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lunedì 25 Novembre 2024
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Boom del cappuccino vegetale, ma l’alternativa al latte non è più sana

La moda del cappuccino, al bar o a casa, senza il suo ingrediente principe prende sempre più piede. Ma quante bufale sui presunti danni apportati dalla bevanda munta alle mucche

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MILANO – Soia, avena, mandorla. La moda del cappuccino, al bar o a casa, senza il suo ingrediente principe, il latte, prende sempre più piede. A guidarla i molti‘intolleranti convinti che la bevanda tradizionale sia meno digeribile, più pesante e meno salutare delle alternative vegetali.

Convinzioni che spesso non superano l’esame scientifico. Eppure il trend, con pretese salutiste, è confermato anche dal nuovo paniere Istat, presentato a febbraio scorso, dove entrano per la prima volta proprio bevande a base di soia, riso e altri legumi o cereali.

Prodotti le cui vendite sono aumentate del 27% nel 2015, secondo elaborazioni Coldiretti su Rapporto Coop. Non sembra scoraggiare il nuovo trend nemmeno il maggiore esborso economico.

Sempre la Coldiretti evidenzia anche che le bevande vegetali, in genere, costano anche il doppio del latte di alta qualità made in Italy e il triplo di quello a lunga conservazione. C’è poi la questione dell’intolleranza, non sempre reale, ma frequentemente indicata da molti consumatori di bevande alternative come causa di più vari disturbi digestivi.

“Gli adulti – spiega all’Adnkronos Salute Alessandro Fiocchi, responsabile dell’Allergologia dell’ospedale Bambino Gesù di Roma – possono essere intolleranti al lattosio. Una condizione non particolarmente diffusa. Che, può sembrare strano, ma dipende anche dalla geografia a dall’etnia. Negli adulti di razza nera, per esempio, è frequentissima. Mentre è inesistente in Finlandia. Insomma più si va al Nord del mondo più si riduce il fenomeno“.

Ma, precisa l’esperto, con questo tipo di problema “non è necessario evitare i latticini, in particolare i formaggi stagionati che non contengono lattosio, e che sono importantissimi nella nostra dieta per l’apporto di calcio. E nemmeno il latte, se si ha l’accortezza di usare quello senza lattosio. Rinunciare completamente a questi alimenti non è salutare, perché sono la nostra principale garanzia di avere i nutrienti necessari al salvaguardare le ossa“.

Per quanto riguarda i bambini, poi, “l’intolleranza al lattosio congenita è rarissima. Riguarda l’0,8% della popolazione infantile. E anche nei piccoli con le forme più accentuate a 18 anni il problema scompare“.

Ad avere ragione di cancellare il cappuccino ‘classico’ sono gli allergici alle proteine del latte. “In questo caso si tratta di un problema reale ma raro – continua Fiocchi – sviluppato da persone esposte a lungo a queste proteine, lavoratori del settore lattiero caseario, per esempio. Oppure da persone che hanno utilizzato ciprie cosmetiche e polveri (come uno di più classici talchi per bambini, Ndr) che le contengono. Ingredienti che, in realtà, oggi non vengono quasi più utilizzati“.

Una leggenda che bisogna sfatare “è l’esistenza di una forma di intolleranza alle proteine del latte, formaggi compresi“, dice Fiocchi. Si può essere allergici alle proteine oppure intolleranti al lattosio, che rappresenta il 98% degli zuccheri presenti nel latte. “E’ un fatto – aggiunge l’allergologo – su cui c’è stato dibattito nel mondo scientifico. Ora però uno studio norvegese, appena uscito sul ‘World Allergy Organization Journal‘, conferma con chiarezza che non esiste l’intolleranza alimentare al latte“.

La ‘moda’ di considerare il vero latte, quello di mucca, nemico della salute è un fenomeno che “ha un’origine precisa ed è anche assai contestabile“, ricorda Chiara Manzi, nutrizionista esperta di Culinary Nutrition, la disciplina che studia le modalità di preparazione degli alimenti che permettono di sfruttarne davvero gli elementi salutari.

“Una grande responsabilità – continua Manzi – è dell’autore di “China Study”, la bibbia dei vegani, l’americano T. Colin Campbell. Un libro ingannevole, perché, pur partendo da studi veri, arriva a conclusioni non fondate, scollegate dallo stesso studio citato. Nel caso del latte, in particolare, attribuisce al consumo di questo alimento un aumentato rischio di tumore. Peccato che le percentuali di consumo di caseina a rischio, che emergono dagli studi a supporto, siano improbabili. Se un nutrizionista preparato, infatti, fa un po’ di calcoli per trasformare le percentuali in consumi reali, viene fuori che il pericolo di cancro aumenta bevendo 4 litri di latte al giorno. Quantità quanto meno improbabili“.

Altra ‘bufala’, secondo Manzi è “la diffusa l’intolleranza al latte negli adulti, ovvero la mancanza dell’enzima che scinde il lattosio. E’ vero che si tratta di un enzima che si perde quando non si assume lattosio per lungo tempo. Ma non lo perde chi continua a bere latte o, semplicemente, a mangiare formaggi freschi. Quindi si tratta di una condizione in generale non troppo diffusa“.

L’intolleranza, inoltre, “non si diagnostica con i test più vari e fantasiosi che circolano. Per essere certi di questa condizione serve un esame simile all’alcol test, che si fa con il palloncino“.

Dal punto di vista strettamente nutrizionale “il latte di mandorla – aggiunge Manzi – è un’ottima alternativa, ha quantità di grassi leggermente superiore al latte scremato, ma sono grassi insaturi, buoni. Anche il latte di soia è un buon prodotto, che ha anche un discreto contenuto di proteine della soia. Ma parliamo di alternative valide, non di prodotti migliori“.

Il latte di mucca, infatti, “resta la migliore fonte di calcio, necessario soprattutto per le nostre ossa e per prevenire l’osteoporosi. E’ un alimento di cui non dovrebbero privarsi in particolare le donne, gli anziani e i bambini, soprattutto se acquistato parzialmente scremato. Contiene anche vitamina D, fondamentale sempre per l’assorbimento del calcio. E c’è un altro vantaggio. Visto che, dalle indicazioni internazionali, sappiamo che il consumo di carne rossa va limitato a 350 grammi a settimana per un adulto medio per evitare rischi di tumore, il latte può essere una fonte importante di vitamina B12 – utile a prevenire l’anemia, per esempio – soprattutto nell’anziano che ha ne più bisogno“.

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