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domenica 24 Novembre 2024
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Le origini misteriose del tiramisù. Unica certezza: il legame con Treviso

Per il resto sono in molti a contendersi la paternità del dolce al caffè e mascarpone simbolo della cucina tradizionale italiana. Vediamo un po' quale sarebbe la storia dietro il tiramisù

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TREVISO – Di ogni piatto – dolce e no – della tradizione è praticamente impossibile trovare il creatore. Le ricette popolari sono patrimonio comune, si tramandano simili mai uguali di famiglia in famiglia. Acquistano vita propria, si contaminano con suggerimenti di amiche. Si modificano in base a gusti personali. Cosa si dice del tiramisù?

Su questo dolce infatti, esiste una vertenza nata pochi anni fa. Era il luglio del 2007 quando Carminantonio Jannaccone, pasticcere a Baltimora che prima di stabilirsi negli Usa aveva lavorato come cameriere a Treviso, dichiarò in un’intervista al Washington Post di aver inventato il tiramisù negli anni della gioventù trascorsa in Italia.

Tiramisù: parte la sfida

La cosa non mancò di offendere e far insorgere i buongustai e cultori della trevigianità. Tra le iniziative, quella di Gianni Garatti, titolare del ristorante Fogher che ha rilanciata l’idea di registrare alla camera di commercio il marchio ‘tiramisù’.

In effetti, Garatti sarebbe direttamente coinvolto nella questione delle origini del dolce: la madre Speranza Bon è riconosciuta come creatrice della coppa imperiale.

Correvano gli anni ’50, al Camin (di fronte al Fogher). Il suo preparato aveva gli ingredienti del tiramisù ed era servito in coppa.

Una paternità multipla

«Era la metà degli anni ’50 o giù di lì, mia madre aprì il Camin nel lontano 1954 – spiega – era in visita a Treviso una regina, e mia madre preparò per l’occasione questa coppa.

La facciamo ancor oggi così, non abbiamo cambiato nulla negli ingredienti da oltre mezzo secolo, né nel nome. E’ ancora la coppa imperiale. Certo, i Campeol, alle Beccherie, hanno dato poi al dolce il nome vincente, facendolo trionfare nel mondo».

Ma la letteratura gastronomica e i maestri della cucina trevigiana non assecondano la ricostruzione di Garatti

E incoronano le Beccherie, difendendo la trevigianità della leccornia dalla ricostruzione «americana» di Jannaccone. Bepo Zoppelli, accademico della Cucina Italiana e delegato trevigiano, è categorico: «Il tiramisù è trevigiano, hanno ragione i Campeol, sono stati loro a crearlo, moltissimi anni fa. – spiega.

– è vero che forse le radici affondano nel lontano Medioevo, su ispirazione di una zuppa inglese, e che quel dolce girò diverse zone d’Italia, fra cui la Toscana.

Ma sulla trevigianità non ci sono dubbi. Che poi girino altre ipotesi sulla sua nascita è vero, ma la paternità delle Beccherie è storia; consacrata dai maestri della cultura veneta».

Sulla stessa linea Annibale Toffolo, direttore di Taste Vin e allievo di Maffioli

«Macchè Jannaccone, hanno ragione le Beccherie, lo diceva sempre Maffioli – dichiara – l’innovazione, rispetto al tradizionale uso dello zabaione, è l’innesto dei savoiardi e del caffè con il mascarpone. La coppa imperiale di mamma Garatti? E’ un’altra cosa, non si possono accomunare».

Altre ipotetiche nascite

Ma basta uscire dall’Accademia per avere altre e più popolarissime versioni sulla nascita del dolce. Anche piccanti. Arturo Filippini, patron del Toulà e allievo di Alfredo Beltrame, porta indietro le lancette del tempo.

Fa uscire il primo tiramisù nientemeno che da un bordello. «Nacque in casin, garantito – spiega ridendo – da una signora di facili costumi che oggi chiameremmo un’avvenente maîtresse.

Me lo raccontavano Alfredo, Comisso, anche Boccazzi: era in piena Cae de Oro, a due passi da Duomo e San Nicolò. Quando i ragazzi scendevano un po’ provati, lei preparava questo dolce.  Diceva “desso ve tiro su mi, tosatei. Parliamo degli anni 30 e 40′, eh…»

E’ dunque un altro esempio di piatto dei poveri – il quartiere della Cae de Oro era la zona più degradata entro le mura, ma anche cuore pulsante di vita – che diventa un must internazionale; come già avvenuto per pasta e fagioli e radicchio? L’ipotesi è affascinante, non ce ne vogliamo Alba Campeolo e Speranza Garatti.

Uno dei testimoni della vecchia Treviso, Gianni Turchetto

Proprio lui spiazza tutti, con un’altra versione. «Tutto accadde all’hotel Baglioni (l’albergo sorgeva all’angolo fra l’attuale corso del Popolo e via Diaz, fu bombardato nel 1944), era cuoco un fratello di mia madre, lo zio Tita, cioè Giovanni Battista Piasentin – racconta – aveva il figlio Giuseppe ad aiutarlo.

Fonte: La Tribuna di Treviso

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