Milano – Rallenta la crescita di De’ Longhi, ma accelerano la generazione di cassa e la liquidità del leader nazionale dei piccoli elettrodomestici.
E se le condizioni di mercato sembrano particolarmente propizie per fare acquisizioni, da una parte le occasioni scarseggiano e dall’altra si fa sempre più serrata la concorrenza di rivali come la francese Seb (Moulinex), la cinese Haier e la svedese Electrolux che non ha potuto comprare l’americana General Electric per motivi di antitrust.
Fabio De’ Longhi, amministratore delegato e figlio di Giuseppe, presidente e fondatore del gruppo del Pinguino, l’ultima operazione l’ha chiusa 4 anni fa, e ora sarebbe motivato a realizzare un’acquisizione di peso di un marchio estero mettendo sul piatto oltre un miliardo di euro.
Con una simile cifra due anni fa gli americani di Whirlpool si sono comprati il colosso tricolore dei grandi elettrodomestici, ovvero la Indesit Company, pagando 1,1 miliardi per un gruppo che ne fatturava oltre 3.
Ma i grandi elettrodomestici soffrono più dei piccoli la crisi economica, e De’ Longhi ha una redditività quasi due volte superiore rispetto a quella che aveva il gruppo di Fabriano quando ha lasciato Piazza Affari.
Tanto più che l’attuale solidità finanziaria di De’ Longhi – che a fine 2015 aveva 189 milioni in cassa – è un freno al valore del gruppo.
A fine 2016 il gruppo veneto dovrebbe avere liquidità per 270 milioni a fronte di un margine lordo atteso vicino a quota 300 milioni (285 milioni a fine 2015), numeri che gli consentirebbero di indebitarsi e investire fino a un miliardo di euro nelle acquisizioni ottimizzando la proprio struttura finanziaria con un debito/mol di 2,4 volte.
Peraltro la famiglia veneta che lo scorso anno ha venduto ai giapponesi di Mitsubishi Electric i grandi condizionatori di DeLclima (mezzo miliardo per il suo 75%), non ha bisogno di liquidità anzi né ha in abbondanza da investire.
Pertanto il primo socio dell’azienda veneta (62% del capitale) da una parte non è incentivato a distribuire un maxi dividendo, e dall’altra è impossibilitato a utilizzare le risorse in eccesso per finanziare un piano di buy back.
Una delle critiche che spesso è stata mossa a De’ Longhi, che con i quasi due miliardi di ricavi attesi a fine 2016 vanta una capitalizzazione di 2,9 miliardi, è quella di avere un flottante troppo esiguo date le dimensioni che ha raggiunto.
E in quest’ottica, gli analisti, da tempo si augurano che Fabio De’ Longhi sia pronto a rischiare di più per far crescere l’azienda, finalizzando una o più operazioni da finanziarie anche in carta in modo da aumentare il flottante oggi ridotto al 38% del capitale.
Per tutti questi motivi, il gruppo veneto dei piccoli elettrodomestici sarebbe alacremente a caccia di nuove prede, e in proposito De’ Longhi ha fatto una manifestazione non vincolante per rilevare dal colosso del private equity Kkr la tedesca Wuerttembergische Metallwarenfabrik, meglio nota con il marchio Wmf.
L’azienda tedesca specializzata sia nelle macchine da caffè sia in pentole e utensili da cucina di alta gamma lo scorso anno avrebbe generato un margine operativo lordo di 150 milioni, per cui Kkr ambirebbe a ricavare dalla vendita almeno 1,5 miliardi.
Si tratta di un multiplo ambizioso, dicono gli analisti, che valuta Wmf 10 volte il mol, e se è vero che De’Longhi in Borsa viene trattata a 11 volte, è anche vero che il segmento coltelli e pentole avrebbe valutazioni ben inferiori (circa tre volte il mol).
De’ Longhi, che è interessata alle macchine da caffè di lusso, spesso utilizzate da hotel e catering, non avrebbe invece interesse per la divisione pentole e coltelli, che esula dal core business e diluirebbe la redditività del gruppo.
Gli ultimi dati pubblici della divisione caffè del gruppo tedesco risalgono al 2013, prima che venisse rilevata da Kkr, e segnalavano un fatturato di 325 milioni (un terzo del totale del gruppo tedesco) con un margine lordo di 52 milioni e pari al 16% dei ricavi.
L’ultima acquisizione di De’ Longhi risale al 2012, quando il gruppo ha rilevato da Procter & Gamble il diritto a utilizzare il marchio Braun per i piccoli elettrodomestici e i ferri da stiro (ma non per rasoi e oggetti per la cura personale) investendo circa 140 milioni, e impegnandosi a corrispondere al gruppo Usa una percentuale dei ricavi futuri incrementali.
E dato il successo del rilancio di Braun, qualcuno scommette che P&g potrebbe cedere in futuro ai veneti anche la restante parte del marchio.
In attesa che De’ Longhi perfezioni una o più operazioni, gli analisti restano neutri o positivi sul titolo con valutazioni che oscillano tra i 21,8 euro di Banca Akros ei 23,8 euro di Mediobanca.
Sara Bennewitz