvicinabile. Sarà stata l’aria proletaria del ciclismo, che adora, o quella d’antica nobiltà della Virtus, da poco sponsorizzata Segafredo, o sarà stato forse quel senso di coinvolgente immediatezza che la Romagna riesce a trasmettere, sta di fatto che Massimo Zanetti sembrava un altro.
Si doveva parlare, a Cesena, del nuovo Polo Romagna, un centro logistico di oltre mille metri quadri che avrà 25 dipendenti, uffici di rappresentanza, un ampio magazzino merci e un’area per istruire i clienti Segafredo, «perché in un bar chi fa il caffè è come il cuoco».
All’inaugurazione c’erano, fra i tanti, anche alcuni ciclisti della Trek, la squadra statunitense marchiata Segafredo, il commissario tecnico Cassani, e l’ultimo amore, la Virtus, col presidente Bucci, il tecnico Ramagli e alcuni giocatori.
Si è finito per parlar tanto di ciclismo, un’avventura che ha gasato Zanetti come forse neanche lui s’immaginava, e poi della Virtus e anche del Bologna, una ferita che ancora brucia, per quanto Zanetti desse l’impressione di essere sincero, quando spiegava che l’arrivo di Joey Saputo è stato per lui una sorta di benedizione.
«Credo che San Pio X mi abbia messo una mano sulla testa e mi abbia salvato». I sostenitori della svolta americana troveranno conforto in queste parole. Tutti quei soldi iniettati nelle casse del club dal chairman canadese, Zanetti non li avrebbe mai investiti.
«Avevo sempre detto che servivano 30-40 milioni, ora sento dire che Saputo è vicino ai 100. Magari si poteva fare diversamente, spendere meno, avere meno dirigenti… ».
Nulla oltre, ma il messaggio è chiaro: si poteva scegliere anche un’altra strada, ma di soldi comunque ne servivano tanti, come da lui sempre sostenuto, sin da fine dicembre 2010, quando furono in tanti a preferirgli Consorte, Scapoli, Guaraldi e gli altri “nanetti”.
«Però il Bologna l’avevo acquistato », rivendica Zanetti fra un brindisi e l’altro. «Non ci sono preti, e allora vi do io la benedizione, pace e bene», scherzava su di giri poco prima del taglio del nastro, quasi fosse in gita.
Avrebbe poi raccontato, nel corso del pomeriggio, di aver conosciuto in Quirinale qualche giorno fa l’ex presidente Napolitano. «E’ stato gentilissimo, abbiamo parlato per cinque minuti della moka napoletana ».
Ma fra una stretta di mano a Claudio Albertini, socio della Fondazione Virtus con il marchio Igd, ed un caloroso abbraccio a Cassani, è il pensiero del Bologna a non lasciarlo: «Io l’avevo acquistato, il club.
Vennero a Treviso Morandi e l’altro, com’è pur che si chiamava? Ah sì, Guaraldi.
Stettero ore nel mio ufficio, a convincermi. Ho ancora il documento con le loro firme. Lo scrisse Morandi sulla mia scrivania, quella firma valeva l’80% delle azioni del Bologna.
Ma poi c’erano i piccoli azionisti che volevano Tacopina e Saputo, ci fu una sommossa popolare, e io alla fine sono felice che l’abbia preso Saputo e che la squadra vada bene.
Era un costo enorme per me, non è un rammarico. Io uso lo sport come veicolo pubblicitario, io sono un caffettiere e uso lo sport per le mie aziende, la mia prima responsabilità è remunerare gli azionisti. Ma il Bfc l’avevo preso».
Con la Virtus seguirà un’altra strada. «Intanto il basket non è il calcio, io a calcio ci ho giocato, mentre di basket m’intendo relativamente. Sponsorizzai Gorizia, anni fa, sono soddisfatto di essere entrato nella Virtus e dico sempre che non so se Bologna sia l’amante e Treviso la moglie o viceversa, ma sono sempre stato vicino alla città di Bologna.
Quando mi hanno chiesto di entrare nella Fondazione Virtus l’ho fatto volentieri, adesso sono sponsor, questo dopo Milano è il club più prestigioso, è come entrare nella Juve, o nell’Inter, o nel Milan.
L’aiuterò a tornare ai grandi splendori di un tempo, ma non sarò mai il proprietario perché deve gestirla chi ne sa, e questo vale anche per il ciclismo: non avrò mai una squadra mia. Se poi un domani la Fondazione dovesse ridursi a 3-4 soci, io resterei dentro».
Farlo innamorare è l’obiettivo prossimo. Direbbe Claudio Fenucci, riferendosi a Saputo, che occorre «ancorarlo al progetto». Che Bucci, tempo addietro, possa avergli sussurrato che nel basket si vinca spendendo meno di quanto investirà il magnate di Montreal, arrivando prima in cima, è più di un’ipotesi.
Da una solida società ad una grande squadra
«La prima cosa che dobbiamo capire – ricordava ieri il vecchio coach, con la consueta capacità di toccare le corde del cuore – è che lo sport è sacrificio, voglia di battersi e di lottare lealmente, di dare l’esempio, ma per costruire una grande squadra bisogna sempre partirte dalla solidità della società». Molto più di un messaggio subliminale, per il signore del caffè seduto lì a due passi