TORINO – L’insegna non si tocca. Ma quell’angolo di storia a due passi da Palazzo Reale, che conserva ancora il fascino dell’antico, di una Torino sabauda, elegante, rigorosa, austera e davvero chic, sta per cambiare per sempre. L’orafo Capello ha già chiuso metà del negozio dalle vetrine dorate, che è come entrare nella porta del tempo.
Ma l’intenzione va oltre: è quella di lasciare l’attività per intero. Al posto dell’attività già chiusa, il Due di Capello, tra un mese ne arriverà un’altra storica: il Caval d’Brons aprirà lì un bar-pasticceria d’asporto. Il celebre caffè ha ricevuto lo sfratto da piazza San Carlo e attende solo dal giudice la data del trasloco definitivo. Un addio clamoroso, da un altro angolo in piena metamorfosi di marchi e insegne: piazza San Carlo. L’altro salotto della città, con piazza Carignano.
CAMBIO DI NOME
Capello e il Caval d’Brons fanno staffetta. Ma non del tutto: il bar storico non inaugura con il nome della tradizione: «Il locale è troppo piccolo – spiega il proprietario Vito Strazzella -, sarebbe ridimensionare il marchio prestigioso del Caval». I titolari stanno studiando in queste settimane come chiamarlo. Di certo, trasferiranno lì «parte dei dipendenti, mentre un’altra parte verrà ricollocata al Caffè San Carlo».
Aggiunge: «Le goloserie, però, resteranno sempre quelle del nostro laboratorio di via Maria Vittoria 20/b», invece il locale sarà moderno. L’idea imprenditoriale pure: «Puntiamo a colmare un segmento di pasticceria raffinata che ancora manca, quello dei dolci regionali di grande taglia, dai bunet ai babà, ai cannoli siciliani, che saranno venduti da asporto».
ANCHE UNA FOCACCERIA
Nell’ex «Due di Capello», già vuoto, ci sarà anche una focacceria. Difficile dire ora che identità assumerà quel segmento di via, tra la libreria Luxemburg e il McDonald’s. In via Accademia, la bottega del 1846 per ora resta, anche se dimezzata. Dalla metà del secolo scorso, prima in via Po, poi in via Accademia dal 1902, ha servito la Real Casa e serve ancora tutta la «Torino bene».
Qualunque cosa accada, la scritta «Vincenzo Capello» nessuno la potrà togliere, perché il palazzo è vincolato. Insegna nera e dorata, così come il legno delle vetrine. Ma del negozio a conduzione ultra familiare, che aprì il bisnonno del signor Guglielmo Capello, oggi 77enne, alla lunga rimarrà solo quella.
«Pensiamo a vendere anche i muri, appena riceviamo un’offerta interessante – racconta il signor Capello -. Mi piangerà il cuore: ma non si può invecchiare dentro un negozio, e le nostre figliole hanno deciso di trasferirsi in campagna, da quando si sono sposate, anche perché è dura tenere in piedi questa gioielleria».
Far crescere nuove leve di gioiellieri? I Capello non ci pensano. «Non ci fidiamo a vendere l’attività a nessuno». Intanto, i clienti di una vita, «quasi amici», spiega la signora Attilia Brigatti Capello, non mancano. Apprezzano ancora uno dei must del «Due», il «simbolo della felicità».
CUBETTI CON IL NOME
Un’icona che passerà alla storia dell’oreficeria con il bracciale o il collier con le letterine a cubetto: d’oro o d’argento, non c’è ragazza della buona borghesia torinese che non l’abbia ricevuto nelle occasioni più diverse. Dal Battesimo al fidanzamento sino alla laurea.
Letizia Tortello